lunedì 22 febbraio 2016

L’ultimatum della Corte dei conti al Consiglio superiore della magistratura.

Segnalato da Marco.


La Corte dei conti «bacchetta» il Consiglio superiore dalla magistratura. I giudici della sezione giurisdizionale del Lazio hanno ordinato al Csm di depositare la rendicontazione delle spese effettuate nel 2014. Secondo quanto deciso dal collegio, nella camera di consiglio del 14 gennaio scorso, «gli agenti contabili che operano nell’ambito del Consiglio superiore dalla magistratura – è cioè l’istituto cassiere, l’economo e il consegnatario dei beni – sono soggetti al giudizio di conto di competenza della Corte dei conti». Di conseguenza, sono tenuti a fornire la prova documentale di come è stato speso il denaro pubblico per far funzionare il Csm. L’organo di autogoverno della magistratura ha 120 giorni di tempo, dalla notifica della sentenza, per assolvere a quest’obbligo. A meno che non decida di sollevare il conflitto di attribuzione dei poteri davanti alla Corte costituzionale.
È dal lontano 1999 che il Csm non presenta i conti giudiziali ai giudici contabili. Quindi, è da 17 anni che la Corte dei conti non esercita la sua funzione di controllo su come sono stati spesi i fondi stanziati dal ministero dell’Economia per il funzionamento degli uffici di piazza dell’Indipendenza. Una volta incamerato questo denaro, infatti, l’istituto cassiere, l’economo e il consegnatario dei beni devono dimostrare a un organo terzo (qual è la magistratura contabile) in che modo le somme sono state erogate: dal pagamento degli stipendi del personale, alle spese di cancelleria o di guardiania. I giudici della Corte dei conti non sono chiamati a valutare nel merito come sono stati spesi i soldi pubblici, ma se tutte le uscite sono giustificate correttamente. La sentenza finale può essere di «discarico», quando il conto è regolare, o di condanna, quando vi sono voci di spesa che risultano non giustificate correttamente. In quest’ultimo caso l’agente contabile viene condannato a rifondere le spese. Ogni volta che il conto giudiziale non viene presentato alla Corte dei conti, ne nasce un giudizio per la resa del conto, esattamente come è successo per il Csm.
Quando, la scorsa estate, il presidente della sezione Lazio, Ivan De Musso, ha chiesto all’ente di visionare i conti a partire dall’anno 2010, il segretario generale, con una nota del 4 agosto 2015, ha risposto che «il Consiglio superiore della magistratura, quale organo di rilevanza costituzionale, non è tenuto alla resa del conto giudiziale degli agenti contabili, in analogia a quanto già statuito dalla Corte costituzionale per il Parlamento, la Presidenza della Repubblica e la stessa Corte costituzionale». Inoltre, secondo quanto riferito dal segretario generale, il Csm si è dotato di un nuovo strumento di controllo interno, che garantisce un’autonomia finanziaria e di bilancio. Queste argomentazioni non hanno convinto il presidente della Corte dei conti del Lazio, tanto da decidere di sottoporre la questione alla sezione in sede collegiale. Anche il collegio ha ritenuto infondate le tesi difensive, sottolineando come una pluralità di pronunce della Corte costituzionale ribadiscano come «a nessun ente gestore di mezzi di provenienza pubblica e a nessun agente contabile che abbia maneggio di denaro di proprietà dell’ente è consentito di sottrarsi al dovere di presentare il conto». In questo panorama, non fa eccezione nemmeno il Csm. Infatti, una sentenza del 1891 del Giudice delle leggi ha escluso dal giudizio di conto solo la Presidenza della Repubblica e i due rami del Parlamento. «La funzione primaria del Csm – spiega la sentenza depositata il 17 febbario 2016 – non può essere equiparata a quella di un potere sovrano, il cui esercizio è intangibile da altra autorità».
Insomma, secondo i magistrati di via Baiamonti, il Consiglio superiore della magistratura non può ritenersi «immune» dal controllo della Corte dei conti e, per tutti questi anni, non ha agito correttamente aggirando il controllo dei giudici contabili. «L’assoggettabilità al giudizio di conto dei soggetti che gestiscono risorse pubbliche in seno al Csm – si legge nella sentenza – non è invasiva della funzione costituzionale del Csm, né pregiudica la sua autonomia e tantomeno quella della magistratura, come vorrebbero far credere le argomentazioni difensive. Ma ha come finalità istituzionale l'accertamento della correttezza del "maneggio" di beni e valori di pertinenza pubblica, accertamento che l’ordinamento ha assegnato alla Corte dei conti perché venga svolto da un organo terzo e nelle forme giudiziali a salvaguardia del denaro pubblico».
Valeria Di Corrado

1 commento:

Anonimo ha detto...

Che vi piaccia o no, questa è l'Italia, nazione i cui Giudici dichiarano incostituzionale il taglio delle loro pensioni d'oro.
La loro autonomia è un dogma sacro, "pollice verso" per tutti gli altri cittadini sudditi e che finiscano nelle fauci di Fornero.