sabato 17 maggio 2025

Non tutti vogliono andare all’estero e non tutti pensano a un futuro in città: Dubbio evidenzia due scelte che lo confermano.

 La scelta coraggiosa del giovane medico: «Potevo lavorare in Svizzera, ma resto nel mio paese in montagna»


di Daniela Corneo

A 31 anni, Michelangelo Fabbri ha scelto ciò che per molti suoi coetanei suona come una rinuncia: restare. Restare nel suo paese d’origine, tra le montagne dell’Appennino bolognese, dove è nato e cresciuto, per fare il medico di famiglia. Una scelta che ha il sapore dell’impegno civile, in tempi in cui le aree interne faticano a trovare professionisti disposti a lavorarvi.

«Avrei potuto andare in Svizzera, mi avevano fatto una proposta interessante. Ma ho deciso di restare qui, dove posso davvero essere utile. Conosco le persone, le famiglie, le loro storie», racconta Fabbri, che ogni giorno assiste una popolazione prevalentemente anziana distribuita su tre Comuni: Castiglione dei Pepoli, San Benedetto Val di Sambro e Vernio.

La sua è una medicina "vecchio stampo", come ama definirla lui: «Mi chiamano anche nei fine settimana, per un consiglio, un controllo, un’urgenza. Li conosco tutti, e molti mi invitano alle loro feste di compleanno o di paese. Non è solo una professione, è un legame».

Il giovane medico è il volto di una sanità di prossimità che resiste. Fa visite domiciliari, accoglie nei suoi ambulatori chi ha bisogno, si ferma a parlare con gli anziani nei bar o nelle piazze. «Essere qui significa anche presidiare il territorio. Non voglio che i miei pazienti debbano fare ore di macchina per un controllo».


Vita da medico in Appennino: «Con il 4x4 faccio 200 km al giorno. Lavoro 12 ore, ma ne vale la pena»

di Daniela Corneo

A 60 anni, dopo una lunga carriera nella medicina d’emergenza, Paolo Navarrini ha accettato una sfida che pochi avrebbero raccolto: diventare medico di base in uno dei territori più difficili dell’Appennino bolognese.

«Quando è uscito il bando per Gaggio Montano non voleva andarci nessuno. Io, invece, ho sentito che era il momento di cambiare, ma continuando a fare qualcosa di utile», spiega Navarrini, mentre carica sul suo fuoristrada la borsa medica e si prepara a un’altra giornata fatta di visite, chilometri e storie umane.

Ogni giorno percorre circa 200 chilometri su strade spesso impervie, in mezzo alla nebbia o alla neve. Ha quattro ambulatori dislocati sul territorio, ma spesso è lui a doversi spostare per raggiungere chi non può nemmeno telefonare: «Alcuni pazienti vivono isolati, senza internet o cellulare. Vado io da loro, bussando alla porta. È questo il mio lavoro».

Le sue giornate superano facilmente le 12 ore, ma Navarrini non si lamenta: «L’umanità che si riceve in cambio è impagabile. In città questo rapporto non esiste più. Qui, invece, entri nella vita delle persone. Non sei un numero, sei il loro dottore».

La sua presenza è diventata un punto di riferimento per la comunità, in un’epoca in cui i medici di famiglia sono sempre meno e le aree montane rischiano l’abbandono. «Restare significa dare un senso alla mia professione, anche dopo tanti anni. Finché ce la farò, continuerò a farlo».

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ammirevole, chapeau!!