Un lettore ha inviato:
«Le elezioni si possono vincere o perdere, ma poi il
giorno dopo c’è sempre il partito», amava ripetere Gianni
Cuperlo prima di perdere le primarie contro Renzi. Una frase
emblematica perché il partito è stato per tanto tempo,
soprattutto da queste parti, una comunità di destino ma anche un
funzionale ufficio di collocamento. Ma non è più così, o almeno
la domanda di poltrone supera di gran lunga l’offerta. Da anni
seppure in modo tortuoso si è andati avanti ad «affamare la
bestia» e tra interventi da Roma e progetti di autoriforma locale
le poltrone a disposizione della politica, che qui vuole dire il
Pd, sono state ridotte drasticamente. E in molti casi anche la loro
appetibilità economica. Il calo delle tessere ha tante ragioni,
una di queste è proprio il fatto che il partito non possa più
occuparsi di te e garantire carriere. Abbiamo provato a fare un po’
di conti e solo per il Pd di Bologna abbiamo calcolato 70 poltrone
in meno, 70 stipendi veri che la politica non può più garantire.
E il conto è certamente aggiornabile.
Il partito di maggioranza relativa in città ha undici posti in meno da distribuire nella ex Provincia. La riforma Delrio è stata pasticciata, si poteva fare meglio ma le poltrone abolite (tra presidente di provincia, assessori e presidente del consiglio provinciale) sono dodici. Chi fa oggi il consigliere delegato lo fa a titolo gratuito, lo stipendio lo prende nell’ente in cui è stato eletto. Si arriva a quindici poltrone tagliate contando che a giugno si voterà per sei nuovi presidenti di quartiere anziché nove, tre in meno, per effetto degli accorpamenti. Un presidente di quartiere che governa un territorio da 60.000 persone prende circa 2.500 euro netti circa ai quali vanno tolti quelli da dare al partito, un buon stipendio ma non certo una cifra da nababbi. Va comunque molto peggio ai consiglieri di quartiere, 36 euro lordi a gettone. Nemmeno fare il consigliere comunale è il passaporto verso la ricchezza. Il gettone di presenza è di 72 euro lordi a seduta di consiglio comunale o commissione. Uno potrebbe anche mettere insieme un bel gruzzolo, ma la Finanziaria del 2008 ha imposto dei limiti: un consigliere di quartiere ha come tetto massimo 934 euro lordi, un quarto della somma lorda del presidente. Un consigliere comunale non può superare i 2.395 euro, un quarto dell’indennità del sindaco. Un consigliere comunale che partecipa a 33 sedute di commissione o di consiglio arriva a circa 1700 euro netti, dai quali va sottratto il contributo obbligatorio al partito. Diciamo che un consigliere del Pd che è a Palazzo d’Accursio tutti i giorni mette in tasca 1300 euro per dieci mesi. E c’è anche chi, è il caso di Benedetto Zacchiroli, è anche assessore metropolitano e praticamente fa politica a tempo pieno.
Eravamo a quota 15 poltrone tagliate. A questo numero bisogna aggiungere i posti tagliati nei cda dalle società partecipate: due a Tper, 4 all’Interporto, due al Caab. E arriviamo a quota 23. Il grosso della cifra delle poltrone tagliate arriva dallo stesso partito: quando ci fu il trasferimento in via Rivani da via della Beverara i dipendenti dei Ds erano 49, oggi al Pd restano 13 dipendenti, 36 poltrone in meno e arriviamo a 59. In città c’erano poi tre aziende di servizi alla persona, oggi ce n’è una sola. Contando solo il presidente, fanno altre due poltrone in meno. E siamo a 61. Sono poi state chiuse quattro aziende partecipate: Promobologna, Bologna Turismo, Seribo e Sintra. E anche qui contando solo i presidenti fanno 4 poltrone in meno. E arriviamo a 65. E poi ci sono state le fusioni dei Comuni, Valsamoggia ha sostituito i cinque Comuni di prima, Altoreno ha sostituito Porretta e Granaglione. In pratica cinque sindaci, cinque poltrone in meno. Siamo a 70 e arriviamo a 74 se passa la riforma costituzionale che abolisce il Senato così come è oggi, visto che il Pd di Bologna esprime 4 senatori.
La cura dimagrante era inevitabile ma c’è un risvolto del tema: c’è chi dice ad esempio che se la politica non riesce a pagare uno stipendio allettante allora è destinata a perdere le energie migliori e vede scadere ulteriormente la qualità della classe dirigente. Discorso difficile, complicato. I giovani hanno capito che l’aria è cambiata e si tengono stretti i loro lavori. Il problema è per quelli più in là con gli anni che hanno vissuto all’ombra del partito-mamma e per loro, sia detto senza malizia, l’unico ufficio di ricollocamento che ancora un po’ funziona è quello del movimento cooperativo. Vittorio Feltri ha detto con la sua solita schiettezza che «fare il sindaco ormai è da sfigati», anche per lo stipendio. La politica dovrebbe essere molto di più perché certo quando Giuseppe Dossetti e Beniamino Andreatta sedevano in consiglio comunale non lo facevano per i soldi ma per l’onorabilità della funzione che esercitavano. Ma siamo sicuri che sia ancora così?
Il partito di maggioranza relativa in città ha undici posti in meno da distribuire nella ex Provincia. La riforma Delrio è stata pasticciata, si poteva fare meglio ma le poltrone abolite (tra presidente di provincia, assessori e presidente del consiglio provinciale) sono dodici. Chi fa oggi il consigliere delegato lo fa a titolo gratuito, lo stipendio lo prende nell’ente in cui è stato eletto. Si arriva a quindici poltrone tagliate contando che a giugno si voterà per sei nuovi presidenti di quartiere anziché nove, tre in meno, per effetto degli accorpamenti. Un presidente di quartiere che governa un territorio da 60.000 persone prende circa 2.500 euro netti circa ai quali vanno tolti quelli da dare al partito, un buon stipendio ma non certo una cifra da nababbi. Va comunque molto peggio ai consiglieri di quartiere, 36 euro lordi a gettone. Nemmeno fare il consigliere comunale è il passaporto verso la ricchezza. Il gettone di presenza è di 72 euro lordi a seduta di consiglio comunale o commissione. Uno potrebbe anche mettere insieme un bel gruzzolo, ma la Finanziaria del 2008 ha imposto dei limiti: un consigliere di quartiere ha come tetto massimo 934 euro lordi, un quarto della somma lorda del presidente. Un consigliere comunale non può superare i 2.395 euro, un quarto dell’indennità del sindaco. Un consigliere comunale che partecipa a 33 sedute di commissione o di consiglio arriva a circa 1700 euro netti, dai quali va sottratto il contributo obbligatorio al partito. Diciamo che un consigliere del Pd che è a Palazzo d’Accursio tutti i giorni mette in tasca 1300 euro per dieci mesi. E c’è anche chi, è il caso di Benedetto Zacchiroli, è anche assessore metropolitano e praticamente fa politica a tempo pieno.
Eravamo a quota 15 poltrone tagliate. A questo numero bisogna aggiungere i posti tagliati nei cda dalle società partecipate: due a Tper, 4 all’Interporto, due al Caab. E arriviamo a quota 23. Il grosso della cifra delle poltrone tagliate arriva dallo stesso partito: quando ci fu il trasferimento in via Rivani da via della Beverara i dipendenti dei Ds erano 49, oggi al Pd restano 13 dipendenti, 36 poltrone in meno e arriviamo a 59. In città c’erano poi tre aziende di servizi alla persona, oggi ce n’è una sola. Contando solo il presidente, fanno altre due poltrone in meno. E siamo a 61. Sono poi state chiuse quattro aziende partecipate: Promobologna, Bologna Turismo, Seribo e Sintra. E anche qui contando solo i presidenti fanno 4 poltrone in meno. E arriviamo a 65. E poi ci sono state le fusioni dei Comuni, Valsamoggia ha sostituito i cinque Comuni di prima, Altoreno ha sostituito Porretta e Granaglione. In pratica cinque sindaci, cinque poltrone in meno. Siamo a 70 e arriviamo a 74 se passa la riforma costituzionale che abolisce il Senato così come è oggi, visto che il Pd di Bologna esprime 4 senatori.
La cura dimagrante era inevitabile ma c’è un risvolto del tema: c’è chi dice ad esempio che se la politica non riesce a pagare uno stipendio allettante allora è destinata a perdere le energie migliori e vede scadere ulteriormente la qualità della classe dirigente. Discorso difficile, complicato. I giovani hanno capito che l’aria è cambiata e si tengono stretti i loro lavori. Il problema è per quelli più in là con gli anni che hanno vissuto all’ombra del partito-mamma e per loro, sia detto senza malizia, l’unico ufficio di ricollocamento che ancora un po’ funziona è quello del movimento cooperativo. Vittorio Feltri ha detto con la sua solita schiettezza che «fare il sindaco ormai è da sfigati», anche per lo stipendio. La politica dovrebbe essere molto di più perché certo quando Giuseppe Dossetti e Beniamino Andreatta sedevano in consiglio comunale non lo facevano per i soldi ma per l’onorabilità della funzione che esercitavano. Ma siamo sicuri che sia ancora così?
5 commenti:
MAI + PD - MAI PIU' MATTEO.
NON SOLO HANNO "FALCIDIATO" LE POLTRONE MA ANCHE L' ESISTENZA STESSA DEI CITTADINI.
IO STO CON L' ALTRO MATTEO........ NATURALMENTE SALVINI.
feltri ha ragione, oggi fare politica è l' unico mezzo x fare soldi l' unica certezza x fare business con i soldi degli altri, quelli pubblici pagati dai cittadini continuamente strozzati dalle tasse, ed altri grattacapi continui di ogni giorno come ti alzi dal letto.
Veramente sono rimaste così poche poltrone e di così scarso rendimento che se proprio uno guarda il reddito conviene fare il vù cumprà, tanto è vero che Sgarbi dopo aver esaminato i compensi dei sindaci dei piccoli comuni ha detto che è un lavoro da sfigati!
Ma poi se è così interessante, chi impedisce di fare politica e candidarsi, è una delle poche cose per le quali non occorrono raccomandazioni.
.... e poi basta essere incompetenti su tutto.
Ecco perchè non va bene niente e si fa di tutto perchè vada sempre peggio, basta essere incompetenti ed aver pochissima voglia (anzi x niente) di lavorare.
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