Attivisti al Gran Reno: “Ogni acquisto decide la vita o la morte di un bambino”. Quattro in sciopero della fame per chiedere sicurezza per la Flotilla e il riconoscimento del genocidio a Gaza
Nel pomeriggio di venerdì scorso, 20 settembre,
intorno alle 18, un gruppo di attivisti di Ultima
Generazione ha organizzato un presidio davanti all’ingresso del centro
commerciale Gran Reno. Nel mirino, secondo quanto denunciato dagli attivisti,
la “complicità economica” di alcune multinazionali con il conflitto in corso a
Gaza.
L’iniziativa, riportata da Bologna Today, si è basata su un appello al boicottaggio, definito dal movimento una forma di “resistenza civile” e pressione economica. “Ogni acquisto che noi facciamo o non facciamo decide la vita e la morte di un bambino o di una famiglia – ha spiegato Lorenzo, 24 anni – decide se arriveranno aiuti umanitari oppure delle bombe”.
In parallelo alla protesta, il gruppo ha annunciato che quattro attivisti – Alina,
Beatrice, Claudio e Serena – hanno intrapreso uno sciopero della fame. Le
richieste avanzate sono due: garantire il ritorno in sicurezza degli italiani
imbarcati sulla cosiddetta Flotilla e
ottenere dal governo Meloni il riconoscimento ufficiale di quello che viene
definito “genocidio a Gaza”.
Nel comunicato diffuso, Ultima Generazione sottolinea di voler sostenere “tutte le persone che sceglieranno lo sciopero della fame come forma di resistenza nonviolenta”. L’obiettivo dichiarato è duplice: “incidere sugli interessi economici che alimentano l’occupazione” e “tentare di forzare il blocco navale imposto da Israele”, dove si trovano anche attivisti italiani a bordo delle imbarcazioni.
La posizione del movimento è netta anche nei confronti degli Stati europei,
accusati di non intervenire per “interessi militari ed energetici” e di
lasciare ai cittadini il compito di agire. “Siamo già 53mila ad aver scelto
questa forma di resistenza attiva – si legge nel comunicato –. Il boicottaggio
è un atto politico concreto contro il genocidio in corso”.
Secondo gli attivisti, l’azione mira
a colpire direttamente le aziende che “continuano a esportare in Israele,
scegliendo il profitto invece di assumersi la responsabilità di non essere
complici”.
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