La risorsa ‘castagneto’, utilizzata in passato da
intere generazioni appenniniche per sopravvivere, è da anni messa a dura prova
dall’andamento climatico poco favorevole a da un nuovo flagello: la vespa
cinese, un parassita di origine asiatica, arrivato in Europa in modo fortuito e
che ha potuto moltiplicarsi in modo esponenziale poiché non aveva competitori
naturali che ne contenessero lo sviluppo. La combinazione dei due fattori ha
compromesso negli ultimi anni la produzione di castagne e marroni. Solo quest’anno
è stata registrata una piccola inversione di tendenza, forse anche grazie al
fatto che il competitore naturale alla vespa cinese è stato immesso in ambiente
e probabilmente ha raggiunto un numero tale da dare qualche ‘ostacolo ’ al
propagarsi della vespa cinese. Il volume di raccolta dei marroni in Appennino è
comunque ancora molto lontano rispetto a quello del pre-disastro naturale e
ambientale registrato negli ultimi anni.
Renzo Panzacchi |
Il tema è naturalmente all’attenzione del Consorzio
Castanicoltori, presieduto dal dottor
Renzo Panzacchi, che ha organizzato a Marzabotto un convegno cui hanno
partecipato tecnici regionali e operatori per fare il punto della situazione.
Lo abbiamo incontrato.
Dottor Panzacchi, i castanicoltori possono sperare
per un buon futuro produttivo dei loro Castagneti?
“In merito al problema climatico va rilevato che
negli ultimi 20 anni si è verificato un notevole cambiamento verso il caldo rilevato dalla stessa Arpa.
Alle media delle 10 giornate annuali di temperatura al di sopra dei 30 gradi,
temperatura critica per il castagno, si è passati ai 55 giorni, con conseguenze
facilmente immaginabili. Il futuro è da prevedere in modo piuttosto incerto: si
passerà da anni poco generosi a stagioni normali. I castagneti che soffriranno
di più saranno quelli al di sotto dei 300 metri. Di rimando, mentre in passato
l’alta montagna era adatta solo per una buona produzione di castagne, ora è
invece ambientalmente adatta anche per il marrone. In definitiva si è alzata la
fascia fitoclimatica ottimale per la coltivazione del marrone”.
E per la presenza della vespa cinese ?
“In merito alla presenza piuttosto impattante della
vespa cinese, stiamo seguendo, con la guida del professor Alberto Alma
dell’università di Torino, la stessa strada percorsa dai paesi che prima di noi
hanno affrontato il problema, come il Giappone. Si tratta di una immissione in
ambiente dell’antagonista naturale della vespa. Siamo all’inizio dell’operazione
e i primi risultati si sono già fatti notare. Un dato che ci incoraggia molto è
quello che qui da noi è stato registrato
uno sviluppo del competitore, il Torymus,
più veloce rispetto alla zona
prealpina del Piemonte. Si prevede quindi di avere risultati concreti e significativi nel giro di 2 o 3 anni”.
Importiamo quantità iperboliche di legna da ardere,
quando abbiamo l’Appennino che muore per non utilizzo. Cosa succede ?
“ E’ sempre accaduto. Ora lo notiamo perché siamo in
periodi di crisi, per cui siamo più attenti a dove mettiamo il nostro denaro:
Si è persa in Appennino la cultura dell’utilizzo di questa importante risorsa,
utile non solo per riscaldarci, ma anche per un ricambio salutare del bosco. Si
sta assistendo, anche in questo campo, a una piccola inversione di tendenza e
alcune aziende stanno utilizzando la possibilità ‘risorsa legno’ in modo
sistematico. Si producono pellet e cippato, la cui richiesta è in forte
aumento. Inoltre va considerato che il legno può essere annoverato fra le fonti
di energia rinnovabili”.
Sempre ci si lamenta del peso della burocrazia.
Anche in questo campo e cosi?
“Si. Il nemico numero uno della castanicoltura e
quindi della gestione delle selve, è la burocrazia. Si aggiungono una normativa
confusa che regola la materia, con competenze che spesso si sovrappongono e rendono
difficilissimo operare nel bosco affidandosi al buon senso e alla tecnica
appresa in centinaia di anni di tradizione contadina e che è servita a migliorare
nei secoli lo stato boscoso dell’Appennino. Le regole, così organizzate, lo
stanno portando alla morte”.
Mi fa una esempio ?
“ Oggi chi volesse e ha la buona intenzione di recuperare un
castagneto in totale abbandono non deve solo limitarsi alle varie richieste, e
sono tante, ai vari enti e forze preposte al controllo e alla gestione, ma deve
anche presentare un progetto di ‘impatto ambientale’ rivolgendosi non più
all’assessorato all’agricoltura bensì a quello dell’ambiente. Non è raro che le
pretese e le prescrizioni dei due uffici siano in contrasto”.
Presidente, come conclude. Ci sono speranze in un
futuro migliore del castagneto e del bosco in generale?
“Sicuramente sì. Invito i giovani a considerare
l’ipotesi di riutilizzare le grandi risorse che l’Appennino offre e che abbiamo
snobbato per tanti anni. Stiamo già lavorando con le scuole per sensibilizzate
in modo pratico gli studenti su questa tematica e sulle opportunità che si
possono cogliere in castanicoltura. Inoltre con i sindaci dei comuni montani
stiamo cercando di mettere a punto un documento condiviso con il quale vogliamo
chiedere alla Regione di correggere alcune storture normative, per favorire uno
sviluppo della castanicoltura e della selvicoltura”.
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