domenica 12 maggio 2019

L’agri-tech in Emilia-Romagna

Propensione allo sviluppo e criticità: solo il 26% delle aziende intervistate ha investito in strumenti innovativi; la percentuale nazionale si ferma al 22%

Il focus Nomisma presentato a Bologna 

Emilia-Romagna e agri-tech: un binomio che stenta a decollare, anche se la propensione delle aziende agricole emiliano-romagnole ad investire in innovazione è superiore a quella nazionale. Lo dice il focus Nomisma, che sviluppa in chiave regionale uno studio condotto dal centro studi su oltre 1.000 aziende agricole presenti sul territorio nazionale, con l’obiettivo di fare luce sugli aspetti limitanti la diffusione delle nuove tecnologie, e che è stato presentato oggi a Bologna al convegno “Agricoltura FUTURA, tra strumenti e nuove tecnologie”, organizzato da Confagricoltura Emilia Romagna presso il Granarolo Auditorium.

In Emilia-Romagna (solo) il 26% delle aziende agricole intervistate ha investito finora in strumenti di precision farming (macchine operatrici a dosaggio variabile; trattrici con guida assistita; software, centraline, mappe e sensori; sistemi di raccolta, integrazione e analisi delle informazioni o big data) contro una percentuale nazionale che si ferma al 22%. Seminativi e allevamenti sono di gran lunga i settori più performanti. Ben definito è anche l’identikit dell’adopter 4.0: millennial, laureato ma anche perito agrario, con azienda zootecnica oppure cerealicola, di oltre 20 ettari, e un fatturato annuo superiore ai 50mila euro.

Ma cosa ostacola la corsa all’agri-tech in regione? Secondo il 29,9% degli intervistati, l’azienda non possiede le risorse economiche e, per il 32,8%, è troppo piccola quindi non interessata al cambio di passo. C’è poi un 9% che non ha investito perché privo della professionalità manageriale richiesta e un altro 7,5% che si affida a contoterzisti in grado di gestire tale strumentazione.

L’indagine si concentra anche su coloro che negli ultimi tre anni hanno svoltato passando all’utilizzo di strumenti di agricoltura 4.0: il 33% si dichiara soddisfatto, in termini di rese più elevate e ottimizzazione degli input (quindi minor utilizzo di fitofarmaci e miglior impatto ambientale), dalle macchine operatrici a funzionamento variabile, mentre il 27,5% dalle trattrici con guida assistita o semi-automatica oppure con GPS integrato. Dalla survey Nomisma si evince inoltre una limitata conoscenza dell’agri-tech. Infatti il 31% di chi ha comprato software-centraline-sensori, ne è venuto a conoscenza grazie ad internet, come pure il 23% di coloro che hanno scelto hardware e trattrici.

Commenta così Denis Pantini, direttore Nomisma Agroalimentare: «Per quanto ancora poco conosciuta e diffusa, la “rivoluzione digitale” sarà un processo inesorabile anche per l’agricoltura, con utilizzo di strumenti differenziati a seconda degli orientamenti produttivi aziendali. Gli effetti che derivano dall’adozione delle nuove tecnologie digitali non sono esclusivamente economici (minori costi e/o maggiori ricavi), ma interessano anche risvolti ambientali (minori impatti produttivi e tutela delle risorse naturali) e soprattutto sociali, dato che possono fungere da reale strumento di attrazione per i giovani in questo settore e favorire così quel ricambio generazionale tanto auspicato».

Secondo Gianpiero Calzolari, presidente di Granarolo, «si parla di 4.0 e big data anche in campagna; è in atto un cambiamento senza precedenti, nel nostro settore: l’aumento di produzione di latte a parità di aziende agricole, o meglio a fronte di un calo della numerosità delle aziende, testimonia di processi di integrazione ed è il frutto di investimenti nella stalla e nei campi che introducono le nuove tecnologie. I consumatori più giovani – prosegue Calzolari - chiedono a chi produce di farlo in maniera sostenibile, senza sprecare e senza consumare il paese; chiedono che gli animali siano rispettati. Sostenibilità vuol dire meno acqua, meno antibiotici, meno emissioni, meno diserbanti, più diritti per chi lavora, più trasparenza sull’origine, meno plastica. Ma sostenibilità deve comportare una remunerazione decorosa del lavoro dell’imprenditore. Agli agricoltori, agli allevatori compete dunque mettere a punto nuove professionalità, producendo con più efficienza e meglio prodotti più salubri, in armonia con l’ambiente e il territorio; all’industria dare valore alle materie prime, alla distribuzione ed al consumatore responsabile farsi carico, per quanto di competenza, dei costi di un cibo più buono e più giusto».

All’evento bolognese è intervenuto anche il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti: «L’agricoltura 4.0 è già una realtà ed ha un mercato di 100 milioni di euro, il 2,5% di quello globale che vale 3,5 miliardi di euro; si avvale di 300 nuove soluzioni tecnologiche, dalle innovazione in campo al packaging, che è anch’esso “intelligente”. Però, nonostante i progressi conseguiti, meno dell’1% della superficie coltivata è gestita con soluzioni smart. Serve un’opera di informazione e divulgazione, per facilitare le imprese a diventare più digitali, ma va pure avviato un nuovo corso di promozione dell’innovazione superando i problemi connessi all’esiguità delle risorse disponibili, ma anche e soprattutto alla qualità dell’organizzazione del sistema, con particolare riferimento ai nodi strutturali (dalle infrastrutture alla digitalizzazione delle campagne) e al disegno delle politiche, in una chiave di crescente orientamento alla domanda». Gli fa eco Eugenia Bergamaschi, presidente regionale dell’organizzazione agricola: «Gli associati ci chiedono politiche che incrementino la redditività delle aziende, che   implicano un innalzamento degli standard quantitativi e qualitativi. Lo sviluppo dell’agri-tech è la strada da percorrere. Con l’ausilio di moderni sistemi di raccolta e analisi dei big data, l’agricoltore potrà stilare un bilancio delle colture e fare valutazioni previsionali ed economiche. Una rivoluzione inarrestabile, ma che deve ancora fare i conti con le criticità evidenziate da Nomisma: solamente il 7% delle imprese emiliano-romagnole ha una superficie superiore ai 50 ettari e meno del 20% registra un fatturato annuo superiore ai 100mila euro. Serve l’aiuto delle Istituzioni italiane ed europee per promuovere e valorizzare il made in Italy agroalimentare».

Per Paolo De Castro, primo vicepresidente della commissione Agricoltura del Parlamento europeo, «la diffusione della cosiddetta agricoltura 4.0 è e sarà tra gli obiettivi anche della prossima Politica agricola comune. Un impianto normativo che rappresenta l'occasione per promuovere innovazione, in particolare, nel campo dell'agricoltura di precisione, o smart farming. L'uso di droni per il rilevamento aereo dei terreni e il ricorso a big data per limitare il ricorso a prodotti chimici, concentrandoli solo laddove ce n'è davvero bisogno, in Emilia Romagna è ormai già abbastanza diffuso. Questa è la strada da seguire per ridurre i costi di produzione, preservando l'ambiente». Dello stesso parere Herbert Dorfmann, membro del Parlamento europeo: «Il futuro della nuova Pac passa anche dalla qualità e innovazione. Per questo sono convinto che dobbiamo sostenere le aziende attive, quelle che fanno vera agricoltura. Solo facendo così riusciremo a premiare e a sostenere i nostri agricoltori. Il Parlamento europeo ha già lavorato alle proposte legislative della prossima programmazione e speriamo di arrivare presto ad un testo condiviso, nel quale siano garantiti fondi per l’investimento in moderne tecnologie agricole».

Poi Guglielmo Golinelli, deputato della Lega e allevatore di suini nel Modenese, che ha sottolineato le criticità del sistema agricolo: «Prima di affrontare le tematiche del futuro e dell’innovazione, bisogna avere delle basi solide da cui partire. Spesso le politiche europee sono basate su sistemi agricoli lontani dai nostri. Siamo ultimi tra i grandi paesi Ue per il tasso di ricambio generazionale. Gli indici di redditività media sono troppo bassi, quindi è difficile intravedere una possibilità di rientro dell’investimento. Quando si fa programmazione, bisogna sapere cosa si produce e quello che chiede il mercato, invece mancano ancora le informazioni di base. Infine la mia battaglia sulla trasparenza: il 26% dei consumatori desidera acquistare i prodotti italiani, ma non siamo in grado di fornirglieli perché le etichette non sono trasparenti».

Conclude Simona Caselli, assessore all’Agricoltura della Regione Emilia-Romagna: «La diffusione delle nuove tecnologie nei campi è tra le priorità della nostra azione. Più di tante parole, lo testimoniano i 50 milioni di euro stanziati attraverso il Psr 2014-2020 a sostegno dei progetti di innovazione dei Gruppi operativi, partnership tra centri di ricerca e imprese. Si tratta dell’investimento più alto tra tutte le regioni italiane ed europee, un primato che si rende orgogliosi. Nello specifico finora abbiamo finanziato sei progetti nel campo dell’agricoltura di precisione, per un contributo complessivo di oltre 1,4 milioni di euro. Per noi sarà cruciale utilizzare l’agricoltura di precisione integrandola nelle filiere dei prodotti Dop e Igp per una digitalizzazione totale anche della tracciabilità e dei controlli».       

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