Un
lettore con l'interrogativo: “ Ma chi progettava le politiche
trascorse e chi progetta quelle attuali, PARTITICAMENTE parlando,
cosa ha fatto?”, invia:
Nella
terra, dove dall’inizio della crisi tutto è cambiato, l’unica
speranza oggi si chiama turismo. Meglio se sostenibile, dove
escursioni, percorsi enogastronomici e cultura s’accoppiano in
una proposta unica che manda in pensione i vecchi modelli di un
tempo, legati solo alla neve, alle terme e alla villeggiatura. Modi
diversi di vivere l’Appennino che se, fino ad undici anni fa,
registravano numeri da record, con oltre 99.000 arrivi e quasi
28.000 presenze, oggi non tirano più.
I
DATI - Nel 2016, rispetto all’anno in cui l’Italia ha vinto
il suo ultimo mondiale, i turisti che hanno fatto il check-in
almeno in una struttura ricettiva sono diminuiti del 38%, mentre il
numero delle notti trascorse sotto le stelle della montagna
bolognese si sono dimezzate. E nel frattempo anche l’Appennino è
cambiato: da fiorente distretto industriale si è trasformato nel
luogo dal quale tutti se ne vogliono andare. L’emigrazione è
continua e strutturale: se ne vanno i dipendenti delle fabbriche
che un tempo davano lavoro a centinaia di famiglie, come gli ultimi
239 operai della Saeco di Gaggio Montano che sperano di essere
presto ricollocati. O i coraggiosi 84 operai della Stampi Group di
Monghidoro, rimasti in presidio per 259 giorni. Con loro fuggono
anche insegnanti, giovani e famiglie.
L’ALLARME
- «Se non riusciamo a garantire i servizi scolastici, qui non
verrà più nessuno a vivere e lavorare. I nostri territori
rischiano di spopolarsi». È questo il grido d’allarme di chi la
montagna bolognese l’amministra da tempo. Ma se tutti scappano,
c’è anche chi arriva. Negli ultimi anni, anche se i dati sono
ancora negativi rispetto agli anni pre crisi, si sta assistendo al
ritorno di chi l’Appennino lo sceglie invece per rilassarsi. È
il popolo dei turisti, soprattutto italiani e mordi e fuggi, che
stanno tornando a frequentare la montagna. E così se i
villeggianti diminuiscono, aumentano gli escursionisti.
«Sicuramente i tempi d’oro sono ancora lontani» — spiega
Stefano Lorenzi, direttore di Appennino Slow —, «ma ci sono zone
dell’Appennino che oggi vanno meglio di altre. Tutta la via degli
Dei, la Valsamoggia e l’Imolese stanno andando molto bene. Se i
dati positivi non si vedono ancora, per ora si parla di un aumento
di presenze intorno al 7-8%. In tutte queste aree sta esplodendo il
turismo legato al benessere: il mondo si è rimesso a camminare, e
molta gente sta venendo da noi alla scoperta di quell’Italia
minore, dove fare un’escursione costa meno ».
TURISMO
- Ma oltre agli arrivi e alle notti trascorse dai viaggiatori,
l’anno scorso è diminuito anche il numero di strutture
ricettive: nel 2016 sono aumentate del 23% rispetto al 2015, ma
dopo diversi anni di crescita continua oggi sono tornate agli
stessi livelli del 2010 con 119 realtà ospitanti e 2766 posti
letto (-7%). «Ci sono però aree, come il Corno alle Scale o la
zona di Porretta Terme, dove si fa più fatica ad invertire la
rotta: qui i numeri sono più negativi. Il mercato delle seconde
case è in crisi e gli stranieri non vanno nelle strutture vecchie,
ma preferiscono frequentare chi propone servizi in linea con i
trend del momento. Il busiMa chi progettava le politiche trascorse
e chi progetta quelle attuali, PARTITICAMENTE parlando?
villeggiatura, ora al massimo si arriva e si torna a casa in giornata». Ma se l’estate 2017 si allineerà più o meno con i dati di quella del 2016 con quasi 28 mila arrivi e 6500 presenze, chi non sarà in grado di stare al passo con i cambiamenti del mercato il prossimo anno rischia già di scomparire. «Stiamo pagando gli effetti delle politiche del passato che privilegiavano solo un certo tipo di turismo. Oggi stiamo cercando di vendere un altro tipo di montagna, i risultati si vedranno solo fra qualche anno. Bisogna resistere ancora un po’».
villeggiatura, ora al massimo si arriva e si torna a casa in giornata». Ma se l’estate 2017 si allineerà più o meno con i dati di quella del 2016 con quasi 28 mila arrivi e 6500 presenze, chi non sarà in grado di stare al passo con i cambiamenti del mercato il prossimo anno rischia già di scomparire. «Stiamo pagando gli effetti delle politiche del passato che privilegiavano solo un certo tipo di turismo. Oggi stiamo cercando di vendere un altro tipo di montagna, i risultati si vedranno solo fra qualche anno. Bisogna resistere ancora un po’».
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