Di Vittoria Ravagli.
Sabato
prossimo, 13 dicembre, alle 9,
nel teatro
comunale di Sasso Marconi, i ragazzi delle scuole di Sasso Marconi ricordano il maestro Dino Betti con una
mattinata di poesia promossa dall’associazione ‘Donne di Sasso’, con il
patrocinio dell’Assessorato Pari opportunità del Comune.
L’evento sarà l’occasione per presentare a studenti e cittadini la figura del maestro Betti e illustrare, con l’occasione, il progetto finalizzato alla realizzazione di una Guida delle Scuole elementari del territorio. Il programma della mattinata prevede anche intermezzi con letture di poesie scritte dagli studenti e di brani tratti dalla Guida Sentimentale di Sasso Marconi.
L’ingresso al teatro è libero.
Ricordo alcune frasi riportate
dal libro di Dino Betti ‘Un maestro ricorda e racconta’ uscito postumo, nel
2009 - edizioni Fraternitas 2003 onlus, che
testimoniano il percorso di vita del maestro Betti dedicato alla
crescita dei piccoli studenti a lui affidati.
Da bambino era contadino, viveva
coi genitori e due sorelle in un paesino della valle del Venola che si chiama
Vedegheto. Timido come spesso sono i poveri e insieme orgoglioso del suo sapere
della terra, degli animali e della vita della natura. Era curioso di tutto e
gli piaceva moltissimo leggere tutto quello che gli capitava davanti: le
scritte sui barattoli di conserva, vecchi giornali dimenticati, libri
prestatigli da qualcuno.
Scoppiò la seconda guerra mondiale quando era adolescente. Nel 1944
aveva 18 anni e quando uscì il bando del ministro della guerra che chiamava ad
arruolarsi quelli della sua età, lui dovette scegliere: o andare a combattere
con l’esercito fascista oppure mettersi dalla parte dei partigiani che
combattevano la dittatura. Decise di mettersi dalla parte di chi combatteva il
fascismo, ma a modo suo, e lo racconta così con le sue parole del libro. Un
comandante partigiano gli chiese :
“- Vuoi essere dei nostri? Siamo una trentina e la nostra lotta è
contro i tedeschi e i fascisti, per liberarci dallo straniero e dalla
dittatura, ma vogliamo anche una società diversa, dove non ci siano più
sfruttati e sfruttatori (…) che te ne pare? – Mi pare un’idea stupenda, però… -
Però cosa? – Ecco, io sono disposto ad entrare nel battaglione, ma a un patto –
Quale patto? - Tu sei il comandante vero? – Sì, il battaglione lo comando io. –
E gli ordini del capo si eseguono senza discutere. – Lo esige la disciplina
militare – Allora promettimi che non mi ordinerai mai di uccidere qualcuno a
sangue freddo. Non ne sarei capace. Mi si rivolta lo stomaco solo a pensarci. –
Stai tranquillo. Al bisogno c’è chi lo fa al posto tuo.” ( p. 53 libro)
Così usciva di notte, facendo atti di sabotaggio col taglio dei fili
delle telecomunicazioni tedesche, e agì da staffetta portando informazioni da
un gruppo all’altro di partigiani. Combatté la guerra senza uccidere.
Finita la guerra, desiderava molto studiare ma i suoi genitori non
avevano soldi per pagargli gli studi. Scoprì che gli ex partigiani avevano
organizzato delle scuole convitto per quelli che non avevano potuto andare a
scuola durante la guerra, e partì. Andò via da Vedegheto senza neppure il
cappotto per l’inverno e nel convitto lavorava come precettore per gli studenti
più giovani per mantenersi agli studi. Dopo qualche anno, tornò a Vedegheto
diplomato maestro e nell’ottobre 1951 cominciò a insegnare.
Anche stavolta, lo fece a modo suo, affascinato dal pensiero del
pedagogista Dewey che diceva: “E’ necessario sostituire all’antica educazione
aristocratica, che insegnava a parlare delle cose, una educazione democratica
che insegna a farle”. Il suo metodo era di pedagogia attiva: i ragazzi
scrivevano i testi, li leggevano e correggevano insieme col maestro, poi
sceglievano quelli da stampare sul loro giornalino di classe. Scambiando i
giornalini fra classi in diverse città d’Italia, si
imparava la geografia. Studiavano
scienze sperimentando la fermentazione dell’uva in classe e matematica con gli
istogrammi descrittivi dei componenti delle diverse famiglie degli alunni. La
classe veniva divisa in gruppi, che insieme lavoravano a diverse attività.
Negli ultimi 20 minuti di scuola, i bambini erano rapiti dalle storie di
Pinocchio o di Tom Sawyer che il maestro leggeva. Non dava voti ai suoi scolari.
Ancora con le sue parole “La scuola, almeno nella fascia dell’obbligo, non deve
giudicare. La scuola deve aiutare, sollecitare, promuovere lo sviluppo del
bambino nella sua complessa personalità. Questo, credo, nessuno lo contesta.
Ma, se le parole hanno un senso, bocciare è il contrario di promuovere. Compito
del maestro è studiare l’alunno, per capirne le tendenze e scoprire le
difficoltà che incontra nella sua evoluzione in modo da potergli fornire i
mezzi, le sollecitazioni, gli strumenti adatti per superarle” ( libro p. 133)
Il suo metodo pedagogico era estremamente avanzato allora, e lo è ancora oggi,
con l’unico obiettivo che “ i bambini studino con passione, con interesse, col
desiderio di migliorare imparando”.
Il suo desiderio di migliorare riguardava anche il paese e la società
in cui viveva. Si è sempre impegnato nel suo territorio affinché le condizioni
di vita di tutti potessero essere migliori. Fu sindaco di Savigno, comune
capoluogo di Vedegheto, dal 1956 al 1960: venne eletto coi voti di tutti i
consiglieri tranne uno, il suo. Trasferitosi a Sasso nel 1960, anche qui fu per
un periodo consigliere comunale, poi presidente del consiglio di frazione e
successivamente fondò con altri l’associazione “Il Cittadino” che per anni ha
discusso le questioni della politica locale, sollecitando il comune su diversi
fronti. Dopo essere andato il pensione, per anni ha collaborato con la comunità
di recupero "La Rupe" insegnando ai ragazzi tossicodipendenti.
Dove ha vissuto, tutti lo chiamavano “maestro Betti”. E per tutti è
stato un maestro. Perché ha insegnato ai suoi scolari – come li chiamava lui –a
studiare collaborando insieme, a essere curiosi, a pensare con la loro testa e
ad amare la lettura. Perché ha mostrato che si può combattere per i propri
ideali rifiutandosi di sparare. Perché non ha lasciato che altri decidessero
per lui, ma insieme agli altri ha cercato attivamente di pensare e costruire un
paese migliore per tutti.
Nel 1964, il giornalino di classe di Borgonuovo si chiamava “Il Maglio”
ed in un testo i ragazzi spiegavano il nome: “ Il maglio è una macchina usata
per stampare a caldo i metalli. E’ una specie di grosso martello (…) che col
suo batti e ribatti dà la forma voluta al pezzo di metallo. Anche il nostro
lavoro a scuola è un continuo provare e riprovare, un battere e ribattere
attraverso mille esperienze per la formazione di noi stessi. Ecco la ragione
che ci ha portati a scegliere questo titolo per il nostro giornalino”.
Forse un maestro è quello che ci dice
che dobbiamo continuare a battere e ribattere attraverso mille esperienze per
formare noi stessi ed un mondo migliore.
Matilde e Stefania Betti
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