Dal COMANDO PROVINCIALE DI BOLOGNA dei
CARABINIERI:
Nella mattinata di ieri i Carabinieri del R.O.S. hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Bologna, su richiesta della locale Procura Distrettuale Antimafia, nei confronti di 18 indagati, a vario titolo, per associazione di tipo mafioso, estorsione, usura e tentato sequestro di persona a scopo di estorsione, aggravati dal metodo mafioso. Gli interventi hanno interessato le province di Rimini, Prato, Napoli e Caserta.
I
provvedimenti scaturiscono da un’attività investigativa sviluppata in direzione
di un’organizzazione criminale di matrice camorristica capeggiata dal
pregiudicato napoletano VALLEFUOCO Francesco, operante in Emilia Romagna e
dedita a diffuse attività estorsive e usurarie ai danni di numerosi
imprenditori locali, i cui proventi illeciti venivano reinvestiti in attività
immobiliari e commerciali in Emilia Romagna e nella Repubblica di San Marino.
Le indagini,
in corso dal 2008, si sono già concretizzate in due precedenti operazioni, con
l’esecuzione, nel febbraio del 2011, di un provvedimento di Fermo emesso dalla
Procura Distrettuale Antimafia bolognese nei confronti di 10 persone e, nel
marzo scorso, di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di
altri 3 soggetti.
In entrambe
i provvedimenti restrittivi agli indagati veniva contestato il reato di
estorsione aggravata dal metodo mafioso.
L’odierno
filone investigativo trae origine da un tentativo di sequestro di persona
perpetrato, nel febbraio 2009, ai danni di un ristoratore di Rolo (RE), da tre
pregiudicati napoletani, il cui mandante è risultato il citato VALLEFUOCO
Francesco. Il delitto non veniva tuttavia portato a termine per il
provvidenziale intervento del fratello della persona offesa e di alcuni
dipendenti del medesimo ristorante, che costringevano i tre a darsi alla fuga.
Le
successive indagini documentavano le pratiche estorsive ed usurarie consumate
dall’organizzazione attraverso la “copertura legale” offerta da alcune
agenzie di recupero crediti, tra cui la “ISES s.r.l.” e “ISES ITALIA s.r.l.”,
avviate nell'anno 2008 all'apposito scopo di dissimulare le attività illecite
dietro lo schermo legale delle agenzie stesse.
Il gettito
dei proventi illegali veniva costantemente alimentato mediante collaudati
meccanismi, che prevedevano da un lato il recupero con ogni mezzo delle somme
di denaro dovute dai numerosi debitori (accresciute in modo ingiustificato
rispetto al debito originario), dall'altro l'esborso di consistenti compensi da
parte dei creditori committenti (oscillanti tra il 25% e il 50% dell'ammontare
complessivo del debito recuperato), pretesi al buon esito del recupero,
considerando tale anche la semplice emissione di cambiali o assegni postdatati
(di mesi o anche di anni) a favore del creditore. In non pochi casi, poi, lo
stesso committente-creditore si è ritrovato costretto a soggiacere alle
richieste estorsive dei sodali, che pretendevano il pagamento della loro ''parcella''
senza che il committente del recupero avesse di fatto ottenuto la
restituzione del proprio credito.
Gli
indagati-esattori hanno posto in essere nel tempo pressanti azioni
intimidatorie, talora violente, nei confronti delle vittime, parte delle quali
ha fornito la propria testimonianza, confermando gli elementi investigativi
progressivamente acquisiti.
Il racconto
di alcune vittime ha inoltre consentito di attestare come il sodalizio indagato
fosse operativo in Emilia Romagna e nella Repubblica di San Marino sin dal
secondo semestre del 2006.
Per
accrescere la propria influenza ed indurre le vittime a soggiacere in silenzio
alle loro prepotenze, gli associati non esitavano ad accreditarsi quali
appartenenti a clan camorristici campani, in particolare al "clan dei
casalesi", sfruttando la relativa forza d'intimidazione.
Alcune
vittime dei soprusi, per sottrarsi alle continue vessazioni loro imposte, sono
giunte a meditare il suicidio, in un caso tentando concretamente di attuare
tale proposito. Altre vittime, vedendosi oramai sull'orlo del fallimento, hanno
abbandonato le loro attività o, in altri casi, si sono rese irreperibili.
Sottoponendo
le persone offese a continue minacce, intimidazioni e soprusi, talora anche nei
confronti dei congiunti, il sodalizio è riuscito ad imporre il pagamento di
ingenti somme di denaro, ovvero a costringere le vittime stesse ad intestarsi
fittiziamente beni immobili ed attività commerciali, queste ultime poi
impiegate per la consumazione di truffe. Ad esempio, una florida azienda di
Calenzano, fatta intestare ad un prestanome, peraltro gravemente malato e
successivamente deceduto, e stata condotta al fallimento dopo averla ampiamente
sfruttata per perpetrare truffe ai danni di banche e di altri imprenditori.
L’attività
investigativa ha consentito di documentare il coinvolgimento di professionisti
iscritti ai rispettivi albi (commercialisti, notai, avvocati, broker
finanziari) che, oltre a fornire alla consorteria indagata importanti
informazioni e consulenze sui vari circuiti di investimento, garantivano una
copertura sicura per operazioni di riciclaggio e/o reimpiego dei proventi
illeciti in attività commerciali, immobiliari e finanziarie intestate
fittiziamente a prestanome.
E’ stata
accertata anche la disponibilità da parte del gruppo indagato di armi da fuoco,
alcune delle quali regolarmente denunciate a nome di sodali e fiancheggiatori
esenti da precedenti penali, altre invece di provenienza illecita.
Nel corso
delle indagini sono state ricostruite anche le dinamiche conflittuali del
sodalizio capeggiato dal VALLEFUOCO con il clan “MARINIELLO” di Acerra (NA) generate,
in particolare, da contrasti inerenti alcune operazioni immobiliari.
In tale
ambito, veniva documentato un progetto di omicidio ai danni di Francesco
VALLEFUOCO da parte di affiliati al citato clan acerrano, non portato a
compimento per l’intervento di autorevoli esponenti del clan SACCO di S. Pietro
a Patierno.
La
risoluzione dei contrasti tra le due fazioni veniva successivamente assicurata
dal clan “D’AVINO” di Somma Vesuviana, in cambio del versamento di una quota
del 5-10 % degli introiti delle attività gestite dal VALLEFUOCO.
Nel corso
dell'indagine sono stati documentati significativi collegamenti tra il gruppo
criminale indagato ed altri sodalizi, tra i quali i clan “STOLDER” di
Napoli, "SACCO-BOCCHETTI-CESARANO", di San Pietro a Patierno,
gli “SCHIAVONE". Accertati anche i contatti del VALLEFUOCO con la
famiglia mafiosa palermitana dei "FIDANZATI”.
Bologna, 14
dicembre 2012
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