mercoledì 16 aprile 2014

Lo scrittore Kossi Komla-Ebri a Vado di Monzuno per parlare di ‘imbarazzismi’, un imbarazzo che non è ancora razzismo ma si nutre di pregiudizi.




Appuntamento culturale sabato prossimo 19 aprile alla biblioteca Comunale Giorgio Celli di Vado .  Irene Spadaro, redattrice di Radio Frequenza Appennino, incontrerà infatti lo scrittore Kossi Komla Ebri (nella foto) , per un dialogo radiofonico che mescola colloquio, letture e musica coinvolgendo non solo i radio ascoltatori ma anche il pubblico presente in sala. L'incontro sarà accompagnato dalle musiche dal vivo del musicista Carlo Maver .

Ingresso gratuito.
Diretta streaming su RFA – Radio Frequenza Appennino http://www.frequenzappennino.com/
Nato in Togo sessant'anni fa, Kossi Komla Ebri è un medico chirurgo che opera a Como e che è legato a Bologna dove studiò all'università grazie all'ospitalità del Collegio Internazionale ‘Villa San Giacomo’ voluto dal cardinal Lercaro. È da sempre impegnato nel sociale operando per l'incontro di culture diverse, come mediatore culturale nel mondo della scuola e della sanità, come redattore di riviste che si occupano di letteratura e migrazione. Per questo impegno è stato insignito del premio “Microcosmo d'oro” nel 2000 e del premio Amilcar Cabral nel 2011.
La sua produzione letteraria è legata soprattutto al racconto, la forma di scrittura sui cui si è maggiormente espresso: vanta al suo attivo alcune raccolte quali ‘La sposa degli dei (2005)’,  ‘All'incrocio dei sentieri (2009)’, ‘Vita e Sogni (2007)’, ma anche un romanzo, Neyla, del 2002.
È autore del neologismo ‘imbarazzismo’, fusione di imbarazzo e razzismo, termine con il quale descrive un imbarazzo spesso legato ad un modo troppo convenzionale di pensare e di vedere gli altri, un imbarazzo che non è ancora razzismo ma che si nutre comunque di pregiudizi. Nel 2002 ha pubblicato appunto la raccolta ‘Imbarazzismi”’(2002)in cui presenta, con estrema ironia, una serie di aneddoti che bene ritraggono l'immagine di noi italiani così come viene percepita dai migranti nella vita quotidiana. Episodi che denunciano una profonda arretratezza culturale, ben rappresentati dal negoziante che si permette di mandare via un ragazzo di colore che entra per fare acquisti con un “Non compro niente, grazie”, oppure dalla signora compassionevole che ammira l'africano che accompagna due bambini di carnagione più chiara al parco - considerandolo un volenteroso baby sitter -  escludendo a priori la possibilità che i due possano essere suoi figli.

1 commento:

Cesare Zecca ha detto...

> spesso legato ad un modo troppo convenzionale di pensare e di vedere gli altri
> un imbarazzo che non è ancora razzismo ma che si nutre comunque di pregiudizi

L'incontro con persone di culture diverse è umanamente legato ad imbarazzo.
E' famosa la foto ritrae un abitante degli altipiani della Nuova Guinea che piange in preda al terrore di fronte al primo uomo bianco, durante la spedizione di Leahy del 1933.
Cosa diciamo, che l'indigeno era razzista con quei bianchi?

Il confronto con il nuovo comporta il fatto di non poter usare schemi comportamentali e relazionali noti basati sul pregresso. Quando rispondiamo al telefono con 'Pronto' e dall'altra parte c'è una persona anglofona, ad esempio, usiamo una convenzione (assumiamo che l'interlocutore parli in italiano,è un pre-giudizio) usiamo un comportamento di massima.
Questo ovviamente non c'entra assolutamente nulla con il razzismo e solo una mentalità (anti)razzista può interpretare questi comportamenti in quella chiave.

Stupirsi che una persona possa considerare che un uomo di pelle scura accudisca due bambini di pelle chiara come bambinaio dei due è sciocco se non malevolo. Considerando che fino a poco tempo fa gran parte della popolazione italiana non viveva (e nelle parti rurali ancora non vive) in società multietniche questa reazione è del tutto ovvia e naturale.
Lo stesso comportamento sarebbe infatti assunto se Pino Cavicchioli, uomo bianco reggiano, si trovasse in un paese uzbeko o in un paese delle Ande peruviane con due bambini locali.

Considero piuttosto (anti)razziste queste considerazioni.