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Sì
al pasto portato da casa a scuola. Il regolamento comunale che vieta
di consumare pasti portati da fuori e introduce il divieto di
consumare pasti diversi da quelli forniti dall’impresa appaltatrice
della refezione scolastica è illegittimo. Così il
Consiglio di Stato ha dichiarato l’illegittimità del regolamento
del Comune di Benevento che aveva previsto l’obbligatorietà,
per gli alunni delle scuole materne ed elementari, del servizio di
ristorazione scolastica, stabilendo che nei locali in cui si svolge
la refezione scolastica non era consentito consumare cibi diversi,
come quelli portati da casa.
Per
il regolamento comunale il presupposto era che “il
consumo di parti confezionati a domicilio o comunque acquistati
autonomamente potrebbe rappresentare un comportamento non corretto
dal punto di vista nutrizionale, oltre che una possibile fonte di
rischio igienico sanitario”. Secondo
il Consiglio di Stato, che ha considerato infondato l’appello
promosso dal Comune nei confronti di quanto stabilito dal Tribunale
amministrativo (che aveva accolto il ricorso di un gruppo di
genitori), il regolamento del Comune di Benevento “presenta
plurimi profili di illegittimità”.
In
pratica, il Consiglio di Stato argomenta che la
scelta restrittiva del Comune limita la libertà personale e della
famiglia relativa alla scelta alimentare,
mentre “la sicurezza igienica degli alimenti portati da casa non
può essere esclusa a
priori attraverso
una regolamento comunale: ma va rimessa al prudente apprezzamento e
al controllo in concreto dei singoli direttori scolastici, mediante
l’eventuale adozione di misure specifiche, da valutare caso per
caso, necessarie ad assicurare, mediante accurato vaglio, la
sicurezza generale degli alimenti”.
Il
Consiglio di Stato ha chiarito che il regolamento “interferisce
con la circolare del Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca n. 348 del 3 marzo 2017, rivolta
ai direttori degli Uffici scolastici regionali, che (muovendo dal
“riconoscimento giurisprudenziale” del diritto degli alunni di
consumare il cibo portato da casa, e in attesa della pronuncia della
Corte di cassazione innanzi alla quale sono pendenti alcuni ricorsi
proposti dallo stesso MIUR avverso le pronunce dei giudici di merito)
ha, nelle more, confermato la possibilità di consumare cibi portati
da casa, dettando alcune regole igieniche ed invitando i dirigenti
scolastici ad adottare una serie di conseguenziali cautele e
precauzioni”.
Per
il Consiglio di Stato “la
scelta restrittiva radicale del Comune
– di suo non supportata da concretamente dimostrate ragioni
di pubblica salute o igiene né commisurata ad un ragionevole
equilibrio – di interdire
senz’altro il consumo di cibi portati da casa (attraverso lo
strumentale e previsto divieto di permanenza nei locali scolastici
degli alunni che intendono pranzare con alimenti diversi da quelli
somministrati dalla refezione scolastica)
limita una naturale facoltà dell’individuo – afferente alla sua
libertà personale – e, se minore, della famiglia mediante i
genitori, vale a dire la scelta alimentare:
scelta che – salvo non ricorrano dimostrate e proporzionali ragioni
particolari di varia sicurezza o decoro – è per sua natura e in
principio libera, e si esplica vuoi all’interno delle mura
domestiche vuoi al loro esterno: in
luoghi altrui, in luoghi aperti al pubblico, in luoghi pubblici”.
Per restringere questa facoltà servono dunque “dimostrate e
proporzionali ragioni inerenti quegli opposti interessi pubblici o
generali. Queste ragioni, vertendosi di libertà individuali e
nell’ambiente scolastico, non possono surrettiziamente consistere
nelle mere esigenze di economicità di un servizio generale
esternalizzato e del quale non si intende fruire perché non
intrinseco, ma collaterale alla funzione educativa scolastica”.
La
restrizione pratica col regolamento “non corrisponde dunque ai
canoni di idoneità, coerenza, proporzionalità e necessarietà
rispetto all’obiettivo – dichiaratamente perseguito – di
prevenire il rischio igienico-sanitario – prosegue il Consiglio di
Stato – E l’assunto che “il
consumo di parti confezionati a domicilio o comunque acquistati
autonomamente potrebbe rappresentare un comportamento non corretto
dal punto di vista nutrizionale” si manifesta irrispettoso delle
rammentate libertà e comunque è apodittico”.
Fra l’altro, non sono impedite ad esempio le merende portate da
casa. Scrive ancora il Consiglio di Stato: “L’inidoneità e
l’incoerenza della misura emerge in particolare dalla
considerazione che non
risulta, ad esempio, inibito agli alunni il consumo di merende
portate da casa,
durante l’orario scolastico: per analogia, si potrebbe addurre
infatti anche per queste la sollevata problematica del rischio
igienico-sanitario”.
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