giovedì 18 dicembre 2025

Rioveggio si prepara a celebrare il Natale con un grande evento musicale e di danza aperto alla comunità.


 


La Pro Loco di Rioveggio, in collaborazione con il Comitato Soci EmilBanca locale e con il patrocinio del Comune di Monzuno, organizza per sabato 20 dicembre 2025 un Concerto Gospel di Natale presso la Sala Corbo, una delle sedi culturali più attive del territorio.

La serata prenderà il via alle 20.15 con lo spettacolo “Danzando attorno al Natale”, una performance delle allieve della scuola di danza AMGELS, che porteranno in scena coreografie ispirate alla magia e ai valori delle festività.

A seguire, alle 20.45, il palco sarà affidato alle voci del coro gospel Spirituals Ensemble, noto per le sue interpretazioni energiche e coinvolgenti del repertorio tradizionale afroamericano. L’ensemble, composto da numerosi coristi, promette un viaggio musicale capace di unire spiritualità, ritmo e atmosfera natalizia.

L’iniziativa è gratuita e ad ingresso libero, con la possibilità di lasciare un’offerta a favore dell’A.N.T., associazione impegnata nell’assistenza domiciliare ai malati oncologici. Gli organizzatori invitano cittadini e famiglie a partecipare numerosi a un appuntamento pensato per condividere musica, solidarietà e spirito natalizio.

Un’occasione, dunque, per vivere insieme uno dei momenti più attesi del calendario comunitario, all’insegna della cultura e della beneficenza.

mercoledì 17 dicembre 2025

Criminalità economica, 40 confische nel 2025 grazie alla collaborazione Gdf–Procura

 Aggressione ai patrimoni illeciti. Sequestrati beni per circa 2,2 milioni di euro.


Il Comando Provinciale Bologna della Guardia di Finanza

 

Prosegue anche nel 2025 la collaborazione tra la Guardia di finanza dell’Emilia-Romagna e la Procura generale presso la Corte d’Appello di Bologna, finalizzata all’esecuzione dei provvedimenti di confisca disposti dalla magistratura a seguito di sentenze definitive.

Giunta al terzo anno di attuazione, l’intesa si basa su un memorandum sottoscritto tra il Comando regionale Emilia-Romagna della Guardia di finanza e la Procura generale, con l’obiettivo di rendere più efficiente e sistematica l’azione di contrasto patrimoniale alla criminalità economica. Grazie a questa cooperazione, l’Autorità giudiziaria può avvalersi delle competenze specialistiche del Corpo, in qualità di forza di polizia economico-finanziaria, per individuare beni e asset patrimoniali riconducibili, anche per interposta persona, a soggetti condannati in via definitiva.

Nel corso del 2025, l’azione sinergica tra magistrati e finanzieri, sviluppata attraverso mirate attività investigative finalizzate alla ricostruzione delle situazioni patrimoniali dei condannati, ha consentito di recuperare a favore dell’erario beni e somme di denaro per circa 2,2 milioni di euro, che altrimenti sarebbero andati dispersi.

Nei rapporti con la Procura generale di Bologna, il ruolo di referente con funzioni di coordinamento operativo tra i diversi reparti del Corpo è stato svolto dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Bologna.

Alla luce dei risultati ottenuti — 40 confische eseguite — l’Autorità giudiziaria ha confermato la prosecuzione dell’intesa anche per il 2026.

Il sequestro dei patrimoni illeciti, detenuti in Italia o all’estero, riveste inoltre un rilevante valore sociale, poiché consente di restituire alla collettività le ricchezze accumulate dalla criminalità economica.

A Marzabotto la mostra “Shooting in Sarajevo”

 Fotografie di Luigi Ottani. Un progetto di Roberta Biagiarelli e Luigi Ottani



È stata inaugurata ieri, martedì 16 dicembre, presso il municipio di Marzabotto, la mostra fotografica Shooting in Sarajevo di Luigi Ottani, a cura di Roberta Biagiarelli. L’esposizione è realizzata con il sostegno del Comitato regionale per le Onoranze ai Caduti di Marzabotto, del Comune di Marzabotto, dell’Associazione familiari vittime degli eccidi nazifascisti di Marzabotto e dell’ANPI di Marzabotto.

In occasione dell’inaugurazione si è svolta anche la presentazione del volume Shooting in Sarajevo (Bottega Errante Edizioni, 2020), firmato da Roberta Biagiarelli e Luigi Ottani, alla presenza della sindaca Valentina Cuppi e di Valter Cardi, presidente del Comitato per le Onoranze ai Caduti di Marzabotto.

La mostra, composta da immagini tratte dal libro, propone un progetto che intreccia gli scatti originali di Ottani, rielaborati in formato vintage Polaroid e volutamente invecchiati per evocare l’idea di un reperto di guerra. Le fotografie sono accompagnate da testi inediti curati da Roberta Biagiarelli e da contributi di alcune tra le voci più autorevoli, in Italia e a livello internazionale, sul conflitto in Bosnia ed Erzegovina.

Attraverso immagini e parole, Shooting in Sarajevo ricostruisce uno degli eventi più drammatici della fine del Novecento europeo: l’assedio di Sarajevo, iniziato il 5 aprile 1992 e concluso il 29 febbraio 1996, il più lungo della storia europea recente. In 1.425 giorni di isolamento la città contò migliaia di morti e centinaia di migliaia di feriti e profughi. Molte vittime furono colpite dai cecchini che dominavano la città dall’alto. Proprio da quelle postazioni Luigi Ottani ha scelto di fotografare la Sarajevo di oggi, ritraendo cittadini e cittadine mentre attraversano, ignari, le strade della loro città, assumendo un punto di vista fortemente evocativo.

La mostra resterà visitabile fino al 31 marzo 2026. Al termine dell’esposizione le fotografie saranno donate alle scuole del territorio, che durante il periodo di apertura svolgeranno attività didattiche dedicate ai temi dell’assedio, dell’educazione alla pace e alla cittadinanza, anche attraverso visite guidate e incontri con gli autori.

«Sarajevo, vista dalle montagne che la circondano, appare come sul palmo di una mano, in tutta la sua bellezza e vulnerabilità», spiega Roberta Biagiarelli. «Da lì si comprende quanto sia stato facile uccidere. Le fotografie di Luigi, incorniciate nel formato vintage Polaroid e segnate dal mirino accanto al soggetto, restituiscono l’attimo sospeso tra la vita e la morte. Visitando le postazioni dei cecchini insieme ai sopravvissuti all’assedio, è emersa con forza la consapevolezza di quanto ciascuno fosse stato, a sua insaputa, un bersaglio».




La riforma Calderoli taglia i Comuni montani: 46 a rischio in Emilia-Romagna



La riforma sulle aree montane firmata dal ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli ( nella foto) rischia di ridisegnare la mappa dell’Appennino emiliano-romagnolo. Secondo le stime dell’Uncem, 46 dei 121 Comuni montani della regione – circa il 40% – perderebbero lo status di “montano”, con la conseguente esclusione dall’accesso a una quota dei circa 200 milioni di euro di fondi statali destinati al settore.

Particolarmente colpita l’area metropolitana di Bologna, dove oltre la metà dei territori rischia il declassamento. Una scelta che ha acceso la protesta degli amministratori locali, preoccupati per le ricadute concrete sui servizi essenziali. La perdita della classificazione montana comporterebbe infatti meno risorse per la manutenzione della viabilità e per la difesa dal dissesto idrogeologico, in territori già segnati dalle recenti alluvioni.

«È un errore palese, che nasce da una scarsa conoscenza del territorio», ha commentato il presidente della Regione Emilia-Romagna, Michele de Pascale, sottolineando come le richieste provenienti dalle comunità locali andassero nella direzione opposta.

La proposta di legge introduce nuovi criteri basati su altitudine media e pendenza del territorio, con l’obiettivo dichiarato di uniformare la classificazione dei Comuni montani. Parametri che, secondo molti amministratori, non tengono conto delle fragilità sociali ed economiche delle aree interne.

Duro il commento della presidente dell’Unione dei Comuni dell’Appennino bolognese, Valentina Cuppi: «Non è una questione di metri, ma di risorse. Così si tagliano investimenti a comunità che avevano iniziato un percorso di rilancio».

Tra i Comuni a rischio figurano, oltre a Monghidoro e Loiano, anche Marzabotto, Monzuno, Sasso Marconi e Grizzana Morandi. L’assessore regionale alla Montagna, Davide Baruffi, ha definito la proposta «irricevibile» e annunciato battaglia in sede di Conferenza Stato-Regioni.

Ora la partita si sposta a Roma, dove Regioni e amministrazioni locali chiedono l’apertura di un tavolo di confronto per rivedere i criteri ed evitare che l’Appennino torni a essere una periferia dimenticata.

Appennino sacrificato: ipocrisie, promesse e macerie

 Dalla montagna alla farsa: cronaca di un abbandono annunciato



di Pietro Ceneri


Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. È il proverbio che meglio descrive la situazione dell’Appennino. Ci si straccia le vesti per il declassamento, da parte del ministero Calderoli, dell’Appennino a territorio insignificante, non degno di attenzione, equiparato a dune banali: luoghi che qualcuno, la domenica o nei giorni di festa, può magnanimamente frequentare ed essere accolto con tutti gli onori, poiché, bontà sua, porta un po’ di denaro a quei poveri illusi che ancora operano sulle pendici di questo rifiuto nazionale.

A lasciarci lo zampino, però, non sono coloro che finora hanno giocherellato con le “dune” che delimitano a sud la Pianura Padana, ma chi, nonostante tutto, ha tenuto botta e ha continuato a operare, affrontando con caparbietà le insidie che i culi piatti da scrivania bolognesi gli imponevano. A cominciare dall’invasione degli ungulati, la cui presenza ha messo in ginocchio quel poco di economia agricola montana che ancora esisteva, scoraggiando ogni nuova iniziativa. Poi si sono aggiunti i lupi, che hanno di fatto sconsigliato ogni impresa pastorale, e molte altre presenze inadeguate: tutto affinché quei culi piatti potessero assistere allo spettacolo degli ungulati al pascolo nei campi del povero agricoltore.

Viene da chiedersi perché non abbiano difeso con la stessa insistenza lo sterminio dei colombi di città: forse perché, essendo portatori di malattie, queste potrebbero colpire anche i culi piatti. Eppure anche quelli sono animali. E perché non difendono la zanzara? Anche quella è un insetto, come quelli che però non pungono i culi piatti.

Recentemente un illustre politico bolognese ha dichiarato che l’impegno futuro della Città Metropolitana sarà quello di mettere tutti i cittadini compresi in tale area nelle stesse condizioni di servizi e di logistica. C’è da ridere, per non piangere, perché per fare questo bisognerebbe recuperare decenni di incuria, se non di vera e propria attività negativa. Ridare, per esempio, a Porretta Terme condizioni logistiche degne di questo nome significherebbe almeno adeguare la statale Porrettana con un tracciato moderno e aggiornare la ferrovia Porrettana. Ma si sa che tutto si fermerà a Casalecchio, ormai parte della città di Bologna, non certo della Città Metropolitana.

All’adeguamento alle attuali esigenze dei collegamenti informatici, promessi anch’essi da decenni e mai realmente attivati, non si pensa nemmeno. Lo verifica quotidianamente ogni residente dell’Appennino. E, tanto per fornire un esempio di quanto costoro siano farisei, a duecento metri dalla tomba di Marconi, cui si deve il wireless, il telefono e il computer non riescono a collegarsi alla rete.

Ritardi che hanno affossato anche l’artigianato e l’industria locale,  che per anni hanno chiesto inutilmente di essere messi in grado di operare in modo competitivo e ormai quasi del tutto costretti a trasferirsi o a chiudere, lasciando un vuoto incolmabile di posti di lavoro.

E allora piangiamo pure, ma saranno lacrime di sangue. 

Siamo alla vigilia delle amministrative del 2027 ed è già iniziata la presa in giro dell’elettorato, fatta di promesse cafone e impossibili.

Bruci pure la città, con il ministro Calderoli al centro, per aver declassato i comuni dell’Appennino; ma insieme a lui, come combustibile e con generale sollievo, vadano anche tutti coloro che hanno giocato con l’incosciente — e spesso consapevole — credulità di noi cittadini votanti.

Basta balle. Abbiate almeno la decenza di tacere.