giovedì 13 settembre 2018

Tutela consumatori, CGUE: stop a carte Sim con servizi a pagamento preimpostati se utenti non lo sanno

Marco segnala

Stop alle carte telefoniche Sim con servizi a pagamento preimpostati e preattivati se i consumatori non sono stati informati prima. L’immissione in commercio di Sim con servizi a pagamento di questo tipo rappresenta una “pratica commerciale aggressiva sleale” se fatto all’insaputa dei consumatori. Si tratta perciò di una “fornitura non richiesta” che può essere sanzionata anche dall’Autorità Antitrust. La pronuncia viene dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, interrogata su diritto della Ue relativo a pratiche commerciali sleali e comunicazioni elettroniche da parte dell’Italia e sulla competenza fra Autorità (in questo caso, fra Antitrust e Agcom).
Il caso parte nel 2012 quando l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, l’Antitrust, ha sanzionato Wind Telecomunicazioni (ora Wind Tre) e Vodafone Omnitel (ora Vodafone Italia) per aver commercializzato carte Sim sulle quali erano preimpostati e previamente attivati servizi di navigazione Internet e di segreteria telefonica i cui costi venivano addebitati all’utente se quest’ultimo non ne richiedeva espressamente la disattivazione. L’Autorità contestava alle società di non aver informativo previamente i consumatori né del fatto che i servizi fossero preimpostati e preattivati, né dei loro costi. La navigazione online fra l’altro poteva dar luogo anche a connessioni fatte all’insaputa dell’utente attraverso applicazioni «always on».
Adito dalla Wind Tre e dalla Vodafone Italia, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha annullato i provvedimenti dell’Antitrust dichiarando che tali sanzioni rientravano nella competenza dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom). La cosa è arrivata al Consiglio di Stato, che nel 2016 in adunanza plenaria ha dichiarato che la competenza a sanzionare la mera violazione degli obblighi informativi nel settore delle comunicazioni elettroniche appartiene all’Agcom, mentre la sanzione per una «pratica commerciale considerata in ogni caso aggressiva» (come, in particolare, una «fornitura non richiesta») rientra nella competenza dell’Antitrust anche nel settore delle comunicazioni elettroniche. Il Consiglio di Stato ha però sottoposto alla Corte di Giustizia l’interpretazione della normativa europea su pratiche commerciali sleali e comunicazioni elettroniche chiedendo in particolare se la condotta delle società di tlc possa essere considerata una «fornitura non richiesta» o, più in generale, come «pratica commerciale aggressiva».
La Corte si è pronunciata oggi evidenziando che la richiesta di un servizio deve essere una libera scelta del consumatore. E dunque “quando il consumatore non è stato informato né dei costi dei servizi né tantomeno della loro preimpostazione e previa attivazione sulla carta Sim che ha acquistato (circostanza la cui verifica spetta al giudice nazionale), non si può ritenere che abbia liberamente scelto la fornitura di tali servizi. In proposito è irrilevante che l’utilizzo dei servizi abbia potuto richiedere, in taluni casi, un’azione consapevole da parte del consumatore. Parimenti, è irrilevante che il consumatore abbia avuto la possibilità di far disattivare o di disattivare egli stesso tali servizi, dal momento che non era stato previamente informato della loro esistenza”.
Non è detto, e non è evidente, che il consumatore sia consapevole che le Sim abbiano servizi preimpostati e preattivati o che abbia la competenza tecnica per disattivare questi servizi. Perciò, conclude la Corte, “con riserva di verifica da parte del giudice nazionale, condotte come quelle contestate agli operatori di telefonia di cui trattasi costituiscono una «fornitura non richiesta» e, pertanto, ai sensi della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, una pratica sleale, e più precisamente una pratica considerata in ogni caso aggressiva”.
Non c’è inoltre contrasto fra la direttiva sulle pratiche commerciali sleali e la direttiva “servizio universale” sui diritti degli utenti finali, che impone ai fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche di fornire determinate informazioni nel contratto, mentre la prima disciplina aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, come la «fornitura non richiesta». La Corte dichiara di conseguenza che “il diritto dell’Unione non osta a una normativa nazionale in virtù della quale una «fornitura non richiesta» dev’essere valutata alla luce della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, con la conseguenza che, secondo tale normativa, l’Autorità nazionale di regolamentazione di cui alla direttiva «quadro» non è competente a sanzionare tale condotta”.

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