‘Vorrei essere albero per morire dove sono nato ’.
Questo in sintesi il desiderio messaggio di Nino Benvenuti a Sasso Marconi per la presentazione del suo libro ‘L’isola
che non c’è. Il mio esodo dall’Istria’.
Il campione con una agile corsa è salito sul palco del
teatro di Sasso Marconi come avesse dovuto raggiungere il ring sfoggiando una
agilità sorprendente e certamente invidiabile per un 77enne. Benvenuti è infatti nato nel 1938 a
Isola di Istria che ha dovuto abbandonare poiché la sua casa fu requisita per
dare dimora a un comandante della milizia titina.
Ad attenderlo per la chiacchierata di presentazione Valerio
Bignami, presidente del Comitato Soci Emil Banca organizzatore dell’incontro, e
il sindaco di Sasso Marconi Stefano Mazzetti che ha portato il saluto della
comunità sassese. Il dialogo ha messo in luce l’umanità del campione e una velata,
ma profonda tristezza priva di odio, per lo ‘strappo’ subito per aver dovuto
abbandonare la propria terra d’origine.
“Isola d’Istria è la terra più ricca del mondo. Ha tutto:
un mare bello e pescosissimo, una cintura collinare ricca e generosa di frutti con alla base pianure fertilissime. Il ‘Re
Fosco’ che là si produce è il migliore
del mondo,” ha detto il campione dando
corpo al suo grande affetto per l’Istria.
Non è mancato il racconto del triste mattino in cui
la sua abitazione di Isola fu raggiunta
dai miliziani di Tito con l’ordine di sgombero in giornata poiché la casa era stata
destinata a un ufficiale. “Noi potemmo raggiungere la nostra casa di Trieste”
ha raccontato il campione. “ E la famiglia, anche se in ristrettezze, potè
rimanere unita con grande beneficio di tutti i componenti. Per gli altri miei
amici compagni di sventura, il ricovero fu una baracca in un campo profughi”. Ha ricordato il comando della madre di ‘stare
zitto’ quando un militare inspiegabilmente e con incredibile leggerezza sparò
alla sua cagnetta Bianca uccidendola. E lo stesso comando quando voleva gridare
la sua italianità. Amore che sfogò quando, divenuto campione mondiale dei ‘medi’
si cinse addosso il tricolore e con tutta la sua voce si abbandonò a al grido
liberatorio ‘Viva l’Italia’.
Il campione ha poi dato la misura della sportività
del ring raccontando che al suo primo incontro con Griffith gli appoggiò
confidenzialmente la mano sulla spalla e
fu da lui subito rimproverato per il gesto azzardato con l’ammonimento ‘sono il
campione’ . Dopo che Benvenuti lo
sconfisse strappandogli il titolo fu lo
stesso pugile battuto a dirgli: “ Ora puoi mettermi la mano sulla spalla, sei
tu il campione”.
Ha raccontato del lungo e fraterno rapporto con
Griffith cui affidò l’incarico di padrino per la cresima della figlia e che
aiutò concretamente e con un mensile quando, colpito dal morbo di parkinson,
viveva con un sussidio di soli 500 dollari al mese. Non ha evitato neppure le
domande su Monzon che gli succedette come campione dei medi. “ Sono tutti morti”,
ha commentato tristemente quasi gli mancassero moltissimo non solo le loro
presenze, ma anche i loro pugni.
La presentazione è stata preceduta da un bellissimo
e apprezzatissimo ‘racconto musicale’ dei Delirici sulla vita di un altro
pugile Robin Carter, ingiustamente accusato di triplice omicidio,
condannato e incarcerato per oltre vent’anni. La sua vera colpa era quella di
essere di colore. Per lui si mobilitò l’intera comunità dei ‘figli dei fiori’ e
fra i suoi sostenitori lo stesso Cassius Clay. Bob Dylan dedicò a lui una
canzone ‘Hurricane’ attorno alla quale si formò il movimento a sostegno del
pugile vittima del razzismo statunitense.
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