Luciano,
attento lettore del blog, ha inviato, chiedendone la pubblicazione,
una lettera di Giancarla Codrignani ( nella foto), ex parlamentare del PCI come
cattolica indipendente, lettera che fa da parallelo al comunicato di Raniero
La Valle.
Il
titolo dato alla lettera è ' MOTIVAZIONI
REFERENDARIE: PERCHE' SI'',
ecco il testo:
La
più bella del mondo. D'accordo, è
la Costituzione del mio paese, uscita da una storia di guerra e di
Resistenza. Mi dispiace che sia diventata ragione di contrapposizioni
mortificanti: se non si arriva a
pensare che entrambe le posizioni siano a difesa di una Costituzione
che, per essere democratica, non inchioda certo al pensiero unico,
davvero siamo a rischio Brexit e Trump.
Anche
perché nessuno ha presentato qualche proposta alternativa e non
posso pensare che si attendano nuove elezioni a conferma
dell'inaffidabilità dei nostri governi in Europa, tenendo conto che
Grillo ha già annunciato il referendum per uscire dall'euro.
Mi
dispiace intraprendere un discorso non breve, ma intendo restare
fedele al mio stile e ragionare sui singoli contenuti, non per
slogan.
Se
avessi dovuto proporre io una modificazione della Cost., avrei
chiesto di togliere il Concordato dall'art.7.
Una proposta per invitare a prendere atto che anche nel 1947 si usava
il compromesso politico perfino sui principi. D'altra parte è noto
il peso avuto della contrapposizione tra comunisti a democristiani
nel clima postfascista di quegli anni; ovvio che l'impostazione
ordinamentale - a partire dalla natura del Senato - ne portasse i
segni.
Oggi
siamo d'accordo nel sostenere che i
principi non si toccano. infatti, la Boschi-Renzi non li tocca:
consente, semmai, di meglio attuarli, visto che non sono ancora
implementati.
Tanto
meno attenta alla democrazia. La
quale corre reali pericoli in tutta Europa - lasciamo perdere gli Usa
- a causa del prevalere di reazioni populiste e nazionaliste. In ogni
caso la democrazia rischia solo nelle
elezioni politiche: i turchi hanno
votato Erdogan e nessuno si interroga sulla Cost. turca. Tanto meno
qualcuno domanda dove sia finita la "felicità" promessa
dalla Cost. americana.
La
riforma sottoposta al nostro voto verte non
sui principi, ma sull'ordinamento. E
sull'ordinamento viene proposta non
una "riforma della Costituzione", ma una "Modifica
della seconda parte".
Vengono
modificati oltre 40 articoli,
ma la maggioranza riguarda adattamenti formali e la cancellazione
della parola “senato” dagli articoli bicamerali. I cambiamenti
sono sostanzialmente quelli insiti nel titolo della legge
regolarmente votata dal Parlamento e non contestabile né
“spacchettabile”.
Scritta
male. Fu detto anche della prima, ma
non è una ragione. Di fatto la versione presentata dal governo era
migliore anche nel contenuto. Le regole democratiche che hanno
richiesto la discussione in Commissione di oltre 5.000 emendamenti e
le tre doppie discussioni d'aula hanno prodotto, come sempre nelle
votazioni, un risultato composito.
Il
Parlamento italiano lavora da 33 anni per la riforma:
ci si dovrà chiedere come mai nessuno ha usato gli anni e il
fallimento di tre bicamerali per proporne una migliore. Eppure
l'ultima - la D'Alema/Berlusconi -
prevedeva il presidenzialismo,
tentato da Berlusconi (eletto dal popolo sovrano due volte con la
Costituzione vigente). La sua riforma - i cui obiettivi non sono
confrontabili con quella in corso oggi, dopo dieci anni - fu
sconfitta dal referendum 2006. Che le
riforme attuali siano democratiche fa fede che le proposte siano
analoghe a quelle dell'Ulivo.
Non
si deve dimenticare che causa
iniziale della necessità di riformare l'ordinamento
fu il continuo succedersi di elezioni
anticipate, cosa non sana in una
democrazia. Non sembra normale nemmeno il fatto che in 68 anni di
libera Repubblica si siano succeduti 63 governi: ovvio che in Europa
non siamo giudicati affidabili. Inoltre per chi tiene al risparmio le
elezioni anticipate sono costose.
Sui
"costi della politica"
apro una parentesi tutta personale (e questo periodo lo potete
saltare). La questione non mi appassiona perché la spesa politica è
un diritto e un dovere sociali e fu un errore non aver proposto al
paese una lezione di educazione civica collettiva per mantenere il
finanziamento pubblico dei partiti. I quali non sarebbero andati in
crisi e sostituiti da movimentismi anomali se la prima Repubblica
avesse voluto (perché la verità è che nessuno volle) normare
l'art.49 e definire la natura di ciò
che la Cost. chiama "partito" e vincolarla alla trasparenza
dei bilanci. Sono severa anche con l'attacco alla "casta"
perché delle molte caste è stata attaccata solo quella
istituzionale e “la gente” si è adeguata alla sua svalutazione
(la corruzione esisteva già nella prima Repubblica).
La
critica alla legittimità del Parlamento
eletto secondo una legge dichiarata incostituzionale
dalla Corte Cost. risponde solo al deliberato attacco al governo in
carica, sia perché la Corte non ha invalidato o limitato l'attività
legislativa, sia perché l'accusa a Renzi di non essere stato eletto
dal popolo aveva i precedenti illustri di Ciampi, Monti e Letta.
Evidentemente la linea politica delle "larghe intese" a
qualcuno piace di più della distinzione netta tra il governo e
l'opposizione (il cui contributo per singoli provvedimenti può
essere necessario ed è la ragione per cui la riforma si impegna a
redigere lo statuto
dell'opposizione).
Anche
il cosiddetto "combinato
disposto" ha la stessa
motivazione antigovernativa; infatti non
voteremo una legge, ma un referendum costituzionale
il cui testo è stato approvato da tre votazioni regolamentari in
entrambe le Camere e riformato rispetto all'originale (che era
migliore) dopo la discussione di 5.000 elementi. La legge verrà a
suo tempo, quasi sicuramente riformata, con prassi normale, anche se
non sarebbe auspicabile che i ri-riformatori pretendessero di
eliminare il ballottaggio perché tornerebbero le "larghe
intese" e gli accordi per "governare insieme" secondo
"compromessi" peggiori del ricevere i voti di Verdini (come
Prodi dovette ricevere i voti di Mastella).
Quanto
al mantra dell' "uomo solo al
comando", richiamo al 1993,
quando fu varata la riforma dell'elezione dei sindaci, comprensiva di
maggioritario, ballottaggio e premio del 60%
(che a Bologna rende governabile il Comune dopo elezioni che hanno
dato al Sindaco il 52%). Poteva non piacere - ma il Pci, con ragione,
la considerava essenziale per l'auspicabile, mai conseguita fino al
governo Prodi, alternanza di governo. Anche in questo caso era allora
l'occasione di opporsi.
Qualcuno
teme la vittoria di candidati
indesiderabili? potrà accadere,
senza che la riforma abbia responsabilità: a Costituzione
immodificata, il paese ha voluto due volte Silvio Berlusconi, non
solo per colpa dei media di cui è proprietario. In futuro, il
passaggio della partecipazione dalle piazze cittadine alle agorà
virtuali favorirà candidature sponsorizzate dalle lobbies: non
dimentichiamo che le candidature sono diventate molto costose e che
solo i cantanti, i calciatori o i Nobel sono conosciuti dalla gente.
Potrà accadere che gli interessi - buoni, cattivi o di mafia -
portino i loro candidati direttamente in Parlamento senza più
nessuno che baci di nascosto Riina. Il sistema delle preferenze non è
il migliore e in passato la gente ha sempre votato nomi forniti dal
parroco o dal segretario della sezione.
Altri
vagheggia una nuova "assemblea costituente" senza rendersi
conto che la maggioranza eletta dei costituenti sarebbe certamente di
destra.
Sullo
sfondo vengono richiamate le influenze su paesi, governi e, di
conseguenza, Costituzioni, da parte del mercato, della finanza
internazionale e perfino della Cia. Poteri forti che esistevano anche
nel 2012, quando è stato introdotto
nell'art.81 della Costituzione il pareggio di bilancio
con ampia maggioranza nelle triplici votazioni parlamentari e senza
alcuna richiesta di referendum. Come mai?
Non
è assolutamente vero che la lettura di due Camere serve a migliorare
i provvedimenti: serve a rinnovare le contrattazioni politiche
mediante emendamenti e dissolvenze: la
legge contro le violenze sessuali fece navetta dal 1976 al 1996 per
20 anni e 7 legislature. Oggi una
legge urgente come quella contro la tortura (l'Italia è l'ultimo
paese europeo che ne è privo) è bloccata da un emendamento
peggiorativo in Senato, mentre le convivenze civili sono "passate"
solo con il voto di fiducia
che, pur legittimo, giustamente dopo
la riforma sarà inutile.
Il
Parlamento sarà dunque più rispondente alla Costituzione e, tenendo
conto dell'innovazione dei referendum
propositivi e dell'obbligo
di recepire in Parlamento le leggi di iniziativa popolare,
le garanzie costituzionali saranno maggiori.
Il
nuovo Senato non è un pastrocchio e non era meglio abolirlo.
Chi lo interpreta negativamente non giova alle future
regolamentazioni applicative. Appare rispondente ai valori
costituzionali, che attribuiscono rilevanza alla rappresentanza
territoriale, che i rappresentanti dei territori siano votati dalle
elezioni amministrative (non meno rappresentative di quelle politiche
e tenute in anni diversi, consentendo rappresentatività non
omogenea), non votino la fiducia, ma siano corresponsabili di
normative fondamentali come quelle costituzionali e, soprattutto -
data l'attuale irrilevanza della materia – quelle europee.
Soprattutto il nuovo Senato avrà il
potere di esercitare un controllo di legislazione
ancora inesistente. Si usa spesso l'espressione check
and balance per l'importanza che
rivestono i contrappesi nel sistema americano: i ritardi nel
realizzarli in Italia (Corte Cost. 1956, Consiglio Sup. Magistratura,
1958) fanno apprezzare questa innovazione del nuovo Senato.
La
Repubblica resta parlamentare e non
ci sono pericoli di perdita di dialettica tra il governo e le
opposizioni: all'interno dei partiti di governo fortunatamente i
Fassina ci saranno sempre. La
sinistra democratica non può - anche dopo la caduta della conventio
ad escludendum - rifiutare di governare e perpetuare per sempre il
ruolo dell'opposizione. Forse
sarebbe bene che chi tiene per la sinistra si domandi se non è un
danno che da trent'anni non ci si domandi che cosa significa “essere
di sinistra” in piena globalizzazione e nuova concezione del
lavoro.
I
poteri concorrenti o
esclusivi nel rapporto Stato/Regioni
sono questione di lana caprina. Certamente il nuovo regime impedisce
l'assurdo dell'affidamento alle Regioni del “commercio con
l'estero” o “l'energia” e gran parte dei ricorsi alla Consulta
di questi anni. Mi sembra una follia che un camionista che parte da
Bari per andare a Trieste debba avere conoscenza dei diversi
regolamenti di tutte le regioni attraversate.
Un'ultima
(le donne vengono sempre ultime) osservazione: questa riforma per
tre volte menziona la parità uomo/donna.
In
conclusione: il vero cambiamento è
storico. L'Italia, arrivata tardi
allo Stato unitario, ha visto gradualmente entrare nel Parlamento
regio i deputati socialisti, ottenere nel 1912 il voto "universale"
(pur senza le donne), poi ha dovuto sperimentare le catastrofi della
Prima guerra mondiale, del fascismo, della seconda guerra mondiale:
dopo la Liberazione, conservava ancora memoria della vecchia
dialettica tra il Parlamento e il
Governo. Lo Stato moderno
privilegerà invece la dialettica tra
la Maggioranza e l'Opposizione (che
per la prima volta avrà un suo statuto). Il Governo non è per
natura l'antagonista e il popolo
esercita la sovranità attraverso i suoi rappresentanti secondo le
forme volute dagli ordinamenti. Mentre la Costituzione ha ancora
molti diritti non attuati, noi cittadini siamo consapevoli di non
essere più gli stessi del 1948 e riteniamo che - come la famiglia
fondata sul matrimonio (art. 29) è oggi estesa all'omosessualità,
come non immaginavano certo De Gasperi e Togliatti – i suoi
ordinamenti debbano favorire il lavoro del legislatore e renderlo
democraticamente produttivo, a tutela dei principi di libertà,
uguaglianza e giustizia che vanno difesi nella necessaria transizione
ad un futuro di grandi, non ancora prevedibili ma certe innovazioni.
Chi
è riuscito a leggere fino in fondo, si adatti alla conclusione
polemica. Ho argomentato tenendo
sotto gli occhi la riforma Boschi: perché i sostenitori del NO non
hanno predisposto una loro proposta e si limitano ad accuse e
denigrazioni contro la riforma e chi la sostiene? Dalle loro
dichiarazioni – soprattutto di quelli che hanno votato SI'
tre-volte-tre in aula e oggi sostengono il No – restano convinti
della necessità di riformare comunque gli ordinamenti. Se
vinceranno, non sperino di lasciare le cose come stanno, dovranno per
forza negoziare con Grillo, Salvini, Berlusconi o Parisi da posizioni
sicuramente di minoranza. Ha senso? O il senso lo fa l'Anpi a fianco
di Forza Nuova?
16.11.2016
Giancarla Codrignani
4 commenti:
Voi piddini, grattando via la maschera che indossate, siete molto più a destra di forza nuova.
Non è affatto vero che non sono state presentate altre proposte.
Chiedetelo alla Carlassare, a Zagrebelki e altri è vi daranno le prove.
Il governo ed Il PD non hanno voluto confrontarsi con nessuno ed hanno prodotto la modifica costituzionale della solamaggioranza di governo.
Ogni nuovo governo sarà perciò legittimato a modificare in tal modo la Costituzione?
Attenti agli abbagli, possono essere fatali e il nostro paese lo dovrebbe già sapere.
Ma ci faccia il piacere
Dossetti (sacerdote e padre costituente) diceva:
"Ora la mia preoccupazione fondamentale è che si addivenga a referendum, abilmente manipolati, con più proposte congiunte, alcune accettabili e altre del tutto inaccettabili, e che la gente totalmente impreparata e per giunta ingannata dai media, non possa saper distinguere e finisca col dare un voto favorevole complessivo sull’onda del consenso indiscriminato a un grande seduttore: il che appunto trasformerebbe un mezzo di cosiddetta democrazia diretta in un mezzo emotivo e irresponsabile di plebiscito"
(Lettera ai Comitati per la difesa della Costituzione, Oliveto 23 maggio 1994).
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