L’allarmante
informazione di ‘help consumatori’:
Insulti,
minacce, persecuzioni sui social network, in chat o attraverso sms: sono le
modalità più diffuse con cui si compiono atti di bullismo online. Il
cyberbullismo è sempre più diffuso fra i giovanissimi – un terzo dei tredicenni
dichiara di aver subito atti di bullismo online, più della metà di avere amici
vittime di cyberbullismo – ma questo fenomeno raramente arriva a conoscenza di
genitori o insegnanti. Il dato emerge da un’indagine condotta dalla Società
Italiana di Pediatria, che insieme a Polizia Postale e Facebook ha realizzato
un vademecum di informazioni per la famiglia.
Il
cyberbullismo è un fenomeno diffuso ma sommerso, rivela lo studio “Abitudini e
stili di vita degli adolescenti” condotto dalla Società Italiana di Pediatria su un campione nazionale di 2.107
studenti delle scuole secondarie di primo grado. I risultati fanno pensare: il
31% dei tredicenni (e il 35% delle femmine) dichiara di aver subito (una o più
volte) atti di cyberbullismo e ben il 56% di avere amici che lo hanno
subito. Gli adolescenti più a rischio sono gli assidui frequentatori dei social
network: infatti tra quelli che ne frequentano più di tre la percentuale di
chi ha subìto atti di bullismo online sale dal 31 al 45% (quasi uno su due). Insulti,
persecuzioni e minacce su social network (39,4%), in chat (38,9%) o tramite sms
(29,8%) sono le modalità prevalenti con cui si compiono atti di bullismo online,
seguite dall’invio o pubblicazione di foto o filmati (15%) e dalla creazione di
profili falsi su Facebook (12,1%). Eppure la maggioranza delle vittime non
ne parla con gli adulti e l’85% dei casi di cyberbullismo non arriva a
conoscenza di genitori e insegnanti perché i ragazzi cercano di difendersi da
soli, oppure subiscono la violenza senza reagire, oppure ne parlano solo con
amici.
L’indagine
evidenzia che il fenomeno del cyberbullismo emerge con molta difficoltà perché
il comportamento più diffuso fra le vittime è quello di “difendersi da soli”
(60% dei maschi e 49% delle femmine) seguito a molta distanza
dall’informare un adulto, che sia genitore o insegnante, via seguita solo dal
16,8% delle vittime. Il 14,2% ne parla con un amico, l’11,7% subisce senza fare
nulla, mentre la denuncia alla polizia postale viene segnalata solo nel 3,2%
dei casi. Dai dati emerge dunque che sommando il “difendersi da solo” con il
“subire senza far niente” si arriva ad un 70% di “non emersione” del fenomeno;
se si considera anche chi si limita a confessare la cosa ad un amico, la
percentuale di casi che non arriva a conoscenza di un adulto di riferimento
sfiora l’85%.
Il problema
è legato anche al fatto che per denunciare di essere perseguitati sul web
gli adolescenti devono rivelare la loro vita sui social network: comportamento
difficile da seguire. Dice la Società italiana di pediatria (che ha
presentato i dati nel corso degli Stati generali della pediatria organizzati
con la Polizia di Stato, in collaborazione con Facebook): “Fare emergere invece
una “persecuzione” attraverso Internet costringe la vittima ad “aprire” ai
genitori (o ad un altro adulto) tutta la propria vita sui “social”, mettendo
inevitabilmente in luce uno “storico” di atteggiamenti e comportamenti
complessivi che raramente un adolescente ha facilità a rendere noti ai propri
genitori, nella maggior parte dei casi estranei al funzionamento e al
linguaggio della rete”.
“Di fronte
al quadro di solitudine in cui si trovano le vittime di cyberbullismo – ha
detto il presidente della Società Italiana di Pediatria Giovanni Corsello –
occorre rafforzare gli strumenti a loro sostegno, favorire il dialogo,
l’apertura e la fiducia verso gli adulti, anche con interventi di prevenzione
nelle scuole che coinvolgano non solo vittime e carnefici, ma gli spettatori
passivi. Non dobbiamo trascurare che, come risulta anche da una recentissima
revisione della letteratura scientifica, il cyberbullismo ha conseguenze
negative sulla salute delle vittime, tra le quali sindromi depressive, ansia,
sintomi somatici, ed una maggiore propensione all’uso di droghe e comportamenti
devianti. Non ci sorprende che i ricercatori siano arrivati a definire il
cyber bullismo come ‘un problema di salute pubblica internazionale’. I
pediatri, che rappresentano una figura di riferimento per il bambino e
l’adolescente, dovrebbero anche intercettare e riconoscere i segnali di disagio
dell’adolescente che potrebbe essere vittima di cyberbullismo, ma è necessario
rafforzare la formazione in questo ambito. Oggi sigliamo un importantissimo
accordo con la Polizia di Stato che va in questa direzione”.
Per
promuovere la sicurezza e l’uso responsabile del web la Società Italiana di
Italiana di Pediatria, la Polizia di Stato e Facebook hanno stilato un vademecum di informazioni e
consigli utili rivolti ai genitori e a tutta la famiglia: il
vademecum sarà diffuso negli studi e negli ambulatori pediatrici dei 10mila
associati alla SIP.
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