di
Marco Leoni
ARISTOTELE
:
La Politica
(prima parte)
Lezione
di Matteo Saudino fantastico prof. di filosofia
“ L’opera
'La politica' di Aristotele è l’insieme di otto lezioni che il
celebre filosofo ateniese tenne presso il suo liceo. Il liceo è la
scuola filosofica fondata da Aristotele che si contrappone alla
altrettanto famosa scuola di Platone, l’accademia. Dunque ad Atene
e poi in tutta la Grecia nascono scuole contrapposte: le accademie,
di ispirazione Platonica e i licei di ispirazione aristotelica.
Per
Platone la politica era l’argomento centrale di tutta la
speculazione
Filosofica,
e l’obiettivo di Platone era fondare una società di uomini giusti
che possono vivere felici, dunque l’anelito del platonismo è
sicuramente politico.
Invece
per Aristotele la politica è uno dei tanti argomenti affrontati, lui
fu il filosofo della metafisica, delle scienze, ma non per questo
l'argomento è secondario, anzi, anche per Aristotele la politica è
centrale in quanto ha a che fare con il buon governo della polis e
dunque con la possibilità di essere felici. Solo dove vi è
giustizia vi è possibilità di felicità, questo
è un paradigma tipico di molti filosofi dell’antica Grecia.
Otto
lezioni dedicate alla politica e tali lezioni hanno un punto di
partenza in comune, l’elemento centrale, il fondamento teorico
dell’aristotelismo politico, è la socievolezza, la socialità, la
politicità dell’uomo. Secondo Aristotele l’uomo infatti è un
animale politico un animale sociale, l’uomo per natura tende ad
unirsi con altri uomini, per natura produce comunità politica. E'
distante da quello che sarà in futuro il paradigma hobbesiano
dell’uomo-lupo, dell’uomo solitario che solo se costretto si
unisce agli altri uomini, solo se è conveniente.
Per
Aristotele invece la politicità è una delle caratteristiche
fondamentali dell’uomo, è l’essenza dell’uomo: la
socievolezza. L'uomo è socievole proprio perché non è fatto per
vivere da solo, l’uomo non basta a sé stesso, pertanto si unisce e
si unisce in vista del bene, perché è meglio vivere insieme, è più
vantaggioso perché migliora la comunità politica.
La
prima forma politica per Aristotele è la
FAMIGLIA. Aristotele
è il capofila di tutte quelle teorie che vedono nella famiglia il
nucleo principale prioritario originario primario della politica.
La
famiglia è il luogo naturale della comunità politica, è la prima
naturale comunità politica. La famiglia è un uomo e una donna che
si uniscono per procreare, mettere insieme dei beni, proteggersi. Una
famiglia patriarcale in cui l’uomo guida e si deve prendere cura
dei membri, la donna è portatrice della vita. Ma anche in questo
caso emerge un aspetto interessante nell’aristotelismo che è il
FINALISMO ,
cioè le cose
avvengono in vista di un fine e un uomo e una donna si uniscono in
vista di una protezione in vista di una vita migliore rispetto a
quella che farebbero da soli.
Ma
l’unione degli uomini e delle donne che producono le famiglie ha un
ulteriore fine, quello di unirsi e dare vita a dei villaggi.
La
prima comunità politica è la famiglia, la seconda comunità
politica è il villaggio, unione di più famiglie, le quali avranno
già delle regole, un’organizzazione minima del lavoro, della
produzione, della sopravvivenza. Così ci sarà chi si occupa della
caccia, della pesca, ci saranno i raccoglitori, le donne dovranno
mettere al mondo i figli accudirli allevarli, ci saranno gli anziani
che avranno un ruolo di guida, ci saranno gli esperti che si
occuperanno della medicina e dunque un’organizzazione sociale e
politica.
Questa
è la vita associata.
Ma
il fine del villaggio non è rimanere in sé stesso ma è quello di
andare verso lo stato, unione di più villaggi: ecco dunque il
finalismo, il TELOS,
il fine ultimo della politica è dare vita allo Stato,unione di più
villaggi che sono a loro volta unione di più famiglie.
Possiamo
recuperare i concetti di POTENZA
e ATTO aristotelici
: l’uomo e la donna in potenza sono una famiglia, la famiglia è
l’unione di un uomo e una donna, la famiglia è in potenza un
villaggio e il villaggio è la famiglia in atto cioè la famiglia è
la possibilità di diventare un villaggio e il villaggio non è altro
che la realizzazione delle potenzialità che avevano le famiglie e il
villaggio è in potenza uno stato e lo stato sono le famiglie in atto
cioè la realizzazione delle potenzialità che avevano le famiglie.
Dunque il TELOS
il fine
ultimo della politica è la realizzazione di uno stato.
Ma
di quale stato ?
Aristotele
non è un utopista anzi è un antiutopista e in questa scelta marca
una netta divaricazione rispetto a Platone, Platone è il teorico
dell’utopismo politico, Platone pensa e teorizza lo stato migliore
che possa esistere, il luogo perfetto il luogo della giustizia,
dunque il governo dei sapienti dei cittadini e dei guerrieri che
uniti armoniosamente stanno insieme animati appunto dal bene.
Lo
stato utopico di Platone non teorizzato, rinnegato, destrutturato da
Aristotele: la politica non si occupa del migliore degli stati
possibili non deve occuparsi della società perfetta, la
politica per Aristotele deve occuparsi della società migliore ma
realizzabile. Ecco il
REALISMO
POLITICO
di Aristotele: lo
stato giusto ma realizzabile non lo Stato giusto in assoluto
utopismo, società perfetta, la migliore possibile e Realismo
politico in questo caso è la società realizzabile, ma tra quelle
realizzabili quella giusta quella appunto edificata e costruita
intorno alla giustizia intorno alla legge, intorno al Diritto,
intorno alla convivenza, intorno alla possibilità di essere felici
dentro questa comunità politica. Ed ecco dunque il finalismo che
governa la prospettiva politica di Aristotele.
Certo
che in Aristotele ci sono degli elementi francamente lontani dalla
nostra visione democratica di diritti umani, di libertà, almeno dei
più, non di molti perché fondamentalisti razzisti autoritari
sostenitori di governi con forti discriminazioni sociali e politiche
ce ne sono anche oggi. Alla televisione ne vediamo. Aristotele lo
possiamo considerare un padre di coloro che sostengono le differenze
sociali, le differenze razziali, le differenze di genere però
dobbiamo collocarlo nel tempo, 2300 anni fa in una Grecia sicuramente
più aperta rispetto a sultanati e governi autoritari divinizzati
dell’epoca, ma pur sempre una società di uomini liberi e schiavi
in cui il maschio ha un ruolo politico economico e culturale egemone
in cui le differenze sono sociali economiche culturali ben marcate e
queste differenze per Aristotele sono naturali,
e stabiliscono che un uomo sia libero o sia schiavo. Vuol dire che
gli uomini sono propensi per Natura a comandare, essere liberi o
essere schiavi propensi ad essere assoggettati, guidati, comandati e
così viene legittimata la differenza tra liberi e schiavi.
La
schiavitù è per natura, è naturale per Aristotele; gli stoici gli
risponderanno quello che poi è la verità: non si nasce schiavo si
diventa schiavo. Tutti gli uomini nascono liberi ma poi alcuni uomini
sono assoggettati sconfitti perché inizialmente più deboli,
culturalmente e tecnologicamente più arretrati, intendo ovviamente
di conoscenze tecniche scientifiche. Tutte le culture hanno una pari
dignità ma Aristotele ci direbbe che se sei stato sconfitto
militarmente, se sei stato conquistato, vuol dire che avevi un grado
di capacità e di conoscenze inferiore, che la tua natura ti aveva
portato ad essere arrivato soltanto lì, dunque per natura eri
destinato a diventare schiavo. Così per natura l'uomo è adatto al
comando e è capofamiglia, deve guidare la famiglia, sarà
condottiero militare, governante, svolgerà determinati lavori e la
donna ne svolgerà altri: incubare il seme e portare in grembo la
vita che passa attraverso il maschio. Ecco come gli uomini si sono
anche giustificati un’inferiorità della donna, perché di fatto è
lei che porta la vita trasformandola in una superiorità,cioè la
donna è una sorta di incubatrice, di forno che incuba la vita, ma
chi mette ciò che nascerà è l’uomo. Un’immagine brutta,
un’immagine che oggi è inaccettabile: l’uomo è superiore alla
donna così come l’atto è superiore alla potenza, così come la
forma è superiore alla materia, la donna dà la materia e l’uomo
dà la forma, la donna è potenzialmente portatrice di vita ma a
trasformare la potenzialità in atto è l’uomo attraverso lo
sperma. L’uomo dunque in questo caso si sente portatore della
unicità della identità della specificità della vita.
E
così vale per padri e figli: i padri guidano e devono essere
ascoltati, i figli devono ascoltare per natura, devono ubbidire. Per
noi oggi questa teoria è inaccettabile. Non che i figli non debbano
ubbidire ma devono ubbidire se il padre è una persona onesta, buona,
gentile, educata o certamente se è una persona non violenta, non è
che bisogna ubbidire ai genitori se sono violenti, cattivi e abusano
di te. In questo caso, per Aristotele, comunque c’è un’osservanza
del padre in quanto rappresenta una figura istituzionale e una
figura 'naturalmente' ben portata e predisposta alla guida: questa è
la famiglia tradizionale aristotelica.
Un
concetto che piacerà tantissimo, è compatibile con la visione
cristiana biblica evangelica del cristianesimo ed è una visione di
famiglia che piacerà moltissimo ad Hegel, il grande maestro di
Tubinga, uno dei padri dell’idealismo tedesco che farà della
famiglia aristotelica il punto di partenza della politica: la
politicità, la comunità politica nasce con la famiglia
tradizionale che è il luogo della politica, luogo dell’armonia
dunque luogo della sintesi e sarà invece la società borghese
conflittuale a mandarla in crisi a destrutturarla e servirà lo stato
per ricomporre questa rottura, secondo Hegel. Tutto ciò è derivato
e teorizzato a partire da Aristotele.
Da
qui la giustificazione anche della superiorità del mondo greco
rispetto ad altre civiltà, perché le capacità logiche matematiche
linguistiche, artistiche, scultoree, architettoniche dei greci, sono
figlie del genio ellenico, sono il parto della superiorità razionale
logica dei greci. Aristotele, che fu il mentore e l’insegnante di
Alessandro Magno, si arrabbiò tantissimo quando Alessandro il Grande
tornò dalla conquista della Persia, della Cina, dell’India avendo
assunto usi e costumi, trucchi, tuniche tipiche del mondo orientale
che lo avevano tanto affascinato. Alessandro Magno addirittura sposò
una donna orientale per avere dei figli con caratteristiche
provenienti da quelle civiltà e tutto ciò per Aristotele era
intollerabile che la cultura greca così solenne razionale logica,
improntata a una superiorità appunto intellettuale si mescolasse con
altre forme culturali ritenute inferiori per natura.
Ma
oggi potremmo dire che Aristotele fu un teorico dei talenti ma dei
talenti un po’ chiusi cioè senza che siano portati alla luce: se
uno non ha un talento non potrà ovviamente ottenerlo, la teoria
della Natura vuol dire che l’acqua va all’acqua il fuoco va al
fuoco la terra va alla terra ma se uno il fuoco non ce l’ha non
potrà andare al fuoco se uno l’acqua non ce l’ha non potrà
andare all’acqua. Noi oggi invece sappiamo che i talenti è vero
che uno ce li ha o non ce li ha ma li può irrobustire, li può
allenare, si può essere anche in grado di acquisire capacità e
competenze che non si possedevano o che si possedevano in maniera
molto molto debole. Invece Aristotele in questo è molto più chiuso,
è molto più austero, molto più severo e oggi chi lo recupera, come
i fondamentalisti cattolici cristiani islamici per sostenere la
superiorità del maschio sulla femmina, per criticare il matrimonio
omosessuale e l’estensione dei diritti lo fa in maniera capziosa.
Invece Aristotele lo fa in maniera intellettualmente onesta perché
Aristotele è vissuto 2300 anni fa: io penso che la genialità di
Aristotele farebbe sì che oggi Aristotele disconoscerebbe gli stessi
uomini e donne che si richiamano ad Aristotele per sostenere la
centralità della razza del maschio, della famiglia naturale.
FINE
PRIMA PARTE
(segue)
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