giovedì 11 dicembre 2014

Sasso Marconi. ‘Una mattina di poesia dedicata al maestro Dino Betti



Di Vittoria Ravagli. 

Sabato prossimo,  13 dicembre,  alle  9, nel teatro comunale di Sasso Marconi, i ragazzi delle scuole di Sasso Marconi  ricordano il maestro Dino Betti con una mattinata di poesia promossa dall’associazione ‘Donne di Sasso’, con il patrocinio dell’Assessorato Pari opportunità del Comune.
 
L’evento sarà l’occasione per presentare a studenti e cittadini la figura del maestro Betti e illustrare, con l’occasione, il progetto finalizzato alla realizzazione di una Guida delle Scuole elementari del territorio. Il programma della mattinata prevede anche intermezzi con letture di poesie scritte dagli studenti e di brani tratti dalla Guida Sentimentale di Sasso Marconi.

L’ingresso al teatro è libero.

Ricordo alcune frasi riportate dal libro di Dino Betti ‘Un maestro ricorda e racconta’ uscito postumo, nel 2009 - edizioni Fraternitas 2003 onlus,  che testimoniano il percorso di vita del maestro Betti dedicato alla crescita dei piccoli studenti a lui affidati.  


 Da bambino era contadino, viveva coi genitori e due sorelle in un paesino della valle del Venola che si chiama Vedegheto. Timido come spesso sono i poveri e insieme orgoglioso del suo sapere della terra, degli animali e della vita della natura. Era curioso di tutto e gli piaceva moltissimo leggere tutto quello che gli capitava davanti: le scritte sui barattoli di conserva, vecchi giornali dimenticati, libri prestatigli da qualcuno.
Scoppiò la seconda guerra mondiale quando era adolescente. Nel 1944 aveva 18 anni e quando uscì il bando del ministro della guerra che chiamava ad arruolarsi quelli della sua età, lui dovette scegliere: o andare a combattere con l’esercito fascista oppure mettersi dalla parte dei partigiani che combattevano la dittatura. Decise di mettersi dalla parte di chi combatteva il fascismo, ma a modo suo, e lo racconta così con le sue parole del libro. Un comandante partigiano gli chiese :
“- Vuoi essere dei nostri? Siamo una trentina e la nostra lotta è contro i tedeschi e i fascisti, per liberarci dallo straniero e dalla dittatura, ma vogliamo anche una società diversa, dove non ci siano più sfruttati e sfruttatori (…) che te ne pare? – Mi pare un’idea stupenda, però… - Però cosa? – Ecco, io sono disposto ad entrare nel battaglione, ma a un patto – Quale patto? - Tu sei il comandante vero? – Sì, il battaglione lo comando io. – E gli ordini del capo si eseguono senza discutere. – Lo esige la disciplina militare – Allora promettimi che non mi ordinerai mai di uccidere qualcuno a sangue freddo. Non ne sarei capace. Mi si rivolta lo stomaco solo a pensarci. – Stai tranquillo. Al bisogno c’è chi lo fa al posto tuo.” ( p. 53 libro)
Così usciva di notte, facendo atti di sabotaggio col taglio dei fili delle telecomunicazioni tedesche, e agì da staffetta portando informazioni da un gruppo all’altro di partigiani. Combatté la guerra senza uccidere.
Finita la guerra, desiderava molto studiare ma i suoi genitori non avevano soldi per pagargli gli studi. Scoprì che gli ex partigiani avevano organizzato delle scuole convitto per quelli che non avevano potuto andare a scuola durante la guerra, e partì. Andò via da Vedegheto senza neppure il cappotto per l’inverno e nel convitto lavorava come precettore per gli studenti più giovani per mantenersi agli studi. Dopo qualche anno, tornò a Vedegheto diplomato maestro e nell’ottobre 1951 cominciò a insegnare.
Anche stavolta, lo fece a modo suo, affascinato dal pensiero del pedagogista Dewey che diceva: “E’ necessario sostituire all’antica educazione aristocratica, che insegnava a parlare delle cose, una educazione democratica che insegna a farle”. Il suo metodo era di pedagogia attiva: i ragazzi scrivevano i testi, li leggevano e correggevano insieme col maestro, poi sceglievano quelli da stampare sul loro giornalino di classe. Scambiando i giornalini fra classi in diverse città d’Italia, si
imparava la geografia. Studiavano scienze sperimentando la fermentazione dell’uva in classe e matematica con gli istogrammi descrittivi dei componenti delle diverse famiglie degli alunni. La classe veniva divisa in gruppi, che insieme lavoravano a diverse attività. Negli ultimi 20 minuti di scuola, i bambini erano rapiti dalle storie di Pinocchio o di Tom Sawyer che il maestro leggeva. Non dava voti ai suoi scolari. Ancora con le sue parole “La scuola, almeno nella fascia dell’obbligo, non deve giudicare. La scuola deve aiutare, sollecitare, promuovere lo sviluppo del bambino nella sua complessa personalità. Questo, credo, nessuno lo contesta. Ma, se le parole hanno un senso, bocciare è il contrario di promuovere. Compito del maestro è studiare l’alunno, per capirne le tendenze e scoprire le difficoltà che incontra nella sua evoluzione in modo da potergli fornire i mezzi, le sollecitazioni, gli strumenti adatti per superarle” ( libro p. 133) Il suo metodo pedagogico era estremamente avanzato allora, e lo è ancora oggi, con l’unico obiettivo che “ i bambini studino con passione, con interesse, col desiderio di migliorare imparando”.
Il suo desiderio di migliorare riguardava anche il paese e la società in cui viveva. Si è sempre impegnato nel suo territorio affinché le condizioni di vita di tutti potessero essere migliori. Fu sindaco di Savigno, comune capoluogo di Vedegheto, dal 1956 al 1960: venne eletto coi voti di tutti i consiglieri tranne uno, il suo. Trasferitosi a Sasso nel 1960, anche qui fu per un periodo consigliere comunale, poi presidente del consiglio di frazione e successivamente fondò con altri l’associazione “Il Cittadino” che per anni ha discusso le questioni della politica locale, sollecitando il comune su diversi fronti. Dopo essere andato il pensione, per anni ha collaborato con la comunità di recupero "La Rupe" insegnando ai ragazzi tossicodipendenti.
Dove ha vissuto, tutti lo chiamavano “maestro Betti”. E per tutti è stato un maestro. Perché ha insegnato ai suoi scolari – come li chiamava lui –a studiare collaborando insieme, a essere curiosi, a pensare con la loro testa e ad amare la lettura. Perché ha mostrato che si può combattere per i propri ideali rifiutandosi di sparare. Perché non ha lasciato che altri decidessero per lui, ma insieme agli altri ha cercato attivamente di pensare e costruire un paese migliore per tutti.
Nel 1964, il giornalino di classe di Borgonuovo si chiamava “Il Maglio” ed in un testo i ragazzi spiegavano il nome: “ Il maglio è una macchina usata per stampare a caldo i metalli. E’ una specie di grosso martello (…) che col suo batti e ribatti dà la forma voluta al pezzo di metallo. Anche il nostro lavoro a scuola è un continuo provare e riprovare, un battere e ribattere attraverso mille esperienze per la formazione di noi stessi. Ecco la ragione che ci ha portati a scegliere questo titolo per il nostro giornalino”.
Forse un maestro è quello che ci dice che dobbiamo continuare a battere e ribattere attraverso mille esperienze per formare noi stessi ed un mondo migliore.

Matilde e Stefania Betti

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