domenica 7 dicembre 2025

Gaggio Montano, la Saga Coffee non si sposta: dieci anni dopo la crisi Saeco, l’Appennino rivive le stesse paure


 di Emanuela Cioni 

Dieci anni dopo la vertenza Saeco, le immagini che tornano dall’Appennino bolognese sembrano le stesse: preoccupazione tra i lavoratori, assemblee con le istituzioni, incertezza sul futuro dello stabilimento. Allora l’allarme riguardava i 243 esuberi annunciati da Philips; oggi la tensione si concentra sulla crisi di Gaggio Tech, l’azienda che ha raccolto l’eredità di Saga Coffee.

Due stabilimenti diversi, stesso territorio. E soprattutto la stessa domanda: com’è possibile ritrovarsi ancora qui?

Dieci anni fa: la vertenza Saeco e il territorio mobilitato

Nel 2015 il territorio dell’Appennino si era stretto attorno ai lavoratori Saeco, minacciati da una pesante ristrutturazione industriale decisa da Philips.
Si parlava di smantellamento della produzione italiana, rischio di delocalizzazione e perdita di un presidio industriale che garantiva valore economico e competenze.

Scioperi, presidi ai cancelli, appelli al Governo, interventi di Regione e parlamentari del territorio non bastarono a nascondere un’evidenza:
quando una multinazionale decide di ridurre o spostare la produzione, i territori pagano sempre il prezzo più alto.

Oggi: la crisi Gaggio Tech

Oggi, dieci anni dopo, la scena si ripete quasi identica.
Lavoratrici e lavoratori preoccupati, incontri con sindacati e istituzioni, uno stabilimento che non riesce a trovare una direzione chiara.

A rendere più fragile il quadro è il percorso tormentato dell’azienda: più passaggi di proprietà, investimenti insufficienti e l’assenza di una strategia industriale capace di dare stabilità a lungo termine.

L’impressione, condivisa da molti nel territorio, è quella di emergenze cicliche che si ripresentano senza che vengano mai affrontate le cause strutturali.

Di chi sono le responsabilità?

Secondo chi conosce da vicino la storia industriale dell’Appennino, le responsabilità sono molteplici e stratificate.

Le aziende, negli anni, hanno spesso adottato logiche finanziarie di breve periodo:
riduzione dei costi, delocalizzazioni, operazioni mirate più al valore dei marchi che al futuro dei lavoratori.

Lo Stato, da oltre vent’anni, sconta l’assenza di una vera politica industriale.
Si interviene quando la crisi esplode, mai prima: senza piani attrattivi per nuovi investimenti, senza protezione per le filiere strategiche.

Le istituzioni locali, pur impegnate, spesso dispongono di strumenti limitati per incidere davvero sulle scelte delle proprietà.

Il risultato è un sistema che non tutela a sufficienza gli stabilimenti strategici e lascia scoperti i territori più fragili.

Un Appennino che chiede una strategia

Il caso Gaggio Tech riporta al centro un nodo irrisolto: l’Appennino ha bisogno di una politica industriale dedicata, con:

  • incentivi reali per chi investe in modo stabile,
  • controlli stringenti su chi acquisisce stabilimenti solo per sfruttarne il marchio o i macchinari,
  • continuità e garanzie nei passaggi di proprietà,
  • una visione che non obblighi i territori a vivere costantemente nell’emergenza.

Dieci anni dopo, non possiamo permetterci un altro decennio uguale

Se dopo dieci anni ci ritroviamo di nuovo in questa situazione, significa che questo presidio industriale non è stato protetto abbastanza e che non sono stati imposti vincoli chiari a chi acquistava.

Le aziende dell’Appennino – da Saeco a Saga Coffee – non sono semplici fabbriche: sono identità, lavoro e dignità di una comunità che in questi anni ha dato tutto: competenze, storia, professionalità.

Adesso, dicono lavoratori e amministratori, è il momento che istituzioni e imprese facciano la loro parte.
Perché tra altri dieci anni, queste immagini non dovranno più ripetersi.

(Inviato da Dubbio) 

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