Italia, terra di piccoli comuni, unici per la loro peculiarità e bellezza, Patrimonio Mondiale dell’Umanità, ma anche aree periferiche e dimenticate, difficili da abitare
Da
una parte borghi, luoghi di rara bellezza e gioielli che il mondo intero ci
invidia, dall’altra piccoli comuni difficili da raggiungere e da abitare,
caratterizzati e conosciuti perlopiù per il gap infrastrutturale e geografico
che, rispetto al resto del nostro bel Paese, non consente ai residenti di
contare su quei servizi cosiddetti “essenziali”, come sanità, istruzione e
mobilità.
Si
chiamano aree interne,
luoghi situati nelle aree più interne del territorio nazionale, spesso
difficili da raggiungere proprio per la loro posizione geografica, e ancor più
difficili da abitare proprio per quella desertificazione di servizi essenziali
che nel tempo si è sempre più cristallizzata.
Come
si riconosce un’area interna? È la
distanza dai servizi essenziali la caratteristica che definisce
le aree interne. Sono aree significativamente distanti dai principali centri di
offerta di servizi essenziali (istruzione, salute e mobilità), ricche di
importanti risorse ambientali e culturali con un territorio profondamente diversificato,
per le dinamiche naturali e per i processi di antropizzazione. Così nel 2013
venivano presentate dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica e
dalla Strategia Nazionale Aree Interne, c.d. SNAI.
Le aree interne: tra desertificazione e carenza
di servizi essenziali
In
Italia rappresentano in termini quantitativi la maggioranza dei Comuni (il
52%), coprono la maggior parte della superficie territoriale (circa il 60%) e
ospitano il 22% della popolazione
nazionale. Pur esprimendo in termini geografici più della metà del
suolo nazionale, non si può dire lo stesso in termini demografici, e il
progressivo spopolamento di questi territori lo conferma. Dunque, lo scenario
delle aree interne fotografa un territorio esteso dal punto di vista geografico
e alquanto frammentato in tema di erogazione e fruizione di servizi, in
particolare quelli essenziali, che di fatto si traduce in disuguaglianze di
ampio spettro rispetto al resto del Paese.
L’invecchiamento
della popolazione e la denatalità da un lato; il dualismo tra lo sviluppo di aree iper-popolate (e più
“servite” come ad esempio le grandi città) e di zone a rischio di desertificazione dall’altro,
danno a pieno il senso del divario e della forte diseguaglianza presente in
queste aree più “periferiche” che non riescono a rispondere alle reali esigenze
della popolazione che le abita.
Questi
luoghi infatti, sono compromessi da una presenza di servizi essenziali (offerta
scolastica secondaria, almeno un ospedale DEA di I livello, almeno una stazione
ferroviaria di categoria Silver) distante da
un minimo di circa 27 minuti a oltre 66 minuti di percorrenza dal Polo più
vicino (secondo i parametri della nuova classificazione delle
aree interne prevista dalla Strategia delle aree interne
2021-2027).
Come
si classificano le aree interne? Secondo la nuova mappatura aggiornata al 2020 in
base alla distanza dal polo (cioè il comune centrale per la presenza di
servizi) risultano classificate come: cintura se
si trova entro 27,7 minuti dal polo più vicino (nella precedente
classificazione erano 20 minuti); intermedio tra
27,7 minuti e 40,9; periferico 40,9
e 66,9; ultra-periferico oltre
i 66,9 minuti.
Sono
aree nelle quali è aumentato con il tempo il
livello delle disuguaglianze: sia nella possibilità di accedere ai
servizi, sia nella qualità dei servizi offerti, primi fra tutti quelli legati
alla salute e alla istruzione. Nell’ambito della salute,
per le difficoltà di attivazione dei servizi territoriali, per le lunghe attese
dei mezzi di soccorso in casi di emergenza sanitaria, per le difficoltà di
reclutare personale medico sul territorio (il fenomeno della desertificazione sanitaria),
per i servizi non orientati alle fasce deboli. Nell’ambito dell’istruzione per il
sottodimensionamento e la frammentazione dell’offerta scolastica, la minore
qualità della didattica e dei modelli pedagogici e di conseguenza i livelli di
apprendimento e competenze (il fenomeno della povertà educativa), causata in
gran parte dal turnover del personale docente.
La
pandemia da Covid-19 per alcuni aspetti ha acuito il gap che si auspica, il
PNRR potrà riuscire a colmare, almeno in parte.
Oltre
ai disservizi però si contano anche buone
politiche e buone pratiche volte a riqualificare i territori
interni e migliorare la qualità della vita della popolazione che vi risiede.
Come Proxima, la vetrina digitale di prossimità che in Alta Carnia ha creato
una “comunità all’interno dei luoghi” diventando un punto di riferimento per i
suoi abitanti o Cavú, il festival enogastronomico, di musica, arte e
artigianato, voluto dai ragazzi di Cagnano Varano, diventato molto di più di un
evento estivo, tra i primi classificati di Chil’hafatto?, iniziativa
promossa da Cittadinanzattiva in partnership con UniCredit nell’ambito di
“Noi&UniCredit”, l’accordo di collaborazione fra la banca e 14 associazioni
di consumatori di rilevanza nazionale, che quest’anno giunge alla sua
seconda edizione.
(Richiesto da Dubbio)
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