Propensione allo sviluppo e criticità: solo il
26% delle aziende intervistate ha investito in strumenti innovativi;
la percentuale nazionale si ferma al 22%
Il
focus Nomisma presentato a Bologna
Emilia-Romagna e
agri-tech: un binomio che stenta a decollare, anche se la propensione
delle aziende agricole emiliano-romagnole ad investire in innovazione
è superiore a quella nazionale. Lo dice il focus Nomisma, che
sviluppa in chiave regionale uno studio condotto dal centro studi su
oltre 1.000 aziende agricole presenti sul territorio nazionale, con
l’obiettivo di fare luce sugli aspetti limitanti la diffusione
delle nuove tecnologie, e che è stato presentato oggi a Bologna al
convegno “Agricoltura FUTURA, tra strumenti e nuove tecnologie”,
organizzato da Confagricoltura Emilia Romagna presso il Granarolo
Auditorium.
In
Emilia-Romagna (solo) il 26% delle aziende agricole
intervistate ha investito finora in strumenti di precision farming
(macchine operatrici a dosaggio variabile; trattrici con guida
assistita; software, centraline, mappe e sensori; sistemi di
raccolta, integrazione e analisi delle informazioni o big data)
contro una percentuale nazionale che si ferma al 22%.
Seminativi e allevamenti sono di gran lunga i settori più
performanti. Ben definito è anche l’identikit dell’adopter 4.0:
millennial, laureato ma anche perito agrario,
con azienda zootecnica oppure cerealicola, di oltre 20 ettari, e
un fatturato annuo superiore ai 50mila euro.
Ma
cosa ostacola la corsa all’agri-tech in regione? Secondo il
29,9% degli intervistati, l’azienda non possiede le risorse
economiche e, per il 32,8%, è troppo piccola quindi non interessata
al cambio di passo. C’è poi un 9% che non ha investito perché
privo della professionalità manageriale richiesta e un altro 7,5%
che si affida a contoterzisti in grado di gestire tale
strumentazione.
L’indagine
si concentra anche su coloro che negli ultimi tre anni hanno
svoltato passando all’utilizzo di strumenti di agricoltura 4.0:
il 33% si dichiara soddisfatto, in termini di rese più elevate e
ottimizzazione degli input (quindi minor utilizzo di fitofarmaci e
miglior impatto ambientale), dalle macchine operatrici a
funzionamento variabile, mentre il 27,5% dalle trattrici con guida
assistita o semi-automatica oppure con GPS integrato. Dalla survey
Nomisma si evince inoltre una limitata conoscenza dell’agri-tech.
Infatti il 31% di chi ha comprato software-centraline-sensori, ne è
venuto a conoscenza grazie ad internet, come pure il 23% di coloro
che hanno scelto hardware e trattrici.
Commenta
così Denis Pantini, direttore Nomisma Agroalimentare: «Per
quanto ancora poco conosciuta e diffusa, la “rivoluzione digitale”
sarà un processo inesorabile anche per l’agricoltura, con utilizzo
di strumenti differenziati a seconda degli orientamenti produttivi
aziendali. Gli effetti che derivano dall’adozione delle nuove
tecnologie digitali non sono esclusivamente economici (minori costi
e/o maggiori ricavi), ma interessano anche risvolti ambientali
(minori impatti produttivi e tutela delle risorse naturali) e
soprattutto sociali, dato che possono fungere da reale strumento di
attrazione per i giovani in questo settore e favorire così quel
ricambio generazionale tanto auspicato».
Secondo
Gianpiero Calzolari, presidente di Granarolo, «si parla di
4.0 e big data anche in campagna; è in atto un cambiamento senza
precedenti, nel nostro settore: l’aumento di produzione di latte a
parità di aziende agricole, o meglio a fronte di un calo della
numerosità delle aziende, testimonia di processi di integrazione ed
è il frutto di investimenti nella stalla e nei campi che introducono
le nuove tecnologie. I consumatori più giovani – prosegue
Calzolari - chiedono a chi produce di farlo in maniera
sostenibile, senza sprecare e senza consumare il paese; chiedono che
gli animali siano rispettati. Sostenibilità vuol dire meno acqua,
meno antibiotici, meno emissioni, meno diserbanti, più diritti per
chi lavora, più trasparenza sull’origine, meno plastica. Ma
sostenibilità deve comportare una remunerazione decorosa del lavoro
dell’imprenditore. Agli agricoltori, agli allevatori compete dunque
mettere a punto nuove professionalità, producendo con più
efficienza e meglio prodotti più salubri, in armonia con l’ambiente
e il territorio; all’industria dare valore alle materie prime,
alla distribuzione ed al consumatore responsabile farsi carico, per
quanto di competenza, dei costi di un cibo più buono e più giusto».
All’evento
bolognese è intervenuto anche il presidente di Confagricoltura,
Massimiliano Giansanti: «L’agricoltura 4.0 è già una
realtà ed ha un mercato di 100 milioni di euro, il 2,5% di quello
globale che vale 3,5 miliardi di euro; si avvale di 300 nuove
soluzioni tecnologiche, dalle innovazione in campo al packaging, che
è anch’esso “intelligente”. Però, nonostante i progressi
conseguiti, meno dell’1% della superficie coltivata è gestita con
soluzioni smart. Serve un’opera di informazione e divulgazione, per
facilitare le imprese a diventare più digitali, ma va pure avviato
un nuovo corso di promozione dell’innovazione superando i problemi
connessi all’esiguità delle risorse disponibili, ma anche e
soprattutto alla qualità dell’organizzazione del sistema, con
particolare riferimento ai nodi strutturali (dalle infrastrutture
alla digitalizzazione delle campagne) e al disegno delle politiche,
in una chiave di crescente orientamento alla domanda». Gli fa eco
Eugenia Bergamaschi, presidente regionale dell’organizzazione
agricola: «Gli associati ci chiedono politiche
che incrementino la redditività delle aziende, che
implicano un innalzamento degli standard quantitativi e qualitativi.
Lo sviluppo dell’agri-tech è la strada da percorrere. Con
l’ausilio di moderni sistemi di raccolta e analisi dei big
data, l’agricoltore potrà stilare un bilancio delle colture e fare
valutazioni previsionali ed economiche. Una rivoluzione
inarrestabile, ma che deve ancora fare i conti con le criticità
evidenziate da Nomisma: solamente il 7% delle imprese
emiliano-romagnole ha una superficie superiore ai 50 ettari e meno
del 20% registra un fatturato annuo superiore
ai 100mila euro. Serve l’aiuto delle Istituzioni italiane ed
europee per promuovere e valorizzare il made in Italy
agroalimentare».
Per
Paolo De Castro, primo vicepresidente della commissione
Agricoltura del Parlamento europeo, «la diffusione della cosiddetta
agricoltura 4.0 è e sarà tra gli obiettivi anche della prossima
Politica agricola comune. Un impianto normativo che rappresenta
l'occasione per promuovere innovazione, in particolare, nel campo
dell'agricoltura di precisione, o smart farming. L'uso di droni per
il rilevamento aereo dei terreni e il ricorso a big data per limitare
il ricorso a prodotti chimici, concentrandoli solo laddove ce n'è
davvero bisogno, in Emilia Romagna è ormai già abbastanza diffuso.
Questa è la strada da seguire per ridurre i costi di produzione,
preservando l'ambiente». Dello stesso parere Herbert Dorfmann,
membro del Parlamento europeo: «Il futuro della nuova Pac passa
anche dalla qualità e innovazione. Per questo sono convinto che
dobbiamo sostenere le aziende attive, quelle che fanno vera
agricoltura. Solo facendo così riusciremo a premiare e a sostenere i
nostri agricoltori. Il Parlamento europeo ha già lavorato alle
proposte legislative della prossima programmazione e speriamo di
arrivare presto ad un testo condiviso, nel quale siano garantiti
fondi per l’investimento in moderne tecnologie agricole».
Poi
Guglielmo Golinelli, deputato della Lega e allevatore di suini
nel Modenese, che ha sottolineato le criticità del sistema agricolo:
«Prima di affrontare le tematiche del futuro e dell’innovazione,
bisogna avere delle basi solide da cui partire. Spesso le politiche
europee sono basate su sistemi agricoli lontani dai nostri. Siamo
ultimi tra i grandi paesi Ue per il tasso di ricambio generazionale.
Gli indici di redditività media sono troppo bassi, quindi è
difficile intravedere una possibilità di rientro dell’investimento.
Quando si fa programmazione, bisogna sapere cosa si produce e quello
che chiede il mercato, invece mancano ancora le informazioni di base.
Infine la mia battaglia sulla trasparenza: il 26% dei consumatori
desidera acquistare i prodotti italiani, ma non siamo in grado di
fornirglieli perché le etichette non sono trasparenti».
Conclude
Simona Caselli, assessore all’Agricoltura della Regione
Emilia-Romagna: «La diffusione delle nuove
tecnologie nei campi è tra le priorità della nostra azione. Più di
tante parole, lo testimoniano i 50 milioni di euro stanziati
attraverso il Psr 2014-2020 a sostegno dei progetti di innovazione
dei Gruppi operativi, partnership tra centri di ricerca e imprese. Si
tratta dell’investimento più alto tra tutte le regioni italiane ed
europee, un primato che si rende orgogliosi. Nello specifico finora
abbiamo finanziato sei progetti nel campo dell’agricoltura di
precisione, per un contributo complessivo di oltre 1,4 milioni di
euro. Per noi sarà cruciale utilizzare l’agricoltura di precisione
integrandola nelle filiere dei prodotti Dop e Igp per una
digitalizzazione totale anche della tracciabilità e dei controlli».
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