lunedì 4 aprile 2011

Quello di Reggio era uno stendardo militare.

Riceviamo e Pubblichiamo.

"A Reggio Emilia non nacque il Tricolore" , lo afferma l'autorevole storico Aldo A. Mola.

"Nessuno deve aversela a male, ma quello era un vessillo militare" "La vera bandiera Italiana deriva dalla coccarda della sommossa di Bologna del 1794"
- Troppa confusione per questo centenario. Feste luminarie e banchetti ma storia distorta - "E' doveroso attenersi ai documenti conservati all'archivio di Stato di Bologna " -La rivelazione nel quarto volume di Storia del Risorgimento ed. Capricorno distribuito in questi giorni dai più
importanti quotidiani italiani.

Ecco le pagine dell'analisi storica


Nel primo decennio postunitario fu attuato un immenso sforzo di pedagogia patriottica per avvicinare gli italiani: forze armate, sistema scolastico, vita civica giorno dopo giorno adottarono e diffusero i simboli dell'Unità.
L'educazione dello spirito si completò con la cura dei corpi: igiene sociale e sport per l'Italia che trasferì la capitale da Torino a Firenze, un passaggio drammatico ma necessario.

Genesi e funzione della bandiera dello Stato

L'Italia nacque ed è tricolore. Dall'instaurazione della repubblica non ha più lo scudo sabaudo nel bianco, ma la bandiera dello Stato è quella adottata da Carlo Alberto il 23 marzo 1848 per la prima guerra d'Indipendenza. Quando il 14 marzo 1861 assunse per sé e i successori il titolo di re d'Italia, Vittorio Emanuele II non ebbe nulla da aggiungervi né da togliervi. Anche i sovrani debellati avevano capito che il tricolore era simbolo di unità. Cercarono d'inalberarlo e vi disegnarono il loro stemma, ma tardi e male, come fecero con le costituzioni, concesse e revocate a capriccio.

Come gli altri stati da più tempo esistenti, dalla nascita, il regno d'Italia ebbe dunque la bandiera e una musica, la Marcia reale. Questa era forse povera cosa, ma vivace, allegra. C'era e continuò a essere suonata, nei giorni della vittoria e in quelli del dolore. Come la bandiera, che fu alzata sul pennone o calata a mezz'asta, ma sempre significò Italia.

Con l'unità, la Nuova Italia compì uno sforzo enorme per collegare gli italiani attraverso complesse reti di comunicazioni, ma ne compì un altro, anche maggiore, per radicare le due istituzioni nazionali affratellanti, la scuola e le forze armate, diverse per funzioni e scopi, ma
complementari: due facce di una stessa medaglia, lo Stato nazionale.

Il tricolore divenne sinonimo di Patria. Riassumeva decenni di sacrifìci, patiboli, speranze. Altrettanto fecero la scuola elementare e il servizio militare. L'Italia li volle come già erano nel regno di Sardegna: obbligatori.
Dal 1859 la legge Casati aveva proclamato l'obbligo dell'istruzione. Con l'unificazione i governi cercarono di realizzarla. Incontrarono immense difficoltà, perché nella maggior parte degli stati preunitari la scuola era del tutto trascurata. Nel Mezzogiorno l'analfabetismo superava
ovunque il 60-70%, con picchi superiori all'80%. Lo stesso valeva per molte piaghe dell'Italia centrale e del Veneto. Quando decise di organizzare l'istruzione elementare, anche Bologna
«la dotta» dovette importare maestri da altre province. Giosuè Carducci, che insegnava «eloquenza italiana» all'università, osservò che gli insegnanti elementari avrebbero dovuto conoscere la parlata (o dialetto) degli scolari per capirli ed essere capiti. L'Italia fece molto, ma non potè compiere miracoli. Era assillata dall'altra urgenza: la difesa. Nata tra ostiità e supponenza degli stati esteri, aveva un confine debolissimo con l'impero d'Austria, coste vulnerabili, un esercito da plasmare e servizi d'ordine pubblico e di sicurezza da impiantare.
Persino il territorio era da scoprire. Lo fece, ma de cenni dopo, l'Istituto Geografico Militare di Firenze. L'Italia non nacque contro alcun altro Stato, ma ebbe motivo di temerne. Perciò organizzò coscrizioni mobilitazione e leva: un impianto militare che presupponeva l'allestimento dell'anagrafe nei comuni, il censimento della popolazione, la ricognizione di Paese unito in pochi mesi, quella modernità che in Italia ancora era da conquistare e faticò molto ad impiantarsi.
L'istruzione elementare venne concepita come primo gradino per la formazione del cittadino. Il servizio militare fu invece una sorta di «ultimo appello» dello Stato per quanti venivano chiamati a prestarlo. Vi era però poi la moltitudine degli abitanti, maschi e femmine, non scolarizzati e
militesenti. La bandiera nazionale fu il richiamo quotidiano lanciato dall'Italia ai suoi cittadini, come il suono delle campane, i canti campestri o del lavoro, i segni d'identità che legavano le persone. Anche le provincie ed i comuni ebbero i loro stemmi, simboli, stendardi con i colori e i segni della tradizione. L'Italia Nuova si affermò per somme, non per esclusioni e seppe
conciliare il particolare con l'universale, il locale con il nazionale. Allo scopo il tricolore svolse un ruolo di prim'ordine.



Ma come ebbe origine il Tricolore?

La vera storia del tricolore italiano rimane da scrivere. Un fondamentale contributo è offerto da Ito De Rolandis, Orgoglio tricolore. L'avventurosa nascita del la nostra bandiera, per i tipi Lorenzo Fornaca -L'Artistica Editrice, Savigliano 2008, prefazione di Mercedes Bresso presidente della Regione Piemonte, dei sindaci di Asti, Giorgio Galvagno, e e di Castell'Alfero, Angelo Marengo. Il volume raccoglie scritti di vari autori (Amedeo d'Aosta, duca di Savoia e di Aosta, Marco Bortolotti, Fausto Carpani, Sabina Fornaca, Corrado Testa...) e ricorda che Carla Bruni Tedeschi (poi Sarkozy) recò trionfalmente il tricolore italiano nella cerimonia di apertura delle Olimpiadi invernali di Torino (2006). Dunque quello innalzato a Reggio Emilia il 7 gennaio 1796 fu solo uno dei tricolori ideati per la Nuova Italia. Il primo fu, nel 1794, quello di Giambattista De Rolandis, studente all'università di Bologna, cospiratore per la libertà.
Nessuno deve aversela a male. Anzi. Vuol dire ch'esso esprime un sentimento diffuso dei cittadini italiani di ieri e di oggi: di varie confessioni religiose ed etnie, accomunati dall'orgoglio dei propri diritti e dal senso dei doveri verso lo Stato. Dunque, secondo una tradizione, la bandiera verde, bianca e rossa nacque a Reggio Emilia il 7 gennaio 1796. Essa era a bande orizzontali, con cifre e
simboli bellici, perché era uno stendardo reggimentale, non la bandiera di uno Stato, dei suoi abitanti. Solo nel corso degli anni si affermò il tricolore a bande verticali con il verde all'asta, sull'esempio di quello francese, nato nel giugno 1789 dall'unione del bianco Borbone ai colori
della città di Parigi (rosso e blu). A proporlo (a Reggio) fu Giuseppe Compagnoni, un personaggio complesso e discusso. Ecclesiastico e letterato, aveva avuto parte nel processo a carico di Giuseppe Balsamo, sedicente conte Alessandro di Cagliostro, arrestato e indagato per magia, stregoneria e organizzazione della massoneria di rito egizio condannato al carcere a
vita, da scontare nella fortezza di San Leo, dove morì poco prima dell'arrivo i francesi.
Compagnoni apprese che nel rito egizio Cagliostro usava nastri verdi, bianchi e rossi. Nessuno sa dire perché lo facesse, né perché, deposto l'abito talare e passato nelle file dei rivoluzionari, abbia
proposto quei colori per lo stendardo della Repubblica padana. Sappiamo però per certo che né lui né Cagliostro furono i primi ad adottare quei tre colori. Lo ricordò il " Messaggiere Torinese" del 19 febbraio 1848 ch'ebbe per editoriale il necrologio del medico Giuseppe De Rolandis, zio di
Giambattista. L'invenzione del tricolore non è però dovuto né a Cagiostro né allo spretato
Compagnoni, né esso vide luce a Reggio Emilia. I documenti dicono che nel settembre 1794, nella casa bolognese dello studente universitario Luigi Zamboni, ebbe luogo una riunione di giovani che
decise di adottare i tre colori verde, bianco e rosso come segno distintivo di una loro cospirazione contro il governo papale. Il 13-14 novembre Zamboni e lo studente universitario Giovan Battista De Rolandis, nativo Castell'Alfero, presso Asti, distribuirono coccarde tricolori e accennarono
a un moto. A confezionare le coccarde erano state la madre (Brigida Borghi) e la zia (Barbara Borghi) di Zamboni. Unirono i colori di Bologna e di Asti con fodere verdi a portata di mano. Interrogato dal Tribunale dell' Inquisizione, De Rolandis dichiarò che «era stato sostituito il
turchino col verde per non far da scimmia alla Francia». Il Tricolore nacque quindi come
segno d'indipendenza. La cospirazione fallì. Arrestati il 16 novembre a Covigliaio, già nel
granducato di Toscana, i due furono tra dotti a Bologna, arrestati, processati, più volte torturati. Il 18 agosto 1795 Zamboni venne trovato impiccato in una celletta dove non poteva neppure stare in piedi. De Rolandis subì orrende sevizie. Dopo la condanna a morte, gli vennero
«recise le forze», cioè fu evirato. Poi venne condotto alla Montagnola di Bologna e impiccato. Il boia gli salì sulle spalle per affrettarne la morte. Un'incisione dell'epoca ricorda quel dramma.

Il 28 aprile 1796 a palazzo Salmatoris di Cherasco i plenipotenziari del re di Sardegna sottoscrissero un armistizio umiliante. Nell'occasione Cristoforo Saliceti informò Bonaparte della vicenda di Bologna. Il 29 aprile Napoleone riconobbe la coccarda tricolore verde, bianca e rossa come «consorella» della francese e ne autorizzò l'uso. Furono i colori dello stendardo della Guardia Nazionale di Milano (18 maggio 1796). Il 19 giugno, all'arrivo in Bologna, Bonaparte fece onorare la memoria di Zamboni e De Rolandis ed elogiò l'avvocato Antonio Aldini che li aveva
difesi dinnanzi al Tribunale dell'Inquisizione. Il 9 ottobre consegnò le bandiere tricolori alle coorti della Legione Lombarda. Il 17 ottobre Aldini venne acclamato alla presidenza della Confederazione cispadana. L'indomani, 18 ottobre, la congregazione dei magistrati e deputati aggiunti deliberò: «Bandiera coi colori nazionali - Richiesto quali siano i colori Nazionali
per formarne una bandiera, si è risposto il Verde, il Bianco e il Rosso» (Archivio di Stato di Bologna, Fondo Napoleonico 1/5. Senato provvisorio. Atti Assunteria Magistrati, 10 maggio 1796-30 ottobre 1796, foglio 542). Lo stesso giorno a Modena si stabilì e decretò: «Art. VII. Ogni coorte avrà la sua bandiera a tre colori Nazionali italiani, distinte per numero, ed adorne degli emblemi della Libertà». La decisione di Reggio Emilia seguì dunque quella di Modena e veri originari ideatori del tricolore vanno considerati Zamboni e De Rolandis, non Compagnoni, che alla Restaurazione riassunse l'abito talare.

Zii di Giovanni Battista De Rolandis furono Giuseppe e Secondo De Rolandis. Il primo fu medico di fiducia di Carlo Alberto; l'altro si occupò di egittologia, inclusa la stele di Rosetta. Il patriota e deputato Angelo Brofferio affermò nel Messaggiere Torinese (19 febbraio 1848) che in
punto di morte Giuseppe De Rolandis «voleva un'ultima volta rallegrarsi colla vista dell'italiana coccarda che, agonizzando, salutava ancora». Il Tricolore era dappertutto nei primi mesi del Quarantotto, era il simbolo dell'Italia nascente: libera, indipendente e unita. Perciò venne
adottato da Carlo Alberto, forse per suggerimento anche del medico De Rolandis. Nell'ode Piemonte Giosuè Carducci ricorda che il morente Carlo Alberto si volse al tricolore come De Rolandis nel racconto di Brofferio. Certo la decisione fu importante per imprimere carattere nazionale all'impresa del re di Sardegna. In tutte le città vennero organizzate feste per lo scambio
del tricolore, a conferma della fratellanza tra gli italiani. Con l'avvento della Repubblica, dal tricolore venne tolto lo scudo sabaudo, che vi aveva campeggiato per un secolo. Venne anche accantonata la Marcia reale, ma non furono mai decretati un inno o una musica dello Stato. Il Canto nazionale, musicato da Michele Nòvaro, venne adottato in via provvisoria dal consiglio dei ministri il 12 ottobre 1946 come musica militare per il festeggiamento del IV novembre
seguente. La scelta dell'inno venne demandata all'Assemblea Costituente e questa, mentre
stabilì la bandiera (art. 12 della Costituzione) rinviò l'arduo compito al legislativo, che dal 1948 al 17 marzo 2011 non ha deciso nulla.

Alberto Volpe

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