Ulteriore incremento delle superfici a frumento in Emilia-Romagna, da 240 a 245 mila ettari nella campagna 2021/2022.
di Barbara Bertuzzi
Confindustria
Emilia Romagna
Crescono
le superfici a grano tenero e duro in Emilia-Romagna, quelle a orzo si
confermano stabili. Sono i dati raccolti da Confagricoltura Emilia Romagna per
la campagna cerealicola 2021/2022, mentre si avviano alla conclusione le
operazioni di semina. Aumenta soprattutto il duro salendo a 85 mila
ettari, fino a rappresentare il 35% circa delle superfici investite a
grano. Ferrara è la prima provincia con 65.000 ha, equamente divisi tra
tenero e duro, seguono Bologna con 54.000 ha (qui il tenero supera il duro
nonostante quest’ultimo abbia guadagnato terreno negli ultimi tre anni) e
Ravenna con 31.000 ha (dove prevalgono leggermente le superfici a duro), poi
Modena con 26.000 ha di cui il 75% a tenero.
Il boom del
grano in regione è spinto certamente dall’incremento dei prezzi
all’origine. Dall’inizio della campagna di commercializzazione, in
luglio, le quotazioni del frumento duro nazionale sono aumentate più
dell’80% fino a toccare oggi i 540 euro a tonnellata, nel listino della
Borsa merci di Bologna. Ossia: «Uno scatto del + 100% rispetto al 2020 e
del +140% se rapportato alla media degli ultimi cinque anni».
Sull’escalation
dei prezzi, spiega Lorenzo Furini, responsabile della sezione
cereali «il rialzo non è trainato solo dallo squilibrio tra l’offerta e la
domanda su scala mondiale (il meteo ha infatti ridotto all’osso i livelli di
produzione negli areali più importanti), ma anche dagli effetti della pandemia
sulla logistica – ad esempio la carenza di navi e container e le barriere al
commercio internazionale -, oltre ai fenomeni speculativi. In sintesi: gli
stock non sono mai stati così bassi».
In merito alle
produzioni di grano dell’Emilia-Romagna, traccia lo scenario futuro il
presidente di Confagricoltura Emilia Romagna, Marcello Bonvicini: «Gli alti
standard quantitativi e qualitativi, sia per l’elevato tenore proteico che
per il buon peso specifico, danno valore a filiere d’eccellenza come
quelle della pasta e dei prodotti da forno “made in Italy”. Bisogna andare
verso nuovi modelli di valorizzazione delle materie prime locali costruendo
filiere capaci di coinvolgere nel progetto agroindustriale le varie componenti
interne, a monte e a valle. Oggi più che mai è essenziale mantenere
l’obbligo di indicare in etichetta l’origine delle materie prime», come
peraltro richiesto dal presidente nazionale di Confagricoltura, Massimiliano
Giansanti, che ha scritto al ministro delle Politiche agricole
Stefano Patuanelli sollecitando una proroga dell’obbligo di indicare in
etichetta l’origine delle materie prime di alcuni prodotti
agroalimentari di estrema rilevanza (lattiero-caseari, pasta, derivati di pomodoro
e carni suine trasformate) che, in base alle disposizioni attuali, cesserà il
31 dicembre 2021.
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