domenica 16 agosto 2020

FINESTRE SULLA FILOSOFIA




di Marco Leoni

 
ARISTOTELE : 
                       La Politica
                                              (prima parte)


Lezione di Matteo Saudino fantastico prof. di filosofia

 
L’opera 'La politica' di Aristotele è l’insieme di otto lezioni che il celebre filosofo ateniese tenne presso il suo liceo. Il liceo è la scuola filosofica fondata da Aristotele che si contrappone alla altrettanto famosa scuola di Platone, l’accademia. Dunque ad Atene e poi in tutta la Grecia nascono scuole contrapposte: le accademie, di ispirazione Platonica e i licei di ispirazione aristotelica.
Per Platone la politica era l’argomento centrale di tutta la speculazione Filosofica, e l’obiettivo di Platone era fondare una società di uomini giusti che possono vivere felici, dunque l’anelito del platonismo è sicuramente politico.
Invece per Aristotele la politica è uno dei tanti argomenti affrontati, lui fu il filosofo della metafisica, delle scienze, ma non per questo l'argomento è secondario, anzi, anche per Aristotele la politica è centrale in quanto ha a che fare con il buon governo della polis e dunque con la possibilità di essere felici. Solo dove vi è giustizia vi è possibilità di felicità, questo è un paradigma tipico di molti filosofi dell’antica Grecia.
Otto lezioni dedicate alla politica e tali lezioni hanno un punto di partenza in comune, l’elemento centrale, il fondamento teorico dell’aristotelismo politico, è la socievolezza, la socialità, la politicità dell’uomo. Secondo Aristotele l’uomo infatti è un animale politico un animale sociale, l’uomo per natura tende ad unirsi con altri uomini, per natura produce comunità politica. E' distante da quello che sarà in futuro il paradigma hobbesiano dell’uomo-lupo, dell’uomo solitario che solo se costretto si unisce agli altri uomini, solo se è conveniente.
Per Aristotele invece la politicità è una delle caratteristiche fondamentali dell’uomo, è l’essenza dell’uomo: la socievolezza. L'uomo è socievole proprio perché non è fatto per vivere da solo, l’uomo non basta a sé stesso, pertanto si unisce e si unisce in vista del bene, perché è meglio vivere insieme, è più vantaggioso perché migliora la comunità politica.
La prima forma politica per Aristotele è la FAMIGLIA. Aristotele è il capofila di tutte quelle teorie che vedono nella famiglia il nucleo principale prioritario originario primario della politica.
La famiglia è il luogo naturale della comunità politica, è la prima naturale comunità politica. La famiglia è un uomo e una donna che si uniscono per procreare, mettere insieme dei beni, proteggersi. Una famiglia patriarcale in cui l’uomo guida e si deve prendere cura dei membri, la donna è portatrice della vita. Ma anche in questo caso emerge un aspetto interessante nell’aristotelismo che è il FINALISMO , cioè le cose avvengono in vista di un fine e un uomo e una donna si uniscono in vista di una protezione in vista di una vita migliore rispetto a quella che farebbero da soli.
Ma l’unione degli uomini e delle donne che producono le famiglie ha un ulteriore fine, quello di unirsi e dare vita a dei villaggi.
La prima comunità politica è la famiglia, la seconda comunità politica è il villaggio, unione di più famiglie, le quali avranno già delle regole, un’organizzazione minima del lavoro, della produzione, della sopravvivenza. Così ci sarà chi si occupa della caccia, della pesca, ci saranno i raccoglitori, le donne dovranno mettere al mondo i figli accudirli allevarli, ci saranno gli anziani che avranno un ruolo di guida, ci saranno gli esperti che si occuperanno della medicina e dunque un’organizzazione sociale e politica.
Questa è la vita associata.
Ma il fine del villaggio non è rimanere in sé stesso ma è quello di andare verso lo stato, unione di più villaggi: ecco dunque il finalismo, il TELOS, il fine ultimo della politica è dare vita allo Stato,unione di più villaggi che sono a loro volta unione di più famiglie.
Possiamo recuperare i concetti di POTENZA e ATTO aristotelici : l’uomo e la donna in potenza sono una famiglia, la famiglia è l’unione di un uomo e una donna, la famiglia è in potenza un villaggio e il villaggio è la famiglia in atto cioè la famiglia è la possibilità di diventare un villaggio e il villaggio non è altro che la realizzazione delle potenzialità che avevano le famiglie e il villaggio è in potenza uno stato e lo stato sono le famiglie in atto cioè la realizzazione delle potenzialità che avevano le famiglie. Dunque il TELOS il fine ultimo della politica è la realizzazione di uno stato.
Ma di quale stato ?
Aristotele non è un utopista anzi è un antiutopista e in questa scelta marca una netta divaricazione rispetto a Platone, Platone è il teorico dell’utopismo politico, Platone pensa e teorizza lo stato migliore che possa esistere, il luogo perfetto il luogo della giustizia, dunque il governo dei sapienti dei cittadini e dei guerrieri che uniti armoniosamente stanno insieme animati appunto dal bene.
Lo stato utopico di Platone non teorizzato, rinnegato, destrutturato da Aristotele: la politica non si occupa del migliore degli stati possibili non deve occuparsi della società perfetta, la politica per Aristotele deve occuparsi della società migliore ma realizzabile. Ecco il REALISMO POLITICO di Aristotele: lo stato giusto ma realizzabile non lo Stato giusto in assoluto utopismo, società perfetta, la migliore possibile e Realismo politico in questo caso è la società realizzabile, ma tra quelle realizzabili quella giusta quella appunto edificata e costruita intorno alla giustizia intorno alla legge, intorno al Diritto, intorno alla convivenza, intorno alla possibilità di essere felici dentro questa comunità politica. Ed ecco dunque il finalismo che governa la prospettiva politica di Aristotele.
Certo che in Aristotele ci sono degli elementi francamente lontani dalla nostra visione democratica di diritti umani, di libertà, almeno dei più, non di molti perché fondamentalisti razzisti autoritari sostenitori di governi con forti discriminazioni sociali e politiche ce ne sono anche oggi. Alla televisione ne vediamo. Aristotele lo possiamo considerare un padre di coloro che sostengono le differenze sociali, le differenze razziali, le differenze di genere però dobbiamo collocarlo nel tempo, 2300 anni fa in una Grecia sicuramente più aperta rispetto a sultanati e governi autoritari divinizzati dell’epoca, ma pur sempre una società di uomini liberi e schiavi in cui il maschio ha un ruolo politico economico e culturale egemone in cui le differenze sono sociali economiche culturali ben marcate e queste differenze per Aristotele sono naturali, e stabiliscono che un uomo sia libero o sia schiavo. Vuol dire che gli uomini sono propensi per Natura a comandare, essere liberi o essere schiavi propensi ad essere assoggettati, guidati, comandati e così viene legittimata la differenza tra liberi e schiavi.
La schiavitù è per natura, è naturale per Aristotele; gli stoici gli risponderanno quello che poi è la verità: non si nasce schiavo si diventa schiavo. Tutti gli uomini nascono liberi ma poi alcuni uomini sono assoggettati sconfitti perché inizialmente più deboli, culturalmente e tecnologicamente più arretrati, intendo ovviamente di conoscenze tecniche scientifiche. Tutte le culture hanno una pari dignità ma Aristotele ci direbbe che se sei stato sconfitto militarmente, se sei stato conquistato, vuol dire che avevi un grado di capacità e di conoscenze inferiore, che la tua natura ti aveva portato ad essere arrivato soltanto lì, dunque per natura eri destinato a diventare schiavo. Così per natura l'uomo è adatto al comando e è capofamiglia, deve guidare la famiglia, sarà condottiero militare, governante, svolgerà determinati lavori e la donna ne svolgerà altri: incubare il seme e portare in grembo la vita che passa attraverso il maschio. Ecco come gli uomini si sono anche giustificati un’inferiorità della donna, perché di fatto è lei che porta la vita trasformandola in una superiorità,cioè la donna è una sorta di incubatrice, di forno che incuba la vita, ma chi mette ciò che nascerà è l’uomo. Un’immagine brutta, un’immagine che oggi è inaccettabile: l’uomo è superiore alla donna così come l’atto è superiore alla potenza, così come la forma è superiore alla materia, la donna dà la materia e l’uomo dà la forma, la donna è potenzialmente portatrice di vita ma a trasformare la potenzialità in atto è l’uomo attraverso lo sperma. L’uomo dunque in questo caso si sente portatore della unicità della identità della specificità della vita.
E così vale per padri e figli: i padri guidano e devono essere ascoltati, i figli devono ascoltare per natura, devono ubbidire. Per noi oggi questa teoria è inaccettabile. Non che i figli non debbano ubbidire ma devono ubbidire se il padre è una persona onesta, buona, gentile, educata o certamente se è una persona non violenta, non è che bisogna ubbidire ai genitori se sono violenti, cattivi e abusano di te. In questo caso, per Aristotele, comunque c’è un’osservanza del padre in quanto rappresenta una figura istituzionale e una figura 'naturalmente' ben portata e predisposta alla guida: questa è la famiglia tradizionale aristotelica.
Un concetto che piacerà tantissimo, è compatibile con la visione cristiana biblica evangelica del cristianesimo ed è una visione di famiglia che piacerà moltissimo ad Hegel, il grande maestro di Tubinga, uno dei padri dell’idealismo tedesco che farà della famiglia aristotelica il punto di partenza della politica: la politicità, la comunità politica nasce con la famiglia tradizionale che è il luogo della politica, luogo dell’armonia dunque luogo della sintesi e sarà invece la società borghese conflittuale a mandarla in crisi a destrutturarla e servirà lo stato per ricomporre questa rottura, secondo Hegel. Tutto ciò è derivato e teorizzato a partire da Aristotele.
Da qui la giustificazione anche della superiorità del mondo greco rispetto ad altre civiltà, perché le capacità logiche matematiche linguistiche, artistiche, scultoree, architettoniche dei greci, sono figlie del genio ellenico, sono il parto della superiorità razionale logica dei greci. Aristotele, che fu il mentore e l’insegnante di Alessandro Magno, si arrabbiò tantissimo quando Alessandro il Grande tornò dalla conquista della Persia, della Cina, dell’India avendo assunto usi e costumi, trucchi, tuniche tipiche del mondo orientale che lo avevano tanto affascinato. Alessandro Magno addirittura sposò una donna orientale per avere dei figli con caratteristiche provenienti da quelle civiltà e tutto ciò per Aristotele era intollerabile che la cultura greca così solenne razionale logica, improntata a una superiorità appunto intellettuale si mescolasse con altre forme culturali ritenute inferiori per natura.
Ma oggi potremmo dire che Aristotele fu un teorico dei talenti ma dei talenti un po’ chiusi cioè senza che siano portati alla luce: se uno non ha un talento non potrà ovviamente ottenerlo, la teoria della Natura vuol dire che l’acqua va all’acqua il fuoco va al fuoco la terra va alla terra ma se uno il fuoco non ce l’ha non potrà andare al fuoco se uno l’acqua non ce l’ha non potrà andare all’acqua. Noi oggi invece sappiamo che i talenti è vero che uno ce li ha o non ce li ha ma li può irrobustire, li può allenare, si può essere anche in grado di acquisire capacità e competenze che non si possedevano o che si possedevano in maniera molto molto debole. Invece Aristotele in questo è molto più chiuso, è molto più austero, molto più severo e oggi chi lo recupera, come i fondamentalisti cattolici cristiani islamici per sostenere la superiorità del maschio sulla femmina, per criticare il matrimonio omosessuale e l’estensione dei diritti lo fa in maniera capziosa. Invece Aristotele lo fa in maniera intellettualmente onesta perché Aristotele è vissuto 2300 anni fa: io penso che la genialità di Aristotele farebbe sì che oggi Aristotele disconoscerebbe gli stessi uomini e donne che si richiamano ad Aristotele per sostenere la centralità della razza del maschio, della famiglia naturale.
                                                                                                   FINE PRIMA PARTE
                                                                                                                                      (segue)

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