domenica 30 dicembre 2012

La bella storia di Virgilio Burzi l'unico montanaro che sul fronte della linea gotica nel 1944 si arruolò con l'esercito degli Stati Uniti.



Di Claudio Evangelisti 
Virgilio Burzi con la divisa della fanteria americana.

Appennino 1944
: il soldato Burzi arruolato e decorato dagli U.S.A. 
RICORDI DI GUERRA del RED BULL di PIAN DEL VOGLIO.  

Virgilio Burzi nasce nel 1928 a Pian del Voglio, là dove il feudo del conte bolognese Ranuzzi de Bianchi confina con la Toscana. Nel 1944 l’allora sedicenne Burzi che durante la seconda guerra mondiale costruiva bunker e fossati anticarro per l’organizzazione tedesca Todt, fu l’unico volontario dell’Appennino bolognese ad indossare con onore la divisa dei famosi Red Bulls americani. Il 26 settembre del 1944 mentre  la 34° divisione americana del generale Bolte cercava di sfondare la linea gotica, la  1^ compagnia del 168° reggimento di fanteria americana Red Bull arrivò alla Calcinaia di Pian del Voglio subito dopo aver conquistato Bruscoli, nel vano tentativo di arrivare a Bologna prima dell’inverno. Il 168° reggimento che era salpato da Brooklin nel gennaio del 1942, si distingueva  per il caratteristico toro rosso dipinto sull’elmetto e molti di loro erano di origine italiana . Proprio uno di questi soldati si mise a chiedere informazioni al giovane manovale che conosceva molto bene le linee di difesa tedesche. Questo fante americano si chiamava Albert Buleo era un’italo americano di Brooklin e tra i due ragazzi nacque subito un’istintiva simpatia. Albert chiese a Virgilio dove erano appostati i tedeschi e si sentì rispondere dal ragazzo che non solo glielo avrebbe indicato ma che era disponibile ad andare con loro. I fanti americani acconsentirono, fecero indossare al ragazzo un cappotto grigioverde italiano e si incamminarono alla conquista del santuario di Monte Armato, dove dal campanile della chiesa, una squadra tedesca batteva con la mitragliatrice tutta la zona circostante. Una volta arrivati a Montefredente, il giovane “scout” montanaro venne subito armato di fucile “Garand”, gli fu consegnata una bandoliera con 10 caricatori da 5 colpi l’uno e gli affidarono l’incarico di aiuto mitragliere; alle tre di notte ci fu l’adunata e il plotone venne schierato alle pendici del santuario pronto a scattare in avanti per coprire i trecento metri allo scoperto che li separavano dal presidio tedesco. 
In licenza a Livorno Burzi primo a destra
 abbracciato a Russel primo a sx ghilbert
All’alba il tenente americano della 1° compagnia Red Bull suonò l’attacco con il fischietto come i fanti sull’Isonzo nella prima guerra mondiale e la mitraglia tedesca cominciò a seminare morti e feriti ovunque: << quello scontro fu il mio battesimo del fuoco-racconta Burzi- ricordo bene che la mitraglia tedesca alternava raffiche con pallottole normali a quelle con  proiettili traccianti e  proprio un tracciante uccise un mio compagno a pochi metri da me>>. Due fischi sancirono la ritirata e dopo altri due attacchi senza esito e almeno una trentina di Red Bulls uccisi, il tenente pensò bene di risolvere  la pericolosa situazione all’americana: inviò le coordinate all’artiglieria che distrusse la chiesa lasciando il campanile con la metà verticale ancora in piedi, ma poco dopo arrivò un carro armato americano che con il suo cannoncino da 88 rase al suolo il campanile: << Quando avanzai verso i resti della chiesa vidi i cinque difensori tedeschi morti sotto i calcinacci, i tedeschi si erano battuti valorosamente fino all’ultimo>>. Il giorno dopo Virgilio partecipò ad un altro combattimento per liberare il borgo di Qualto dai tedeschi e lì fece amicizia con il commilitone Hermann Ghilbert un tipaccio di origine tedesca che ce l’aveva a morte con i nazisti per il fatto che i suoi genitori scappati dalla Germania e arrivati in U.S.A. erano stati mandati in un campo di concentramento dagli americani perché nativi tedeschi: <<ma non sarebbe stato più logico avercela con gli americani? -dice Burzi- vallo a capire…>>. E che il biondo americano di madre lingua tedesca non avesse tutte le rotelle a posto lo si comprese meglio il giorno in cui Burzi catturò 7 tedeschi dopo una pattugliata notturna in val di Zena: quando Ghilbert vide sfilare davanti a lui i tedeschi prigionieri con le mani alzate, si mise a sparare da una finestra uccidendone 5 a sangue freddo; il “crucco” americano rischiò la corte marziale ma in seguito venne messo a tacere l’accaduto. Burzi fu anche testimone della strage di Marzabotto allorquando il suo reggimento si stabilì nel castello della Polverara a Rioveggio. Dall’altra parte del fiume Setta c’erano i tedeschi che tutti i giorni salutavano gli americani con le raffiche di una mitraglia installata su un carrello ferroviario che tirava delle sventagliate con proiettili da 20 mm tra una galleria all’altra. <<Una mattina, proveniente dall’altra parte del Setta, si presentò un civile che era stato ferito da una baionettata alla coscia e ci urlò di accorrere dall’altra parte del fiume verso la zona di Gardeletta dove diceva che c’era stato un massacro di civili. Il nostro comandante ci ordinò di andare di pattuglia e così scoprimmo che alla Quercia sulla strada che porta a Monte Sole, attorno a una casa c’erano almeno 60 persone uccise dai nazifascisti>>. Prima di rientrare alla base Burzi ebbe anche il tempo di soccorrere un partigiano della brigata Stella Rossa nei dintorni di Casaglia, si chiamava Galli ed era stato ferito alla pancia dai tedeschi. Anche lui come Vox Populi dixit dichiarò che il mitico comandante Mario Musolesi detto Lupo non fu ucciso dai tedeschi, ma che venne eliminato nel corso di un litigio con i suoi subalterni che preferivano ritirarsi senza combattere mentre il “Lupo” che era nativo della zona, voleva proteggere la popolazione dal rastrellamento che sfociò nel famigerato eccidio di Marzabotto. Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre 1944, dopo che Burzi fu ferito da una scheggia di granata a Monte delle Formiche, il comando americano decise di tutelare il giovane montanaro di Pian del Voglio  arruolandolo come soldato dell’esercito americano a tutti gli effetti. Ricondotto in prima linea, il 14 novembre  subì una seconda grave ferita in Val di Zena, quando un proiettile tedesco di rimbalzo lo colpì al petto e le costole fermarono la palla a due centimetri dal cuore. L’esercito americano per ogni ferita riconosceva 5 dollari al mese in più di paga cosicché con l’aggiunta di 10 dollari per le due ferite, lo stipendio mensile ammontava alla considerevole cifra di 110 dollari al mese, una fortuna! Nel frattempo dopo aver sloggiato la brigata partigiana Stella Rossa e ucciso tutti i civili della zona, i tedeschi fortificarono Monte Sole e da lì non si passava. Il 15 aprile del 1945 dopo la pausa invernale invocata dal generale Alexander, riprende l’avanzata alleata che sferra l’attacco decisivo a Monte Sole: è l’offensiva finale che porterà gli alleati a Bologna. Quella domenica pomeriggio Virgilio Burzi è bloccato dal fuoco nemico fra i ruderi di Casaglia e da lì vede ondate ininterrotte di bombardieri inglesi che per due ore dalle 13 alle 15 lasciano cadere bombe al fosforo, ma invece di colpire i tedeschi, le bombe incendiarie rotolano nel versante occupato sopratutto dagli uomini della Sesta Armata sudafricana facendo una strage: parecchi fanti americani e tantissimi sudafricani vengono così orrendamente uccisi e ora riposano nel cimitero di Castiglione dei Pepoli. A ricordo di quel triste giorno i fanti del 168° reggimento Red Bull apposero un nastrino nero sulla divisa. Il 16 aprile Monte Sole venne conquistata dai Sudafricani ed infine il 20 aprile 1945, quando i tedeschi si ritirarono da Bologna, Virgilio Burzi entrò in città dalla parte di San Ruffillo alla testa delle truppe alleate che dilagavano dalla s.s. Futa mentre i polacchi entravano dalla via Emilia a San Lazzaro. Il 21 aprile 1945 Bologna era finalmente libera!



Il signor Burzi a 84 anni nella casa di Madonna dei
Fornelli con la foto autografata da Coppi e Bartali
Il film sulla straordinaria vita di Virgilio Burzi prosegue con la sua testimonianza all’indomani della liberazione di Bologna:<<dopo 50 giorni di fronte ci concedevano 10 giorni di riposo nelle retrovie e quando arrivammo in licenza a Livorno dove c’erano anche gli inglesi, tutte le sere ci pestavamo a sangue con loro>> Gli inglesi  detestavano gli americani perché erano sempre un pò trasandati e Burzi ricorda bene quando gli impettiti ufficiali britannici passeggiando sul marciapiede allontanavano i Red Bulls con il frustino perché gli si concedesse il passaggio:<<noi ci toglievamo il cinturone ce lo arrotolavamo nella mano dalla parte della fibbia è giù botte a quegli stronzi! Prima che la Military Police ci fermasse ne abbiamo mandati parecchi all’ospedale>>. Da Bologna il reggimento proseguì in direzione di Milano dove vi furono altri combattimenti contro le retroguardie tedesche a Reggio Emilia e a Parma, giunti a Vercelli arrivò la notizia che la guerra era finita. La 34° divisione americana venne così schierata a Colle di Tenda poiché i Gollisti volevano annettersi parte del territorio italiano ma la controversia venne risolta e quindi furono spostati a Berlino. Nella capitale del Reich invasa dai Russi chi andava in libera uscita era obbligato ad uscire con almeno tre commilitoni disarmati:<<ma io non mi fidavo -continua Burzi- e mi presi dietro la pistola. Una sera ero insieme ad un sergente e sulla strada c’era un russo ubriaco fradicio che sparava raffiche a tutti quelli che passavano, il sergente mi prese la pistola per difendersi e sparò al russo uccidendolo. Poi per evitare il processo internazionale e la galera fummo trasferiti alla 85°divisione di stanza in Austria e quando il  mio reggimento si  spostò  a Tarvisio tornai in forza alla 34° divisione >>. Sulla linea di confine con la Jugoslavia gli americani avevano il compito di difendere il territorio di Trieste dalle mire dei partigiani di Tito. Gli americani pagarono cara quell’esperienza poichè più di una volta furono vittime degli agguati dei comunisti titini:<< capitava molto spesso che gli slavi tendessero imboscate ai portaordini in motocicletta e alla pattuglie sulle jeep tirando un’invisibile filo di ferro sulla strada all’altezza della gola, perciò molti americani vennero tragicamente uccisi o feriti in questo modo>>. Burzi rimase in forza all’esercito americano per 6 anni fino al 1949 e quando era già stato promosso Sergente Maggiore fece l’errore di congedarsi. Avrebbe potuto godere di molti privilegi, era stato decorato per l’ottima condotta riportata sui campi di battaglia e aveva diritto alla cittadinanza americana, ma per effetto del tanto denaro che era riuscito ad inviare a casa, il padre Gino Burzi di ritorno dai lavoro forzati in Germania, era riuscito ad avviare un’importante commercio di legname e carbone a Bologna:<< i 110 dollari di paga li convertivo alla borsa nera con 7000 lire italiane che all’epoca erano una cifra enorme e a me che avevo vitto e alloggio già pagato, bastava rivendere le stecche di sigarette che l’esercito mi regalava per avere quel che mi bastava. Mio padre mi disse che aveva bisogno di me per ampliare l’azienda e mi allettò dicendomi che c’era un’Alfa nuova fiammante che mi aspettava nel garage dell’appartamento di via Rialto a Bologna>>. Per l’ex Sergente Maggiore degli U.S.A. i primi tempi a Bologna furono splendidi, i Burzi possedevano un grande magazzino vicino al Tribunale con due autocarri Isotta Fraschini per la consegna del legname e inoltre godevano della bella vista su  piazza Galvani  dal loro ufficio sopra il Pavaglione. Ma da qui in poi il racconto assume i contorni di una fiction televisiva:<< un bel giorno capitò in ufficio una bella signora che non avevo mai visto, disse che era stata l’amante di mio padre e sventolandomi un mazzo di cambiali in bianco firmate da mio padre mi comunicò che suo zio era un avvocato e tutto quello che era nostro era già passato nelle loro mani. Mi precipitai a prendere il mio “Alfone” ma anche quello era già stato confiscato visto che  era intestato alla ditta…>>. Come si può immaginare i rapporti con il padre che nel frattempo si era trasferito a Prato non furono dei più cordiali e per fortuna che l’amareggiato Virgilio trovò da lavorare come commesso presso un’azienda concorrente. Destino volle che un’amico di Burzi venne a  riferirgli che un’importante multinazionale francese aveva bisogno di una persona che parlasse bene l’inglese. 
Burzi con gli occhiali al 41 Giro d'Italia.
L’azienda in questione era l’Aspro quella famosa aspirina resa celebre dai Carosello di allora. Con l’Aspro che sponsorizzava il Giro d’Italia e il Tour de France collaborò per ben 21 anni, diventando direttore del parco macchine che seguiva i ciclisti in tutti i giri a tappe più famosi d’Europa. Ora Virgilio Burzi all’età di 84 anni può godersi la pensione nella sua casa di Madonna dei Fornelli tra le tante foto autografe dei ciclisti di allora, con una lucidità e una forma fisica davvero invidiabile. Infatti i suoi ex commilitoni lo invitano ancora alle riunioni dei veterani negli States. Quando gli si chiede cosa pensa della guerra, Burzi afferma senza incertezze che è la peggiore disgrazia che possa accadere all’umanità. Degli alleati ricorda bene il detestabile comportamento degli altezzosi ufficiali inglesi che disprezzavano i soldati delle loro colonie e sfottevano gli americani per l’abbigliamento trasandato. In Italia durante il secondo conflitto mondiale era in voga un detto: “che Dio stramaledica gli inglesi!” Ebbene, non presentatevi dal sig. Burzi con l’accento della “perfida Albione”: quando era in licenza assieme ai suoi Red Bulls ne mandava parecchi all’ospedale dopo risse furiose e tutt’ora non sembra aver cambiato idea…



2 commenti:

Anonimo ha detto...

Una lunga e bella storia!

Anonimo ha detto...


Troppo lunga......