di
Legambiente
Ogni
giorno in Italia quasi 5,5
milioni di persone
prendono il treno per spostarsi per ragioni di lavoro o di studio, un
numero solo leggermente superiore al 2015 (+0,2%), quando i pendolari
del treno erano 5,43 milioni (e 5,1 nel 2014). A crescere in maniera
evidente sono, invece, le diseguaglianze
tra le Regioni
rispetto al numero di viaggiatori e alle condizioni del servizio
offerto. È questo il dato saliente del rapporto Pendolaria
2016 di
Legambiente,
presentato oggi a Palermo.
Sui
5,5 milioni di pendolari, sono 2milioni
e 832mila quelli che usufruiscono del servizio ferroviario regionale
(divisi tra 1,37 milioni che utilizzano i convogli di Trenitalia e
gli altri 20 concessionari) e 2milioni
e 655mila quelli che prendono le metropolitane
presenti a Milano, Roma, Napoli, Torino, Genova, Brescia e Catania.
Nel 2016 il numero dei pendolari del treno è aumentato di poco:
+0,7% rispetto al 2015 per il trasporto ferroviario e +0,6% per
quello metropolitano.
La
crescita dei pendolari è però un dato con differenze macroscopiche,
perché aumenta
dove il servizio non è stato tagliato
e dove sono stati realizzati investimenti nell’acquisto di nuovi
treni, come in Lombardia dove sono arrivati a 712mila (con un +1,3%),
in Emilia-Romagna (+3%) e in Alto Adige (dove sulle linee
riqualificate con treni nuovi sono triplicati, da 11.000 nel 2011 a
quasi 32.000). Mentre continua
a calare in Regioni
dove dal 2010 a oggi sono stati realizzati solo tagli ai servizi (in
Calabria -26,4% treni in circolazione e -31% passeggeri, in Campania
-15,1% treni e -40,3% passeggeri, in Piemonte –8,4% e -9,5%) e
nelle città
dove il servizio è scadente, con sempre meno treni e sempre più
vecchi come a Napoli
sulla Circumvesuviana
(le corse sono state ridotte del 30% dal 2010) o sulla
Roma-Ostia Lido.
In
questi anni si è inoltre assistito alla chiusura
di oltre 1.120 chilometri di linee ferroviarie,
cui vanno
aggiunti 412 km di rete ordinaria che risulta “sospesa” per
inagibilità dell’infrastruttura,
come per la Trapani-Palermo, la Gemona-Sacile, la Priverno-Terracina,
la Bosco Redole-Benevento e la Marzi-Soveria Mannelli in Calabria.
Per fare qualche esempio,
in Molise non esiste più un collegamento ferroviario con il mare: da
qualche mese sono scomparsi i treni che dal 1882 collegavano
Campobasso con l’Adriatico e con Termoli. In
tutto sono 1.532 km di linee ferroviarie su cui non esiste
attualmente alcun servizio passeggeri.
È
un Italia che viaggia sempre di più a velocità differenti, quella
che viene fuori dal rapporto che, dal 2008, presenta la fotografia
della situazione del trasporto ferroviario in Italia e ne racconta i
cambiamenti. Sono proprio le differenze
e diseguaglianze tra le diverse aree del Paese,
ad essere al centro del focus quest’anno. Con realtà dove la
situazione è migliorata ed altre, più numerose, in cui ci sono meno
treni e anche più lenti che in passato, per via dei tagli
ai treni Intercity e a lunga percorrenza e a quelli regionali
(tagliati rispettivamente del 22,4%
e del 6,5%
rispetto al 2010. Continuano
intanto i
successi dell’alta velocità,
con un servizio sempre più in crescita e articolato (dal 2007 +394%
sulla Roma-Milano) e un numero crescente di passeggeri
(+6% nel 2016,
dopo il +7 del 2014 e 2015). Ma risultati
positivi li
troviamo in altre realtà dove si è puntato sul ferro: dal
Tram Firenze-Scandicci (30mila
passeggeri giorno) a
quelli nuovi di Palermo, alle
linee dove si è investito in
Alto Adige, alla
linea
Palermo-Catania, ad alcune linee pugliesi. E in ogni parte d’Italia,
dove si investe nel ferro il successo è garantito come
dimostrano 30
buone pratiche raccontate nel Rapporto.
“Abbiamo
scelto di presentare Pendolaria a Palermo quest’anno – ha
commentato Edoardo
Zanchini –
Vicepresidente di Legambiente – proprio perché sono
il Sud e le città le emergenze dei trasporti
nel nostro Paese. Cambiare
e migliorare la situazione che vivono ogni giorno milioni di
pendolari deve diventare una priorità, non solo per ridurre
differenze e recuperare ritardi, ma perché è un grande investimento
sul futuro del Paese”.
All’incontro
sono intervenuti Orazio
Iacono,
direttore divisione passeggeri regionale Trenitalia, Gianpiero
Strisciuglio,
direttore esercizio rete RFI, Giovanni
Pistorio,
assessore alle infrastrutture Regione Sicilia, Giusto
Catania,
assessore alla mobilità Comune di Palermo, Edoardo
Zanchini,
vicepresidente nazionale Legambiente e Gianfranco
Zanna,
presidente Legambiente Sicilia, rappresentanti di comitati pendolari.
Per
Legambiente la sfida fondamentale del trasporto ferroviario in Italia
si gioca al Sud e nelle città. Basti
dire che nelle principali aree metropolitane vivono 25 milioni di
persone ed è lì che secondo gli studi continuerà a concentrarsi
questa crescita. Proprio nelle nostre città, però, si evidenzia il
ritardo più forte in termini di dotazione di trasporto su ferro
rispetto al resto d’Europa, dove siamo sotto il 50% rispetto alla
media per metropolitane e tramvie, e al 51% per le ferrovie
suburbane. Il
totale di km di metropolitane in Italia è di 234,2 km, paragonabile
a quella di singole città europee come Madrid (291,5) e Londra
(464,2), Parigi (219,5 km) e Berlino (147,5 km), che
hanno inoltre progetti di sviluppo per aumentare il numero di persone
trasportate. Analoga situazione per le ferrovie suburbane, ma il
problema più grave non sta tanto però nel ritardo quanto
nell’assenza di progetti e risorse per cambiare questa situazione.
Roma nel 2016 non ha visto realizzare alcun tratto di metro o linee
di tram, e al momento l’unico progetto finanziato riguarda il
prolungamento (3,6 chilometri) della metro C fino a Colosseo. Se
consideriamo i cantieri in corso della metro, a
Roma si dovranno attendere 80 anni per recuperare la distanza
dalle altre città
europee (in
termini di metropolitane ogni 1.000 abitanti). La
seconda emergenza è il Sud, dove circolano meno treni, più vecchi e
più lenti. Ogni
giorno in tutto il Meridione circolano meno treni regionali che nella
sola Lombardia e
dal 2010 quelli regionali si sono ridotti del 21,9% e a questi tagli
vanno sommati quelli degli Intercity.
Per fare un esempio, le
corse quotidiane dei treni regionali in tutta la Sicilia sono 429
contro le 2.300 della Lombardia.
Inoltre, i treni sono più lenti e l’età
media dei convogli al Sud è nettamente più alta: 20,3 anni
rispetto ai 14,7
del Nord e ai
17,2 della media
nazionale.
“Occorre
sottolineare che tutte le tratte della Sicilia sono scomode e
inefficienti - ha dichiarato il
presidente di Legambiente Sicilia Gianfranco Zanna
- a danno dei cittadini, soprattutto i pendolari, che sono
letteralmente massacrati, e dei turisti. Sulla linea che collega
Messina a Siracusa, passando per Catania la velocità media è di 64
km orari e negli ultimi 15 anni i treni si sono ridotti addirittura
del 41% e viaggiano meno veloci che in passato. Stiamo parlando di
180 km di linea che collega tre grandi città siciliane, capoluoghi
di Provincia, località turistiche e porti. Grave è anche lo stato
di degrado delle stazioni. Se vogliamo davvero cambiare il nostro
stile di vita è innegabile che invece di tagliare occorre investire
sulle ferrovie. Sempre più persone, infatti, preferirebbero il treno
all'auto o al pullman, ma in Sicilia la strada è ancora tutta in
salita”.
Le
ragioni di questa situazione sono da individuare,
secondo Legambiente, in alcuni gravi errori compiuti in questi anni
nelle politiche dei trasporti. Innanzitutto un trasferimento
dei poteri sul servizio ferroviario locale alle Regioni senza
indirizzi e controlli.
Per cui sono state chiuse linee e cancellati collegamenti senza alcun
intervento da parte dello Stato, quando i diritti dei cittadini alla
mobilità sono gli stessi da Bolzano a Ragusa e garantiti da risorse
pubbliche. In secondo luogo le
risorse da parte dello Stato per far circolare i treni regionali sono
state ridotte tra il 2009 e il 2016 del 19,1%,
e solo poche Regioni hanno investito per garantire il servizio, in
tutte le altre sono avvenuti tagli e aumenti dei biglietti. È da
sottolineare poi che le Regioni hanno investito pochissimo per
potenziare il servizio e comprare treni, in media la
spesa per i pendolari non arriva allo 0,29% dei bilanci delle
Regioni, ma nel
Lazio, in Sicilia, Veneto, Puglia siamo sotto questa cifra. Infine,
si è investito e si
continua a investire su strade e autostrade, alta velocità
ferroviaria
relegando le risorse residue agli interventi nelle città e per
potenziare le linee al Sud (dal
2002 al 2016 solo il 13,4% delle risorse per le infrastrutture è
andato alle città).
E sono i numeri di coloro che prendono il treno ogni giorno a far
capire l’importanza di guardare a questi processi: 160mila sulle
Frecce, 25mila su Italo, 40mila su Intercity, oltre 2milioni e
800mila sui treni regionali, 2milioni e 650 mila sulle metropolitane.
Nel
Rapporto è sottolineata la discontinuità positiva portata dal
Ministro Delrio
al Ministero delle Infrastrutture. In particolare con la riforma del
Codice Appalti e il nuovo contratto Intercity, che stabilisce risorse
certe in un orizzonte di dieci anni, con controlli e penali, e che
permetterà l’acquisto di treni e di recuperare una parte dei tagli
effettuati dal 2010 ad oggi (nel 2016 sono stati 23,2 mln i treni*km
effettuati, cresceranno a 25,1 mentre nel 2010 erano 30,3), come
positivo è anche il finanziamento pluriennale per l’acquisto di
autobus. Più complicata la situazione per quel che riguarda le
infrastrutture, perché il peso delle scelte passate continua a
contare moltissimo rispetto alle priorità di investimento, con la
conseguenza che gli investimenti nelle città e al Sud continuano ad
avere un ruolo marginale nella programmazione delle risorse per i
prossimi anni. Anche da parte di Trenitalia
si segnala un’attenzione maggiore nei confronti del servizio
ferroviario regionale, con investimenti nell’acquisto di materiale
rotabile (500 i nuovi treni che entreranno in servizio), resi
possibili dai contratti prorogati con le Regioni. Si vede nei
miglioramenti nella pulizia (dove il passaggio alle gare per il
servizio è stato un successo), nella puntualità e nei controlli
rispetto ai biglietti (che ha portato a un aumento dei ricavi). Anche
qui vi sono grandi differenze tra le Regioni, che dipendono dalla
capacità delle stesse di organizzarsi rispetto a un ruolo nuovo di
programmazione del servizio e di controllo nei confronti
dell’operatore, e di individuazione delle risorse aggiuntive per
gli investimenti.
“Dobbiamo
puntare a raddoppiare i pendolari che prendono treni regionali e
metropolitani ogni giorno
– ha continuato
Zanchini –.
Arrivare a 10
milioni di persone al 2030
è una sfida alla portata del nostro Paese e nell’interesse dei
suoi cittadini, con vantaggi
non solo in termini ambientali, ma di attrattività delle nostre
città e dei territori, con ricadute positive sull’occupazione e
sul turismo”.
Per
cambiare questa situazione occorre aumentare
l’offerta di treni sulle linee,
in particolare in quelle urbane più utilizzate dai pendolari e
laddove, come al Sud, sono stati cancellati o ridotti i collegamenti
in questi anni. Lo
Stato deve poi finalmente comprare treni,
come succede in tutti gli altri Paesi europei, perché servono più
treni per potenziare le linee e le sostituzioni in corso legate ai
contratti con le Regioni, lasciano scoperto proprio il Sud e alcune
linee fondamentali in città come Roma e Napoli. Infine occorre
cambiare le
priorità infrastrutturali per dare priorità alle aree urbane e al
Sud. Oggi
progetti fondamentali di rilancio della mobilità sostenibile nelle
città non sono finanziati e nel Mezzogiorno non esiste alcun
progetto di miglioramento del servizio tra le città attraverso
progetti di adeguamento delle linee e acquisto di treni. Per
cambiare questa situazione occorre mettere queste politiche tra le
priorità del Paese, con un ruolo di regia e di controllo da parte
del Ministero delle Infrastrutture che lo porti a spostare
l’attenzione dai cantieri delle infrastrutture agli obiettivi e
agli interventi necessari per rendere più semplice e sostenibile la
mobilità dei cittadini.