“Pietro
è andato a casa. E noi siamo in cammino”, ha detto don Antonio,
parroco di Calvenzano, nell'omelia di suffragio di Pietro Vicinelli,
deceduto dopo essere stato colpito da un male incurabile.
Ha
ricordato l'amico scomparso e la sua convinta attività per il
recupero delle alimentazioni genuine locali, per la salvaguardia
dell'Appennino finalizzata a riportarlo alla produttività agricola
per la quale utilizzare anche le 'sementi antiche'. “Questa
ricerca della vita vera e delle cose vere lo avvicinava a Dio. Pietro
ha amato tanto i suoi fratelli , i figli di Dio”, ha ricordato
ancora il sacerdote.
Certo erano in tanti a dargli l'ultimo saluto.
Tanti da riempire la piccola chiesa di Carbona e affollare il sagrato
fuori. Tutti lì per l'apprezzamento alla persona e al suo convinto
apostolato per la rinascita dell'Appenino. In tanti, in modo
semplice, come era semplice Pietro nel suo propagandare nuove
iniziative, come la coltivazione del farro, della mela rosa romana,
dell'allevamento del bestiame di 'razze singolari'. Apostolo spesso
incompreso, cozzava contro una realtà scoraggiante, ma sempre
senza perdersi d'animo. L'Appennino ha perso da tempo i suoi
operatori, portati via dalla proposta industriale del dopoguerra e il
loro posto è stato occupato dagli animali selvatici, competitori
voraci dell'agricoltore. Troppo spesso la sua 'propaganda' cadeva
quindi nel vuoto. Ma lui non mollava mai. Forse continuerà anche da
lassù a prodigarsi per questo piccolo meraviglioso fazzoletto
abbandonato e stanco.
Oggi
comunque Pietro ha avuto il riconoscimento dei suoi conterranei. Il
suo sogno era il sogno di tanti e chissà che il futuro non riservi
piacevoli sorprese. Da dove è ora se ne compiacerà
certamente.
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