Di Claudio Evangelisti
Virgilio Burzi con la divisa della fanteria americana. |
Appennino 1944: il soldato Burzi arruolato e decorato dagli U.S.A.
RICORDI DI GUERRA del RED BULL di PIAN DEL VOGLIO.
Virgilio Burzi nasce nel 1928 a Pian del Voglio, là
dove il feudo del conte bolognese Ranuzzi de Bianchi confina con la Toscana. Nel 1944
l’allora sedicenne Burzi che durante la seconda guerra mondiale costruiva
bunker e fossati anticarro per l’organizzazione tedesca Todt, fu l’unico
volontario dell’Appennino bolognese ad indossare con onore la divisa dei famosi
Red Bulls americani. Il 26 settembre del 1944 mentre la 34° divisione americana del generale Bolte
cercava di sfondare la linea gotica, la
1^ compagnia del 168° reggimento di fanteria americana Red Bull arrivò
alla Calcinaia di Pian del Voglio subito dopo aver conquistato Bruscoli, nel
vano tentativo di arrivare a Bologna prima dell’inverno. Il 168° reggimento che
era salpato da Brooklin nel gennaio del 1942, si distingueva per il caratteristico toro rosso dipinto
sull’elmetto e molti di loro erano di origine italiana . Proprio uno di questi
soldati si mise a chiedere informazioni al giovane manovale che conosceva molto
bene le linee di difesa tedesche. Questo fante americano si chiamava Albert
Buleo era un’italo americano di Brooklin e tra i due ragazzi nacque subito
un’istintiva simpatia. Albert chiese a Virgilio dove erano appostati i tedeschi
e si sentì rispondere dal ragazzo che non solo glielo avrebbe indicato ma che
era disponibile ad andare con loro. I fanti americani acconsentirono, fecero
indossare al ragazzo un cappotto grigioverde italiano e si incamminarono alla
conquista del santuario di Monte Armato, dove dal campanile della chiesa, una
squadra tedesca batteva con la mitragliatrice tutta la zona circostante. Una
volta arrivati a Montefredente, il giovane “scout” montanaro venne subito
armato di fucile “Garand”, gli fu consegnata una bandoliera con 10 caricatori
da 5 colpi l’uno e gli affidarono l’incarico di aiuto mitragliere; alle tre di
notte ci fu l’adunata e il plotone venne schierato alle pendici del santuario
pronto a scattare in avanti per coprire i trecento metri allo scoperto che li
separavano dal presidio tedesco.
In licenza a Livorno Burzi primo a destra
abbracciato a Russel primo a sx
ghilbert |
All’alba il tenente americano della 1°
compagnia Red Bull suonò l’attacco con il fischietto come i fanti sull’Isonzo
nella prima guerra mondiale e la mitraglia tedesca cominciò a seminare morti e
feriti ovunque: << quello scontro
fu il mio battesimo del fuoco-racconta Burzi- ricordo bene che la mitraglia tedesca alternava raffiche con
pallottole normali a quelle con
proiettili traccianti e proprio
un tracciante uccise un mio compagno a pochi metri da me>>. Due
fischi sancirono la ritirata e dopo altri due attacchi senza esito e almeno una
trentina di Red Bulls uccisi, il tenente pensò bene di risolvere la pericolosa situazione all’americana: inviò
le coordinate all’artiglieria che distrusse la chiesa lasciando il campanile
con la metà verticale ancora in piedi, ma poco dopo arrivò un carro armato
americano che con il suo cannoncino da 88 rase al suolo il campanile: << Quando avanzai verso i resti della chiesa
vidi i cinque difensori tedeschi morti sotto i calcinacci, i tedeschi si erano
battuti valorosamente fino all’ultimo>>. Il giorno dopo Virgilio
partecipò ad un altro combattimento per liberare il borgo di Qualto dai
tedeschi e lì fece amicizia con il commilitone Hermann Ghilbert un tipaccio di
origine tedesca che ce l’aveva a morte con i nazisti per il fatto che i suoi
genitori scappati dalla Germania e arrivati in U.S.A. erano stati mandati in un
campo di concentramento dagli americani perché nativi tedeschi: <<ma non sarebbe stato più logico avercela con
gli americani? -dice Burzi- vallo a
capire…>>. E che il biondo americano di madre lingua tedesca non
avesse tutte le rotelle a posto lo si comprese meglio il giorno in cui Burzi
catturò 7 tedeschi dopo una pattugliata notturna in val di Zena: quando
Ghilbert vide sfilare davanti a lui i tedeschi prigionieri con le mani alzate,
si mise a sparare da una finestra uccidendone 5 a sangue freddo; il “crucco”
americano rischiò la corte marziale ma in seguito venne messo a tacere
l’accaduto. Burzi fu anche testimone della strage di Marzabotto allorquando il
suo reggimento si stabilì nel castello della Polverara a Rioveggio. Dall’altra
parte del fiume Setta c’erano i tedeschi che tutti i giorni salutavano gli
americani con le raffiche di una mitraglia installata su un carrello
ferroviario che tirava delle sventagliate con proiettili da 20 mm tra una galleria
all’altra. <<Una mattina,
proveniente dall’altra parte del Setta, si presentò un civile che era stato
ferito da una baionettata alla coscia e ci urlò di accorrere dall’altra parte
del fiume verso la zona di Gardeletta dove diceva che c’era stato un massacro
di civili. Il nostro comandante ci ordinò di andare di pattuglia e così
scoprimmo che alla Quercia sulla strada che porta a Monte Sole, attorno a una casa
c’erano almeno 60 persone uccise dai nazifascisti>>. Prima di
rientrare alla base Burzi ebbe anche il tempo di soccorrere un partigiano della
brigata Stella Rossa nei dintorni di Casaglia, si chiamava Galli ed era stato
ferito alla pancia dai tedeschi. Anche lui come Vox Populi dixit dichiarò che
il mitico comandante Mario Musolesi detto Lupo non fu ucciso dai tedeschi, ma
che venne eliminato nel corso di un litigio con i suoi subalterni che
preferivano ritirarsi senza combattere mentre il “Lupo” che era nativo della
zona, voleva proteggere la popolazione dal rastrellamento che sfociò nel
famigerato eccidio di Marzabotto. Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre
1944, dopo che Burzi fu ferito da una scheggia di granata a Monte delle
Formiche, il comando americano decise di tutelare il giovane montanaro di Pian
del Voglio arruolandolo come soldato
dell’esercito americano a tutti gli effetti. Ricondotto in prima linea, il 14
novembre subì una seconda grave ferita
in Val di Zena, quando un proiettile tedesco di rimbalzo lo colpì al petto e le
costole fermarono la palla a due centimetri dal cuore. L’esercito americano per
ogni ferita riconosceva 5 dollari al mese in più di paga cosicché con
l’aggiunta di 10 dollari per le due ferite, lo stipendio mensile ammontava alla
considerevole cifra di 110 dollari al mese, una fortuna! Nel frattempo dopo
aver sloggiato la brigata partigiana Stella Rossa e ucciso tutti i civili della
zona, i tedeschi fortificarono Monte Sole e da lì non si passava. Il 15 aprile
del 1945 dopo la pausa invernale invocata dal generale Alexander, riprende
l’avanzata alleata che sferra l’attacco decisivo a Monte Sole: è l’offensiva
finale che porterà gli alleati a Bologna. Quella domenica pomeriggio Virgilio
Burzi è bloccato dal fuoco nemico fra i ruderi di Casaglia e da lì vede ondate
ininterrotte di bombardieri inglesi che per due ore dalle 13 alle 15 lasciano
cadere bombe al fosforo, ma invece di colpire i tedeschi, le bombe incendiarie
rotolano nel versante occupato sopratutto dagli uomini della Sesta Armata
sudafricana facendo una strage: parecchi fanti americani e tantissimi
sudafricani vengono così orrendamente uccisi e ora riposano nel cimitero di
Castiglione dei Pepoli. A ricordo di quel triste giorno i fanti del 168°
reggimento Red Bull apposero un nastrino nero sulla divisa. Il 16 aprile Monte
Sole venne conquistata dai Sudafricani ed infine il 20 aprile 1945, quando i
tedeschi si ritirarono da Bologna, Virgilio Burzi entrò in città dalla parte di
San Ruffillo alla testa delle truppe alleate che dilagavano dalla s.s. Futa
mentre i polacchi entravano dalla via Emilia a San Lazzaro. Il 21 aprile 1945
Bologna era finalmente libera!
Il signor Burzi a 84 anni nella casa di Madonna dei
Fornelli con la foto autografata da Coppi e Bartali
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Il film sulla straordinaria vita di Virgilio Burzi
prosegue con la sua testimonianza all’indomani della liberazione di
Bologna:<<dopo 50 giorni di fronte
ci concedevano 10 giorni di riposo nelle retrovie e quando arrivammo in licenza
a Livorno dove c’erano anche gli inglesi, tutte le sere ci pestavamo a sangue
con loro>> Gli inglesi
detestavano gli americani perché erano sempre un pò trasandati e Burzi
ricorda bene quando gli impettiti ufficiali britannici passeggiando sul
marciapiede allontanavano i Red Bulls con il frustino perché gli si concedesse
il passaggio:<<noi ci toglievamo il
cinturone ce lo arrotolavamo nella mano dalla parte della fibbia è giù botte a
quegli stronzi! Prima che la Military Police ci fermasse ne abbiamo mandati
parecchi all’ospedale>>. Da Bologna il reggimento proseguì in
direzione di Milano dove vi furono altri combattimenti contro le retroguardie
tedesche a Reggio Emilia e a Parma, giunti a Vercelli arrivò la notizia che la
guerra era finita. La 34° divisione americana venne così schierata a Colle di
Tenda poiché i Gollisti volevano annettersi parte del territorio italiano ma la
controversia venne risolta e quindi furono spostati a Berlino. Nella capitale
del Reich invasa dai Russi chi andava in libera uscita era obbligato ad uscire
con almeno tre commilitoni disarmati:<<ma io non mi fidavo -continua Burzi- e mi presi dietro la pistola. Una sera ero insieme ad un sergente e
sulla strada c’era un russo ubriaco fradicio che sparava raffiche a tutti
quelli che passavano, il sergente mi prese la pistola per difendersi e sparò al
russo uccidendolo. Poi per evitare il processo internazionale e la galera fummo
trasferiti alla 85°divisione di stanza in Austria e quando il mio reggimento si spostò
a Tarvisio tornai in forza alla 34° divisione >>. Sulla linea
di confine con la Jugoslavia gli americani avevano il compito di difendere il
territorio di Trieste dalle mire dei partigiani di Tito. Gli americani pagarono
cara quell’esperienza poichè più di una volta furono vittime degli agguati dei
comunisti titini:<< capitava molto
spesso che gli slavi tendessero imboscate ai portaordini in motocicletta e alla
pattuglie sulle jeep tirando un’invisibile filo di ferro sulla strada
all’altezza della gola, perciò molti americani vennero tragicamente uccisi o
feriti in questo modo>>. Burzi rimase in forza all’esercito americano
per 6 anni fino al 1949 e quando era già stato promosso Sergente Maggiore fece
l’errore di congedarsi. Avrebbe potuto godere di molti privilegi, era stato
decorato per l’ottima condotta riportata sui campi di battaglia e aveva diritto
alla cittadinanza americana, ma per effetto del tanto denaro che era riuscito
ad inviare a casa, il padre Gino Burzi di ritorno dai lavoro forzati in
Germania, era riuscito ad avviare un’importante commercio di legname e carbone
a Bologna:<< i 110 dollari di paga
li convertivo alla borsa nera con 7000 lire italiane che all’epoca erano una
cifra enorme e a me che avevo vitto e alloggio già pagato, bastava rivendere le
stecche di sigarette che l’esercito mi regalava per avere quel che mi bastava.
Mio padre mi disse che aveva bisogno di me per ampliare l’azienda e mi allettò
dicendomi che c’era un’Alfa nuova fiammante che mi aspettava nel garage
dell’appartamento di via Rialto a Bologna>>. Per l’ex Sergente
Maggiore degli U.S.A. i primi tempi a Bologna furono splendidi, i Burzi
possedevano un grande magazzino vicino al Tribunale con due autocarri Isotta
Fraschini per la consegna del legname e inoltre godevano della bella vista
su piazza Galvani dal loro ufficio sopra il Pavaglione. Ma da
qui in poi il racconto assume i contorni di una fiction televisiva:<< un bel giorno capitò in ufficio una bella
signora che non avevo mai visto, disse che era stata l’amante di mio padre e
sventolandomi un mazzo di cambiali in bianco firmate da mio padre mi comunicò
che suo zio era un avvocato e tutto quello che era nostro era già passato nelle
loro mani. Mi precipitai a prendere il mio “Alfone” ma anche quello era già
stato confiscato visto che era intestato
alla ditta…>>. Come si può immaginare i rapporti con il padre che nel
frattempo si era trasferito a Prato non furono dei più cordiali e per fortuna
che l’amareggiato Virgilio trovò da lavorare come commesso presso un’azienda
concorrente. Destino volle che un’amico di Burzi venne a riferirgli che un’importante multinazionale
francese aveva bisogno di una persona che parlasse bene l’inglese.
Burzi con gli occhiali al 41 Giro d'Italia. |
L’azienda in
questione era l’Aspro quella famosa aspirina resa celebre dai Carosello di
allora. Con l’Aspro che sponsorizzava il Giro d’Italia e il Tour de France
collaborò per ben 21 anni, diventando direttore del parco macchine che seguiva
i ciclisti in tutti i giri a tappe più famosi d’Europa. Ora Virgilio Burzi
all’età di 84 anni può godersi la pensione nella sua casa di Madonna dei
Fornelli tra le tante foto autografe dei ciclisti di allora, con una lucidità e
una forma fisica davvero invidiabile. Infatti i suoi ex commilitoni lo invitano
ancora alle riunioni dei veterani negli States. Quando gli si chiede cosa pensa
della guerra, Burzi afferma senza incertezze che è la peggiore disgrazia che
possa accadere all’umanità. Degli alleati ricorda bene il detestabile
comportamento degli altezzosi ufficiali inglesi che disprezzavano i soldati
delle loro colonie e sfottevano gli americani per l’abbigliamento trasandato.
In Italia durante il secondo conflitto mondiale era in voga un detto: “che Dio
stramaledica gli inglesi!” Ebbene, non presentatevi dal sig. Burzi con
l’accento della “perfida Albione”: quando era in licenza assieme ai suoi Red
Bulls ne mandava parecchi all’ospedale dopo risse furiose e tutt’ora non sembra
aver cambiato idea…
2 commenti:
Una lunga e bella storia!
Troppo lunga......
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