lunedì 16 novembre 2015

Crisi delle parrocchie montane. In 20 anni i sacerdoti sono passati da 34 a 17.


La parrocchia di San Martino a Carbona, nel Comune di Grizzana Morandi
La parrocchia di San Martino a Grizzana Morandi
Com’è la vita di un parroco di montagna? «In città sei circondato dalla gente che ti viene a cercare. In montagna è diverso: sei tu che devi andare a cercare le persone. Hai più tempo per te stesso ma rischi di chiuderti, di provare una grande solitudine». Don Silvano Manzoni ha 71 anni. La sua vita da prete è scandita per decenni: 11 anni da missionario in Tanzania, 9 anni come cappellano al Pilastro, 14 anni come parroco di Riola. Da 11 anni è a Vergato. Ed è anche il responsabile del vicariato dell’Alta Valle del Reno, uno dei 15 distretti che compongono la Diocesi di Bologna. I COMUNI - Ne fanno parte Granaglione, Gaggio Montano, Lizzano in Belvedere, Porretta Terme. È il vicariato della montagna: 54 parrocchie che all’inizio degli anni ‘90 hanno ingaggiato la loro lotta per la sopravvivenza. Nonostante lo spopolamento e la progressiva riduzione dei sacerdoti. Fino a 20 anni fa, da queste parti, i parroci erano 34. Ne sono rimasti 17 che si dividono come possono tra una chiesa e l’altra. Ma la realtà è che 37 parrocchie sono ormai rimaste senza prete e in alcune di esse la messa si celebra solo nelle grandi occasioni. L’altra faccia della medaglia sono i laici che prendono in mano queste chiese che rischiano di chiudere, cercano di tenerle in vita, anche in assenza di un sacerdote assegnato. Sono i laici che organizzano gli incontri settimanali, accompagnano gli anziani nelle parrocchie più vicine, accolgono il parroco che — di tanto in tanto — viene fin quassù a dire messa. «Laici che amano la loro chiesa — li definisce don Manzoni — non c’è nulla di istituzionalizzato, sono persone che si auto-organizzano».
LA STORIA - È questo che accade nella parrocchia di San Martino a Carbona, poco più di 200 anime nel Comune di Grizzana Morandi. L’ultimo parroco, don Ilario, andò via nel 1992. «Già a quei tempi era molto anziano», si racconta tra le vie del paese. Da allora, la sede è vacante: sono i parrocchiani a tenerla in piedi. Come Armando D’Ambrosio e sua moglie Rita. «Cerchiamo di garantire due classi di catechismo, le prove del coro per le feste comandate, i canti di Natale e di Pasqua, la festa patronale ad agosto».
I VOLONTARI - Perché lo fate? «Perché siamo testardi — risponde D’Ambrosio — e vogliamo tenere aperta la nostra chiesa: qui a Carbona è l’ultimo luogo di aggregazione rimasto. Praticamente non esiste più neanche il paese: siamo un mucchio di case sparse sull’Appennino. Almeno in chiesa possiamo incontrarci e fare due chiacchiere. Sa come ci chiamano? La parrocchia delle crescentine, organizziamo pranzi, cene, attività pomeridiane, anche per autofinanziarci». Le feste servono a raccogliere i soldi indispensabili per la sopravvivenza. «Alla Curia non abbiamo mai chiesto una lira — continua Armando — Siamo autosufficienti. I piccoli lavori li facciamo da soli, per quelli più grossi ci rivolgiamo alle ditte: abbiamo speso 30.000 euro per rifare il tetto e 20.000 per il nuovo impianto di riscaldamento. Tutto con le offerte ordinarie e le feste».
I GIOVANI - San Martino è un punto di riferimento anche per i giovani. Laura Zironi, 20 anni, ci passa i suoi pomeriggi e le sue serate. E non solo per ragioni religiose: «Invece di uscire e andare al bar a volte preferiamo stare in saletta. Durante la settimana organizziamo anche corsi di baby dance. Per me è un luogo di ritrovo, dove posso vedere gli amici, abbiamo anche creato una pagina su Facebook». I problemi — e la solitudine — delle chiese dell’Appennino sono noti da anni. Nel 2011 la Diocesi di Bologna organizzò un «piccolo sinodo della montagna», perché i nodi venissero al pettine. Nel documento preparatorio si prendeva atto che «comunque la presenza di sacerdoti nel territorio è destinata ancora a diminuire». Qualcuno propose di intensificare le liturgie della parola nelle parrocchie senza sacerdote: la lettura della Bibbia senza la comunione. «Ma questa soluzione non piaceva molto a Caffarra — racconta don Silvano — il cardinale ce la sconsigliò: preferiva che i fedeli andassero nei paesi vicini dove si celebrava messa. Non voleva che si favorisse la liturgia della parola rispetto al sacramento della Comunione».

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Fabbriani

http://www.unionealtoreno.bo.it/index.php/53-bando-per-l-assegnazione-di-posteggi-riservati-ai-produttori-agricoli-nell-ambito-del-mercato-settimanale-del-sabato

Anonimo ha detto...

Qui se c'è una crisi è quella dello stato italiano che ogni anno ridistribuisce al Vaticano circa 3 miliardi pagati dalle tasse di tutti i cittadini italiani e in cambio il Vaticano non versa un euro allo stato italiano grazie a esenzioni fiscali di ogni tipo ( 6 miliardi stimati di tasse non riscossi, IMU, IRPEF, IVA per loro non esistono).

Takuma ha detto...

vaticano s.p.a.
ma per piacere!!!