domenica 7 novembre 2021

L’Emilia-Romagna si propone di diventare ‘un granaio’

Ulteriore incremento  delle superfici a frumento in Emilia-Romagna, da 240 a 245 mila ettari nella campagna 2021/2022. 


di Barbara Bertuzzi 

Confindustria Emilia Romagna

Crescono le superfici a grano tenero e duro in Emilia-Romagna, quelle a orzo si confermano stabili. Sono i dati raccolti da Confagricoltura Emilia Romagna per la campagna cerealicola 2021/2022, mentre si avviano alla conclusione le operazioni di semina.  Aumenta soprattutto il duro salendo a 85 mila ettari, fino a rappresentare il 35% circa delle superfici investite a grano. Ferrara è la prima provincia con 65.000 ha, equamente divisi tra tenero e duro, seguono Bologna con 54.000 ha (qui il tenero supera il duro nonostante quest’ultimo abbia guadagnato terreno negli ultimi tre anni) e Ravenna con 31.000 ha (dove prevalgono leggermente le superfici a duro), poi Modena con 26.000 ha di cui il 75% a tenero.

Il boom del grano in regione è spinto certamente dall’incremento dei prezzi all’origine. Dall’inizio della campagna di commercializzazione, in luglio, le quotazioni del frumento duro nazionale sono aumentate più dell’80% fino a toccare oggi i 540 euro a tonnellata, nel listino della Borsa merci di Bologna. Ossia: «Uno scatto del + 100% rispetto al 2020 e del +140% se rapportato alla media degli ultimi cinque anni».

Sull’escalation dei prezzi,  spiega Lorenzo Furini, responsabile della sezione cereali «il rialzo non è trainato solo dallo squilibrio tra l’offerta e la domanda su scala mondiale (il meteo ha infatti ridotto all’osso i livelli di produzione negli areali più importanti), ma anche dagli effetti della pandemia sulla logistica – ad esempio la carenza di navi e container e le barriere al commercio internazionale -, oltre ai fenomeni speculativi. In sintesi: gli stock non sono mai stati così bassi».

In merito alle produzioni di grano dell’Emilia-Romagna, traccia lo scenario futuro il presidente di Confagricoltura Emilia Romagna, Marcello Bonvicini: «Gli alti standard quantitativi e qualitativi, sia per l’elevato tenore proteico che per il buon peso specifico, danno valore a filiere d’eccellenza come quelle della pasta e dei prodotti da forno “made in Italy”. Bisogna andare verso nuovi modelli di valorizzazione delle materie prime locali costruendo filiere capaci di coinvolgere nel progetto agroindustriale le varie componenti interne, a monte e a valle. Oggi più che mai è essenziale mantenere l’obbligo di indicare in etichetta l’origine delle materie prime», come peraltro richiesto dal presidente nazionale di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, che ha scritto al ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli sollecitando una proroga dell’obbligo di indicare in etichetta l’origine delle materie prime di alcuni prodotti agroalimentari di estrema rilevanza (lattiero-caseari, pasta, derivati di pomodoro e carni suine trasformate) che, in base alle disposizioni attuali, cesserà il 31 dicembre 2021.


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