Ricordate
la furiosa polemica di inizio anno sui sacchetti
in plastica a pagamento per comprare frutta e verdura? Una nuova
tappa nella vicenda arriva dal Consiglio di Stato, che ha dato via
libera all’uso di bioshopper monouso nuovi per frutta e verdura
portati da casa o comprati altrove quando si fanno acquisti al
supermercato o in frutteria. Di più: i consumatori potranno usare
anche contenitori
alternativi alle buste in plastica,
purché idonei a contenere frutta e verdura.
Andranno
naturalmente rispettati i requisiti che impone la normativa: i
bioshopper devono essere nuovi e conformi alla normativa sui
materiali a contatto con gli alimenti, i contenitori alternativi
devono essere adatti a contenere ortofrutta.
Il chiarimento arriva dal Consiglio
di Stato, che ha reso il parere sull’uso dei sacchetti di plastica
monouso in caso di acquisto di frutta e verdura.
La
questione ha tenuto banco all’inizio dell’anno, quando è entrata
in vigore la normativa che impone l’uso di sacchetti
biodegradabili, compostabili e pagamento, col Decreto Mezzogiorno
(legge 123/2017) che ha recepito la Direttiva UE n. 2015/720. L’anno
in effetti si è aperto con una
polemica furibonda sull’ingresso nei supermercati e nei negozi
dei sacchetti
biodegradabili e compostabili per imbustare frutta, verdura e
alimenti: in favore dell’ambiente ma a pagamento per i consumatori.
Ci sono state polemiche vibranti, proteste creative, distinguo sulla
ripartizione dei costi effettivi, precisazioni di ogni ordine e
grado, tumulti sui social network e altrettanti sfottò. L’ultimo
chiarimento arriva dunque dal Consiglio di Stato, che il 29 marzo
scorso ha reso il parere (numero 859) richiesto dal Ministero della
Salute.
Si
legge nella sintesi del provvedimento: “Fermo restando il primario
interesse alla tutela della sicurezza ed igiene degli alimenti,
è possibile per i consumatori utilizzare nei soli reparti di vendita
a libero servizio (frutta e verdura) sacchetti monouso nuovi dagli
stessi acquistati al di fuori degli esercizi commerciali, conformi
alla normativa sui materiali a contatto con gli alimenti,
senza che gli operatori del settore alimentare possano impedire tale
facoltà né l’utilizzo di contenitori
alternativi alle buste in plastica,
comunque idonei a contenere alimenti quale frutta e verdura,
autonomamente reperiti dal consumatore; non può inoltre
escludersi, alla luce della normativa vigente, che per
talune tipologie di prodotto uno specifico contenitore non sia
neppure necessario”.
Il
Consiglio di Stato ricorda i riferimenti normativi e il fatto che la
norma disponga che “le borse di plastica in materiale ultraleggero
non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il
prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o
fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati per il loro
tramite”. Il parere è stato chiesto dal Ministero
della Salute,
che chiedeva se fosse possibile per i consumatori usare, nei reparti
di frutta e verdura, sacchetti monouso nuovi acquistati al di fuori
dello stesso esercizio commerciale e conformi alla normativa sui
materiali a contatto con gli alimenti, e se gli operatori del settore
alimentare fossero obbligati a consentirne l’uso.
Per
il Consiglio di Stato “il legislatore ha elevato le borse in
plastica ultraleggere utilizzate per la frutta e verdura all’interno
degli esercizi commerciali a prodotto che “deve” essere
compravenduto. In questa ottica, la borsa, per legge, è un bene
avente un valore autonomo ed indipendente da quello della merce che è
destinata a contenere”. Partendo da questo assunto, per il
Consiglio di Stato “l’utilizzo e la circolazione delle borse in
questione – in quanto beni autonomamente commerciabili – non
possono essere sottratte alla logica del mercato. Per tale ragione,
non sembra
consentito escludere la facoltà del loro acquisto all’esterno
dell’esercizio commerciale nel quale saranno poi utilizzate,
in quanto, per l’appunto, considerate di per sé un prodotto
autonomamente acquistabile, avente un valore indipendente da quello
delle merci che sono destinate a contenere. In questa prospettiva,
è dunque coerente con lo strumento scelto dal legislatore la
possibilità per i consumatori di utilizzare sacchetti dagli stessi
reperiti al di fuori degli esercizi commerciali nei quali sono
destinati ad essere utilizzati”.
Il
fatto che la busta in plastica debba essere pagata vuole incentivare
anche l’uso di materiali alternativi e meno inquinanti, prima di
tutto la carta. Da questo deriva, prosegue il Consiglio di Stato, che
“deve
certamente ammettersi la possibilità di utilizzare – in luogo
delle borse ultraleggere messe a disposizioni, a pagamento,
nell’esercizio commerciale – contenitori alternativi alle buste
in plastica, comunque idonei a contenere alimenti quale frutta e
verdura, autonomamente reperiti dal consumatore;
non potendosi inoltre escludere, alla luce della normativa vigente,
che per talune tipologie di prodotto uno specifico contenitore non
sia neppure necessario”.
Dal
loro canto, i negozi devono garantire il rispetto della normativa
sull’igiene e la sicurezza alimentare. Ciascun esercizio
commerciale sarà dunque tenuto “alla
verifica dell’idoneità e della conformità a legge dei sacchetti
utilizzati dal consumatore,
siano essi messi a disposizione dell’esercizio commerciale stesso,
siano essi introdotti nei locali autonomamente dal consumatore –
spiega il Consiglio di Stato – In quanto soggetto che deve
garantire l’integrità dei prodotti ceduti dallo stesso, può
vietare l’utilizzo di contenitori autonomamente reperiti dal
consumatore solo se non conformi alla normativa di volta in volta
applicabile per ciascuna tipologia di merce, o comunque in concreto
non idonei a venire in contatto con gli alimenti”.
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