di Emanuela Cioni
Dieci anni dopo la vertenza Saeco, le immagini che tornano dall’Appennino bolognese sembrano le stesse: preoccupazione tra i lavoratori, assemblee con le istituzioni, incertezza sul futuro dello stabilimento. Allora l’allarme riguardava i 243 esuberi annunciati da Philips; oggi la tensione si concentra sulla crisi di Gaggio Tech, l’azienda che ha raccolto l’eredità di Saga Coffee.
Due
stabilimenti diversi, stesso territorio. E soprattutto la stessa domanda: com’è
possibile ritrovarsi ancora qui?
Dieci anni fa: la vertenza Saeco e il territorio
mobilitato
Nel 2015 il
territorio dell’Appennino si era stretto attorno ai lavoratori Saeco,
minacciati da una pesante ristrutturazione industriale decisa da Philips.
Si parlava di smantellamento della produzione italiana, rischio di
delocalizzazione e perdita di un presidio industriale che garantiva valore
economico e competenze.
Scioperi,
presidi ai cancelli, appelli al Governo, interventi di Regione e parlamentari
del territorio non bastarono a nascondere un’evidenza:
quando una multinazionale decide di ridurre o spostare la produzione, i
territori pagano sempre il prezzo più alto.
Oggi: la crisi Gaggio Tech
Oggi, dieci
anni dopo, la scena si ripete quasi identica.
Lavoratrici e lavoratori preoccupati, incontri con sindacati e istituzioni, uno
stabilimento che non riesce a trovare una direzione chiara.
A rendere
più fragile il quadro è il percorso tormentato dell’azienda: più passaggi di
proprietà, investimenti insufficienti e l’assenza di una strategia industriale
capace di dare stabilità a lungo termine.
L’impressione,
condivisa da molti nel territorio, è quella di emergenze cicliche che si
ripresentano senza che vengano mai affrontate le cause strutturali.
Di chi sono le responsabilità?
Secondo chi
conosce da vicino la storia industriale dell’Appennino, le responsabilità sono
molteplici e stratificate.
Le aziende, negli
anni, hanno spesso adottato logiche finanziarie di breve periodo:
riduzione dei costi, delocalizzazioni, operazioni mirate più al valore dei
marchi che al futuro dei lavoratori.
Lo Stato, da oltre
vent’anni, sconta l’assenza di una vera politica industriale.
Si interviene quando la crisi esplode, mai prima: senza piani attrattivi per
nuovi investimenti, senza protezione per le filiere strategiche.
Le istituzioni
locali, pur impegnate, spesso dispongono di strumenti limitati per incidere
davvero sulle scelte delle proprietà.
Il risultato
è un sistema che non tutela a sufficienza gli stabilimenti strategici e lascia
scoperti i territori più fragili.
Un Appennino che chiede una strategia
Il caso
Gaggio Tech riporta al centro un nodo irrisolto: l’Appennino ha bisogno di una politica
industriale dedicata, con:
- incentivi reali per chi investe
in modo stabile,
- controlli stringenti su chi
acquisisce stabilimenti solo per sfruttarne il marchio o i macchinari,
- continuità e garanzie nei
passaggi di proprietà,
- una visione che non obblighi i
territori a vivere costantemente nell’emergenza.
Dieci anni dopo, non possiamo permetterci un altro
decennio uguale
Se dopo
dieci anni ci ritroviamo di nuovo in questa situazione, significa che questo
presidio industriale non è stato protetto abbastanza e che non sono stati
imposti vincoli chiari a chi acquistava.
Le aziende
dell’Appennino – da Saeco a Saga Coffee – non sono semplici fabbriche: sono identità, lavoro e dignità di una comunità che in questi anni ha dato
tutto: competenze, storia, professionalità.
Adesso,
dicono lavoratori e amministratori, è il momento che istituzioni e imprese facciano
la loro parte.
Perché tra altri dieci anni, queste immagini non dovranno più ripetersi.
(Inviato da Dubbio)
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