giovedì 6 settembre 2018

Mense scolastiche, Consiglio di Stato: sì al pasto portato da casa

Da Help Consumatori


Sì al pasto portato da casa a scuola. Il regolamento comunale che vieta di consumare pasti portati da fuori e introduce il divieto di consumare pasti diversi da quelli forniti dall’impresa appaltatrice della refezione scolastica è illegittimo. Così il Consiglio di Stato ha dichiarato l’illegittimità del regolamento del Comune di Benevento che aveva previsto l’obbligatorietà, per gli alunni delle scuole materne ed elementari, del servizio di ristorazione scolastica, stabilendo che nei locali in cui si svolge la refezione scolastica non era consentito consumare cibi diversi, come quelli portati da casa.
Per il regolamento comunale il presupposto era che “il consumo di parti confezionati a domicilio o comunque acquistati autonomamente potrebbe rappresentare un comportamento non corretto dal punto di vista nutrizionale, oltre che una possibile fonte di rischio igienico sanitario”. Secondo il Consiglio di Stato, che ha considerato infondato l’appello promosso dal Comune nei confronti di quanto stabilito dal Tribunale amministrativo (che aveva accolto il ricorso di un gruppo di genitori), il regolamento del Comune di Benevento “presenta plurimi profili di illegittimità”.
In pratica, il Consiglio di Stato argomenta che la scelta restrittiva del Comune limita la libertà personale e della famiglia relativa alla scelta alimentare, mentre “la sicurezza igienica degli alimenti portati da casa non può essere esclusa a priori attraverso una regolamento comunale: ma va rimessa al prudente apprezzamento e al controllo in concreto dei singoli direttori scolastici, mediante l’eventuale adozione di misure specifiche, da valutare caso per caso, necessarie ad assicurare, mediante accurato vaglio, la sicurezza generale degli alimenti”.
Il Consiglio di Stato ha chiarito che il regolamento “interferisce con la circolare del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca n. 348 del 3 marzo 2017, rivolta ai direttori degli Uffici scolastici regionali, che (muovendo dal “riconoscimento giurisprudenziale” del diritto degli alunni di consumare il cibo portato da casa, e in attesa della pronuncia della Corte di cassazione innanzi alla quale sono pendenti alcuni ricorsi proposti dallo stesso MIUR avverso le pronunce dei giudici di merito) ha, nelle more, confermato la possibilità di consumare cibi portati da casa, dettando alcune regole igieniche ed invitando i dirigenti scolastici ad adottare una serie di conseguenziali cautele e precauzioni”.
Per il Consiglio di Stato “la scelta restrittiva radicale del Comune  – di suo non supportata da concretamente dimostrate ragioni di pubblica salute o igiene né commisurata ad un ragionevole equilibrio – di interdire senz’altro il consumo di cibi portati da casa (attraverso lo strumentale e previsto divieto di permanenza nei locali scolastici degli alunni che intendono pranzare con alimenti diversi da quelli somministrati dalla refezione scolastica) limita una naturale facoltà dell’individuo – afferente alla sua libertà personale – e, se minore, della famiglia mediante i genitori, vale a dire la scelta alimentare: scelta che – salvo non ricorrano dimostrate e proporzionali ragioni particolari di varia sicurezza o decoro – è per sua natura e in principio libera, e si esplica vuoi all’interno delle mura domestiche vuoi al loro esterno: in luoghi altrui, in luoghi aperti al pubblico, in luoghi pubblici”. Per restringere questa facoltà servono dunque “dimostrate e proporzionali ragioni inerenti quegli opposti interessi pubblici o generali. Queste ragioni, vertendosi di libertà individuali e nell’ambiente scolastico, non possono surrettiziamente consistere nelle mere esigenze di economicità di un servizio generale esternalizzato e del quale non si intende fruire perché non intrinseco, ma collaterale alla funzione educativa scolastica”.
La restrizione pratica col regolamento “non corrisponde dunque ai canoni di idoneità, coerenza, proporzionalità e necessarietà rispetto all’obiettivo – dichiaratamente perseguito – di prevenire il rischio igienico-sanitario – prosegue il Consiglio di Stato – E l’assunto che “il consumo di parti confezionati a domicilio o comunque acquistati autonomamente potrebbe rappresentare un comportamento non corretto dal punto di vista nutrizionale” si manifesta irrispettoso delle rammentate libertà e comunque è apodittico”. Fra l’altro, non sono impedite ad esempio le merende portate da casa. Scrive ancora il Consiglio di Stato: “L’inidoneità e l’incoerenza della misura emerge in particolare dalla considerazione che non risulta, ad esempio, inibito agli alunni il consumo di merende portate da casa, durante l’orario scolastico: per analogia, si potrebbe addurre infatti anche per queste la sollevata problematica del rischio igienico-sanitario”.

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