Le
luci e le ombre dell'ultimo rapporto dell'Ispra secondo il quale in
discarica vanno sempre meno scarti non trattati, ma nel frattempo si
brucia sempre più plastica. Di certo l'impulso non arriva dalle
misure (blande) del governo: "Dobbiamo occuparci dei
deferimenti"
Marco invia:
Troppe
procedure d’infrazione
dell’Unione
Europea perché
in alcuni settori della gestione dei rifiuti l’Italia non fa il suo
dovere. E per questo il
ministero dell’Ambiente
non riesce a lavorare bene per alimentare e far sviluppare il sistema
di riciclo.
A dirlo sono gli stessi uffici del ministero, in particolare il
direttore generale del settore
rifiuti,
Mariano
Grillo. “In
questa fase purtroppo dobbiamo stare appresso alle infrazioni europee
– dice – che ci distolgono dal lavoro più interessante di far
crescere il sistema
del riciclo”.
Grillo ne parla durante la presentazione del rapporto annuale sui
rifiuti
urbani
dell’Ispra,
alla quale il ministero è arrivato dopo che da mesi sono attesi vari
decreti. Dal rapporto Ispra emergono aspetti anche positivi, ma il
punto resta valorizzare al massimo l’industria
del riciclo,
che in un Paese
povero di materie prime come l’Italia dovrebbe
essere come la cosa più intelligente da fare. E invece il rischio è
che appunto non si riesca a fare sistema, a collegare i diversi
elementi virtuosi in un disegno unico.
I
decreti sul cosiddetto end
of waste che
continuano a mancare sono almeno 4: riguardano il riciclo
di pannolini, pneumatici
esausti, fresatura
delle strade, polverino
di piombo.
In alcuni casi il decreto è atteso da un paio d’anni. Ma tutto,
dice il ministero, è reso farraginoso dalle tre
procedure di infrazione sui rifiuti aperte
dall’Ue. In una l’Italia è stata deferita dalla Commissione
europea alla Corte di giustizia per
la mancata
bonifica o chiusura di 44 discariche,
una seconda riguarda i Piani
regionali di gestione dei rifiuti (qui
c’è un parere motivato di Bruxelles),
la terza riguarda il mancato
rispetto
degli obblighi
di informazione
in materia di rifiuti (qui l’Italia è stata messa
in mora).
Le
luci (ma si brucia sempre di più)
Sullo sfondo, appunto, i dati dell’Ispra, che delineano uno scenario di luci e ombre: da una parte, in discarica vanno sempre meno scarti non trattati e aumenta il riciclo di alluminio, legno e acciaio; ma dall’altra parte lievita la plastica bruciata e pare già trasformato in un abbaglio il virtuoso “disaccoppiamento” tra crescita dei rifiuti e crescita del Pil. Un quadro insomma in cui gli interventi ministeriali attesi per agevolare l’economia circolare servirebbero come il pane.
Sullo sfondo, appunto, i dati dell’Ispra, che delineano uno scenario di luci e ombre: da una parte, in discarica vanno sempre meno scarti non trattati e aumenta il riciclo di alluminio, legno e acciaio; ma dall’altra parte lievita la plastica bruciata e pare già trasformato in un abbaglio il virtuoso “disaccoppiamento” tra crescita dei rifiuti e crescita del Pil. Un quadro insomma in cui gli interventi ministeriali attesi per agevolare l’economia circolare servirebbero come il pane.
I
dati positivi nel rapporto Ispra, si diceva, non mancano. A partire
appunto dal trattamento dei rifiuti prima del conferimento
in discarica,
dove continua ad andare comunque un
quarto della monnezza
italiana. Un passaggio che permette di non interrare la spazzatura
piena di percolato,
il liquido responsabile in molti casi dell’inquinamento
delle falde.
Secondo i dati del rapporto Ispra, infatti, nel 2016 la quota di
rifiuti trattati prima dello smaltimento ha raggiunto l’89
per cento per le discariche
e il 48 per cento per gli inceneritori, per un totale di circa
10 milioni di tonnellate.
Sempre in tema discariche, l’altra notizia positiva è la
diminuzione
della immondizia
interrata
(meno 5 per cento), in linea con la normativa europea che punta a una
progressiva riduzione
dei rifiuti smaltiti.
Nel 2016 sono diminuiti anche i
rifiuti inceneriti
(meno 3 per cento), ma il motivo, spiega l’Ispra, è legato ai
diversi impianti
fermi
per rinnovamento: c’è da aspettarsi che nei prossimi anni le
quantità bruciate nei forni vadano
invece a crescere.
Considerando
anche quanto confermato dal dirigente del ministero, Grillo:
“L’Italia ha bisogno di altri
otto inceneritori,
come previsto dallo
Sblocca Italia”.
L’altra
buona notizia del rapporto 2016 è che continua ad aumentare la
raccolta
differenziata
dei rifiuti
organici,
da cui si ricavano fertilizzanti
naturali
e biogas:
dopo il più 6 per cento registrato nel 2015, infatti, l’umido e il
verde valorizzati aumentano di oltre il 7 per cento, superando i 6,5
milioni di tonnellate. Mentre rimane la carenza
di impianti:
in Campania, per esempio, a fronte di 708mila
tonnellate raccolte,
solo 67mila vengono compostate in stabilimenti della regione.
Le
ombre (si brucia sempre più plastica)
Le performance positive dell’organico, invece, non si replicano per gli altri tipi di rifiuti: senza considerare l’umido, infatti, solo il 26 per cento degli scarti vengono rigenerati. Se si analizzano gli imballaggi, che rappresentano il grosso della differenziata urbana, l’aumento del riciclo di alluminio, legno e acciaio oscilla tra il +4 e il +5 per cento nel 2016, ma è sempre più evidente l’anomalia della filiera della plastica, dove a una crescita del riciclo del 2 per cento corrisponde un aumento dell’incenerimento del 6. E infatti su dieci imballaggi in plastica, solo quattro vengono avviati a nuova vita.
Le performance positive dell’organico, invece, non si replicano per gli altri tipi di rifiuti: senza considerare l’umido, infatti, solo il 26 per cento degli scarti vengono rigenerati. Se si analizzano gli imballaggi, che rappresentano il grosso della differenziata urbana, l’aumento del riciclo di alluminio, legno e acciaio oscilla tra il +4 e il +5 per cento nel 2016, ma è sempre più evidente l’anomalia della filiera della plastica, dove a una crescita del riciclo del 2 per cento corrisponde un aumento dell’incenerimento del 6. E infatti su dieci imballaggi in plastica, solo quattro vengono avviati a nuova vita.
Numeri
che quest’anno arrivano in un clima
schizofrenico.
Dove non solo il ministero dell’Ambiente si dice prima di tutto
impegnato a fronteggiare le procedure
di infrazione europee,
ma dall’altro lato gli ambientalisti
lamentano il ritardo
delle misure che servirebbero a dare impulso
al riciclo
e le imprese che paventano una nuova emergenza rifiuti, dopo
gli allarmi già lanciati quest’estate da Anci e nelle scorse
settimane da
Regione
Lombardia
e Assorecuperi
e poi anche dall’Unione Nazionale Imprese Recupero e riciclo
maceri cartari
(Unirima).
L’economia
circolare che non circola
L’economia circolare, quella cioè che dovrebbe trasformare i rifiuti in nuove risorse reimmesse nel ciclo produttivo, in Italia appare insomma frenata dalla mancanza di misure ad hoc. Stretta nell’immobilismo di chi dovrebbe occuparsi di facilitare il riciclo e prevenire la produzione di imballaggio difficili da riciclare e non sempre riesce a farlo. Il direttore generale di Legambiente Stefano Ciafani denuncia “i molti ostacoli che ancora oggi persistono sul percorso dell’economia circolare. Un esempio è la mancanza dei decreti cosiddetti end of waste per facilitare il riciclo di molti materiali o la mancanza del decreto ministeriale sul biometano. Tutti provvedimenti che aspettiamo da tempo e sui quali il ministero ancora latita”. E al dicastero di Gian Luca Galletti, preso dalle emergenze, lanciano l’allarme anche le imprese di servizi ambientali. “Potremmo essere alla vigilia di un’emergenza rifiuti nazionale, perché il mercato delle materie prime seconde non cresce quanto la raccolta differenziata”, lamenta il presidente di Fise Assoambiente Roberto Sancinelli. Giorgio Quagliuolo, a capo del Conai, Consorzio nazionale degli imballaggi, propone sanzioni per i Comuni che non si impegnano abbastanza per la raccolta differenziata e continuano a mandare in discarica materiali preziosi.
L’economia circolare, quella cioè che dovrebbe trasformare i rifiuti in nuove risorse reimmesse nel ciclo produttivo, in Italia appare insomma frenata dalla mancanza di misure ad hoc. Stretta nell’immobilismo di chi dovrebbe occuparsi di facilitare il riciclo e prevenire la produzione di imballaggio difficili da riciclare e non sempre riesce a farlo. Il direttore generale di Legambiente Stefano Ciafani denuncia “i molti ostacoli che ancora oggi persistono sul percorso dell’economia circolare. Un esempio è la mancanza dei decreti cosiddetti end of waste per facilitare il riciclo di molti materiali o la mancanza del decreto ministeriale sul biometano. Tutti provvedimenti che aspettiamo da tempo e sui quali il ministero ancora latita”. E al dicastero di Gian Luca Galletti, preso dalle emergenze, lanciano l’allarme anche le imprese di servizi ambientali. “Potremmo essere alla vigilia di un’emergenza rifiuti nazionale, perché il mercato delle materie prime seconde non cresce quanto la raccolta differenziata”, lamenta il presidente di Fise Assoambiente Roberto Sancinelli. Giorgio Quagliuolo, a capo del Conai, Consorzio nazionale degli imballaggi, propone sanzioni per i Comuni che non si impegnano abbastanza per la raccolta differenziata e continuano a mandare in discarica materiali preziosi.
L’imballaggio
imballa parecchio
Se è vero che gli sforzi dei Comuni non bastano mai e che le dinamiche economiche di questi tempi non incoraggiano l’uso di materiali riciclati da parte dell’industria, a intasare gli stabilimenti di scarti della raccolta – come denunciato da più parti negli ultimi mesi – è soprattutto il proliferare di imballaggi sempre più difficili da riciclare. Che vanno nella differenziata, ma poi nelle discariche o negli inceneritori rientrano dalla finestra perché al momento non se ne può fare altro. Le aziende che li producono, raccolte nella struttura di consorzi che fa capo a Conai, potrebbero cercare di ridurre l’impatto ambientale dei contenitori, ma ad oggi gli investimenti per questo obiettivo rimangono limitati. E così l’economia circolare italiana a volte corre e a volte invece arranca.
Se è vero che gli sforzi dei Comuni non bastano mai e che le dinamiche economiche di questi tempi non incoraggiano l’uso di materiali riciclati da parte dell’industria, a intasare gli stabilimenti di scarti della raccolta – come denunciato da più parti negli ultimi mesi – è soprattutto il proliferare di imballaggi sempre più difficili da riciclare. Che vanno nella differenziata, ma poi nelle discariche o negli inceneritori rientrano dalla finestra perché al momento non se ne può fare altro. Le aziende che li producono, raccolte nella struttura di consorzi che fa capo a Conai, potrebbero cercare di ridurre l’impatto ambientale dei contenitori, ma ad oggi gli investimenti per questo obiettivo rimangono limitati. E così l’economia circolare italiana a volte corre e a volte invece arranca.
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