Inedita testimonianza sui giorni dopo l'armistizio: «A Sussak fecero sparire un migliaio di corpi trasformandoli in sapone»
Richiesto per il 'Giorno del Ricordo'
I
partigiani di Tito portavano in una cartiera i «nemici del popolo»
con un furgone della polizia italiana, che avevano sequestrato, per
ridurli letteralmente a pezzi in barbare esecuzioni. Poi si
disfacevano per sempre dei resti nel vicino saponificio, come i
nazisti.
L'orrore
perpetrato vicino a Fiume subito dopo l'armistizio dell'8 settembre
1943 viene rivelato per la prima volta da un'inedita
testimonianza scritta anni fa e mai resa pubblica, in possesso
del Giornale. La mattanza di prigionieri croati o italiani andò
avanti per giorni, come in altre parte dell'Istria, dove i
partigiani jugoslavi assunsero il controllo fra il settembre ed il
novembre 1943 nella prima ondata delle foibe.
«Questo
fatto che ora vado a raccontare sembra inverosimile e lo dico come
lo ebbi a sapere» scrive l'autore dell'inedita violenza alle porte
di Fiume, che nel 1943 aveva poco più di vent'anni e faceva il
servizio militare a Sussak, a pochi chilometri dal capoluogo del
Quarnaro. Al Giornale ha chiesto di restare anonimo perché, sembra
incredibile, ma dopo 75 anni continua ad avere paura.
I
testimoni di questa terribile storia delle violenze titine furono
disarmati diversi giorni dopo l'8 settembre e trasferiti a Pola dai
tedeschi, che dopo un mese ripresero il pieno controllo dell'Istria
con altrettanta brutalità.
«Quando
fummo concentrati nel campo sportivo militare fuori della città di
Pola, mi sentii chiamare venendomi incontro il carabiniere
Moscatello (che era accantonato a Sussak, nda) - si legge nella
testimonianza scritta - Piuttosto agitato mi disse: Ti ricordi Hai
presente che il giorno dopo l'armistizio dell'otto settembre per due
giorni si vedeva passare diverse volte e per tutto il giorno un va e
vieni del furgone nero della Polizia Italiana?». A Sussak si era
insediato il comando del II corpo d'armata Slovenia-Dalmazia del
nostro esercito. Nel vuoto provocato dall'8 settembre i partigiani
occuparono il centro abitato per una settimana fino alla
controffensiva tedesca. E molti soldati italiani allo sbando
rimasero sul posto. Il testimone ancora in vita ricorda che «andai
al comando e dietro la scrivania del colonnello era seduto il capo
dei partigiani, figlio dell'oste del paese».
In
poco meno di un mese i partigiani di Tito dichiararono l'annessione
dell'Istria alla futura Jugoslavia cominciando a perseguitare chi
rappresentava l'Italia. Maestri, funzionari pubblici, agenti di
sicurezza e loro congiunti furono prelevati e uccisi. Gli italiani
trucidati risultarono almeno un migliaio, ma anche i croati poco
allineati con Tito, non solo militari, erano condannati ad una
brutta fine.
Nel
1943 il carabiniere Moscatello raccontò al testimone ancora in
vita, che il cellulare della nostra polizia sequestrato dai
partigiani andava a prelevare i nemici del popolo e «...velocemente
entrava nello stabilimento della cartiera...» di Sussak. Il
carabiniere confidò al commilitone «che di nascosto entrò nella
cartiera... e assistette a una cosa impressionante». Dal furgone
della polizia «appena entrato facevano scendere le persone
all'interno e le ammazzavano facendole immediatamente a pezzi».
Brutali esecuzioni sommarie, ma sapendo che ben presto sarebbero
tornati i tedeschi in forze, i partigiani non volevano lasciare
tracce di cadaveri infoibati o fosse comuni. «Moscatello ebbe anche
a vedere che poi i pezzi venivano messi sulle cassette di legno per
essere trasportate con il carretto nell'adiacente saponificio - si
legge nella testimonianza scritta - passando per un piccolo
ponticello in legno attraversando il fiume Eneo». I resti umani
venivano fatti sparire per sempre trasformandoli in saponi.
Il
carabiniere testimone della mattanza potrebbe essere Venanzio
Moscatello, classe 1910, scomparso da tempo. Fra il 1942 e 1943 è
stato in servizio al comando italiano Slovenia-Dalmazia a Sussak,
come dimostrano gli attestati militari. Purtroppo anche il figlio è
morto, ma il Giornale è riuscito a recuperare una foto del
carabiniere. Il commilitone che raccolse la sua terribile
rivelazione nel 1943 lo ha riconosciuto: «È lui senza dubbio».
E
nel suo scritto ricorda come il testimone sia scampato alle
esecuzioni nella cartiera della morte vicino a Fiume: «Moscatello
mi disse che inorridito, sempre di nascosto si ritirò non potendo
fare niente. Se lo avessero visto avrebbe certamente fatto la stessa
fine».
1 commento:
Una storia orribile; e' sicuro comunque che altre nefandezze furono compiute nella zona ai danni di italiani.
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