di Barbara Bertuzzi
Confagricoltura Emilia Romagna
Tempi difficili per i cerealicoltori
dell’Emilia-Romagna. A trebbiatura quasi completata, si conferma il crollo
della produzione di grano, con rese medie tra i 50 e i 60 quintali per ettaro e
un calo complessivo del 20% rispetto allo scorso anno. A peggiorare la
situazione, prezzi di mercato stabili ma insufficienti a coprire costi di
produzione in forte aumento.
«Il grano è sempre più una coltura a
rischio: non dà reddito. Mentre la qualità, in particolare il peso specifico,
resta ottima, il bilancio per gli agricoltori è in perdita», denuncia Marcello Bonvicini, presidente di Confagricoltura Emilia-Romagna, citando i
dati ufficiali. La PLV regionale
(produzione lorda vendibile) continua a scendere: -8,9% per il grano tenero,
-8,3% per il duro, secondo il Rapporto
Agroalimentare Regione–Unioncamere 2024.
L’Emilia paga più della Romagna, e
l’effetto si fa sentire anche sulle superfici coltivate: solo nell’ultimo anno,
gli ettari investiti a grano tenero sono diminuiti dell’11,5%.
A pesare è una campagna partita male
fin dall’autunno, tra semine in ritardo e campi saturi d’acqua. Il maltempo
primaverile ha ulteriormente ostacolato le concimazioni, proprio mentre i costi
dei fertilizzanti – in particolare dell’urea,
fondamentale per lo sviluppo della spiga – salivano sensibilmente.
E all’orizzonte si profila un
ulteriore ostacolo: «Dal 1° gennaio 2027, secondo la bozza del nuovo Piano nazionale per la qualità dell’aria,
sarà vietato l’uso dell’urea nel Bacino Padano. Un colpo durissimo: sul mercato
non esistono alternative valide», avverte Bonvicini.
Intanto, mentre mulini e industrie di
trasformazione acquistano grano di qualità a prezzi vantaggiosi, cresce la
disaffezione degli agricoltori per una coltura che rischia di scomparire dal
panorama produttivo regionale.

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