"Partiamo avvantaggiati: +70% il tenero; +88% il duro"
di Barbara Bertuzzi
Confagricoltura Emilia Romagna
Si chiude con rese molto
altalenanti, e un calo percentuale medio oltre il 20%, la raccolta
del grano in Emilia Romagna. La siccità e le alte temperature hanno
determinato differenze produttive sostanziali da zona a zona, a macchia di
leopardo, una riduzione complessiva del peso specifico e per contro un elevato
contenuto proteico. C’è chi ha raccolto 5 tonnellate ad ettaro (o
addirittura meno) nelle aree dove è piovuto poco, 45-60 millimetri circa, dal
mese di aprile alla trebbiatura - in particolare in Romagna e nelle
province di Bologna, Modena e Ferrara -, e chi invece ha portato a casa
produzioni intorno alle 6-7 tonnellate ad ettaro (con punte anche superiori),
potendo contare nello stesso periodo su 110-140 millimetri di pioggia e anche
di più.
Guarda il bicchiere
mezzo pieno Lorenzo Furini responsabile della sezione cereali
di Confagricoltura Emilia Romagna: «La resa si è assestata complessivamente sulle
5,5 tonnellate ad ettaro per il duro e sulle 6,2 tonnellate ad ettaro per il
tenero, rispecchiando a grandi linee la media degli ultimi 10 anni in
Emilia-Romagna. Tuttavia, ciò che sorprende e ci impone
uno sguardo positivo – osserva l’imprenditore cerealicolo - è la
redditività della coltura».
L’analisi di Furini
parte dalla media delle quotazioni di grano negli ultimi 10 anni, ossia
242,71 euro a tonnellata per il tenero di forza e di 289,51 euro a tonnellata
per il duro. «Quest’anno, solo nel primo semestre, il prezzo è salito
mediamente a 409,62 euro/t per il tenero di forza e 529,80 euro/t per il duro.
Anche adesso, con l’apertura della Borsa Merci di Bologna, partiamo
avvantaggiati: 410,50 euro/t per il tenero di forza e 544,40 euro/t per il
duro ossia un incremento del 70% per il tenero e dell’88% per il duro
rispetto alla quotazione media degli ultimi 10 anni: valori record».
Il grano si
dimostra pertanto una coltura vincente malgrado la crisi climatica e
l’effetto-rincari dei costi di produzione, un cereale sul quale bisogna
continuare a investire anche aumentando le superfici coltivate in
Emilia-Romagna che con 250 mila ettari (di cui 85 mila a duro), è la
seconda regione-granaio dopo la Puglia.
Bene anche l’equilibrio
raggiunto da Piacenza a Rimini tra gli
ettari coltivati a tenero e quelli a duro. «Negli ultimi due anni il duro è
cresciuto del 60% rallentando in alcuni areali la corsa del tenero, soprattutto
in Romagna e nel Ferrarese, per rispondere meglio – conclude il presidente dei
produttori di cereali di Confagricoltura Emilia Romagna – alle crescenti
esigenze di filiere regionali d’eccellenza come quella della pasta. Occorre
aprirsi sempre più ai contratti di filiera, un concetto chiave per le commodity
agricole soprattutto in Italia».
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