domenica 16 febbraio 2020

FINESTRE SULLA FILOSOFIA

di Marco Leoni


      PLATONE : il Menone e la conoscenza come reminiscenza


Riporto sempre una lezione di Matteo Saudino, fantastico prof. di filosofia.

Oggi affrontiamo il dialogo della maturità di Platone, il dialogo in cui le teorie presentate dal filosofo di Atene sono completamente il prodotto della sua ricerca, della sua filosofia, nel senso che con la maturità Platone prende le distanze da Socrate e non si limita a presentarne la vita, le teorie ma elabora una nuova progettualità, una nuova architettura filosofica. Ovviamente, l’ho già detto, il protagonista dei dialoghi sarà sempre Socrate e questo è un atto d’amore, questo è l'omaggio che Platone fa al suo maestro.
La teoria platonica nei dialoghi prende forma per bocca di Socrate e all’interno del dialogo, le idee di Platone, le teorie di Platone vengono esposte sempre da Socrate.
Considerate però che il dialogo è sempre una dinamica di arricchimento di fertilità: tutti i protagonisti dialogando contribuiranno al raggiungimento di una verità che poi sarà parziale, perché la verità, per Socrate e Platone, è comunque una ricerca parziale. Non vuol dire che è relativa: è una verità da cui si partirà per andare ancora alla ricerca di un approfondimento e di una verità più stabile o solida perché Platone è un dichiarato antirelativista.
Vediamo insieme questo dialogo.
Il dialogo si svolge a casa di Menone che è il protagonista con Socrate ed Anito. Menone è un aristocratico ateniese che ha invitato Socrate a casa per la piacevolezza di avere un ospite famoso, prestigioso come Socrate con cui poter dialogare e fare filosofia: è il piacere del dialogo.
In questa serata a Menone e Socrate si aggiungerà Anito quell’Anito già incontrato nell’Apologia di Socrate, uno degli accusatori di Socrate, del maestro di Platone a cui dunque Platone offre comunque uno spazio all’interno di un dialogo perché servirà, nell’architettura dialogica di Platone, per poter giungere ad una teoria, ad una verità antitetica a quella sostenuta da Anito.
La serata ruota intorno ad una discussione proposta dallo stesso padrone di casa, cioè se la virtù sia insegnabile, o se sia una pratica.
Platone è un pedagogo. Platone aveva già pensato alla centralità del discente 2400 anni fa: insegnare non vuol dire calare dall’alto, tema già affrontato con Socrate, ma l'apprendimento avviene attraverso il dialogo e la pratica in maniera personale. Molti pedagoghi attuali che pensano di aver scoperto l’acqua calda, in realtà sono debitori di uno dei grandi pedagoghi dell’antichità, Platone appunto.
Ebbene a casa di Menone si svolge questo dialogo: punto di partenza è la domanda sulla virtù e Socrate per rispondere comincia a dire che tutti gli uomini in realtà quando vogliono conoscere, vogliono conoscere il bene, sono attratti dal bene, si muovono verso il bene. Anche quelli che compiono il male o che conoscono in maniera sbagliata in realtà lo fanno convinti di agire bene o comunque di conoscere in maniera corretta.
Ma allora, questo presuppone che ci sia questo bene verso cui le persone tendono, anche se nessuno lo ha insegnato. Oppure il bene viene insegnato, allora c’è qualcuno che lo insegna.
Se c’è un tendere verso il bene e c'è una sorta di attrazione che il bene esercita su di noi, esso parte dalla nostra interiorità. E Socrate qua inizia a recuperare quella che è anche una vecchia tradizione di conoscenza quella intesa come ricordo. Platone quindi, per bocca di Socrate, sosterrà che la conoscenza sia in realtà un ricordare sia Reminiscenza.
A questo punto Socrate chiede a Menone di invitare al tavolo il suo schiavo, per poter dimostrare che conoscere è ricordare.
Quando lo schiavo giunge, Socrate comincia a fargli domande di geometria e gli chiede di disegnare forme geometriche (un quadrato, poi come suddividere il quadrato in tanti piccoli quadrati e ricostruire su questi quadrati dei piccoli triangoli). Lo schiavo, che non aveva mai avuto un insegnante di geometria e a scuola non era mai andato, guidato da Socrate, giunge a dimostrare il teorema di Pitagora con lo stupore di Menone e del sopraggiunto Anito.
Ma come le conoscenze sono da insegnare, sono insegnabili anche le virtù?
Platone per bocca di Socrate dirà perché conoscere significa ricordare.
Significa portare alla luce quanto la nostra anima ha già dentro di sé, quanto la nostra anima ha conosciuto nell’aldilà, cioè nel mondo delle Idee. La nostra anima, prima di incarnarsi nel nostro corpo, ha conosciuto, ha visto come dice l’intellettuale il mondo delle idee e ha conosciuto i valori del bene, del giusto, del bello. Ha conosciuto le idee matematiche come la sfera, il quadrato,il rettangolo il triangolo; ha conosciuto le idee delle cose comuni, dei generi uomo, cavallo, albero e quest’anima deve semplicemente, quando è nel corpo, ricordare quanto ha visto in precedenza.
Comunque per ricordare quanto ha visto in precedenza va stimolata. Ecco il platonismo socratismo: dentro di noi c’è il bene, bisogna portarlo alla luce, dentro di noi c’è la conoscenza matematica e geometrica, bisogna portarle alla luce.
L’insegnamento non è come abbiamo già detto più volte riempire un vaso o un sacco, lo studente non è il sacco in cui io verserò della farina non è un vaso in cui verserò dell’acqua ma lo studente è l’allievo è il discente è un soggetto da stimolare da risvegliare da portare ad una ricerca autonoma.
Dunque alla tesi di Anito, “ le virtù si insegnano”, tipiche dei sofisti che le insegnavano anche a pagamento, Socrate e Platone rispondono che le virtù non si insegnano, si apprendono praticandole, stimolati e guidati da un maestro. Dunque Platone ci vuole dire che alla base della conoscenza c’è la costruzione di una mente, l’anima in grado di apprendere.
Uno degli psicologi dell’apprendimento del 900, Morer, il cui testo “ LA TESTA BEN FATTA” è diventato una sorta di testo di riferimento per chi vuole fare l’insegnante, sostiene che fare l’insegnante è contribuire a costruire una testa funzionante e non tanto dare i contenuti e metterli dentro la testa. I contenuti sono funzionali anche al costruire: ora, al di là di conoscere le teorie di Platone, stiamo ragionando e la vostra testa si sta formando perché oggi si sta confrontando sul tema della virtù e della conoscenza, e confrontando tesi diverse, la testa comincia a mettersi in moto, a ragionare a confrontare e magari a elaborare una teoria.
A Platone non interessa il discorso delle regole: lui è un filosofo, lui è interessato al bene e il bene non lo trasmetti con le regole ma lo devi ritrovare dentro di te. Se hai interiorizzato un’idea di rispetto, questa è diventata una pratica di vita, è diventato un atteggiamento, una modalità perché è stata interiorizzata.
E Platone ci dice questo: la virtù non è insegnabile. Certi padri virtuosi non hanno i figli virtuosi ma un padre virtuoso avrà pure insegnato ai suoi figli a comportarsi bene, molti padri che conoscono delle virtù etiche politiche o delle virtù matematiche e ingegneristiche hanno figli che non possiedono le stesse virtù conoscitive tecniche ingegneristiche virtù comportamentali etico politiche, perché le virtù non si trasmettono nel sangue non si trasmettono tramite una lezione se non ci sarà una appropriazione profonda.
Allora le virtù per Socrate sono una ricerca, sono figlie di una ricerca personale che è sempre in divenire, che è anche precaria perché può procedere in maniera lineare a volte e non lineare in altre ed è frutto di una ricerca costante, una ricerca in divenire, costante e personale.
Secondo Socrate e Platone la virtù è figlia di una ricerca personale ma non in un’ottica relativista: non rispettare la Legge è sbagliato per Platone ma al rispetto della legge bisogna arrivarci attraverso la ricerca personale interiore. Quando ho interiorizzato il comportamento corretto, mi comporterò bene, se invece mi comporto bene soltanto perché c’è una telecamera accesa, quando la telecamera sarà spenta non lo farò più.
Dunque la conoscenza è reminiscenza, è ricordare.
E come avviene il ricordo? Se la conoscenza è ricordare, allora è innata. Per Platone conosciamo il bene se abbiamo già conosciuto il bene, noi conosciamo il bello se abbiamo già conosciuto il bello? Sì, ma in parte. La conoscenza è già dentro di noi, nasciamo che conosciamo già, abbiamo già dentro quello che possiamo conoscere ma per arrivare a conoscere quello che è già innato in noi dobbiamo fare esperienza.
Per Platone conoscenza è uguale a reminiscenza cioè la conoscenza è innata, il natismo, ma che cos’è che ci porta a ricordare quello che in noi è innato? L’esperienza.
Dunque c’è anche una dimensione di empirismo: conoscere è empiricità,o esperienza, facendo esperienza risalgo a quello che in me è innato. Come Socrate chiama lo schiavo e lo schiavo disegna un quadrato, disegnando il quadrato, si ricorda del quadrato che la sua anima ha già conosciuto e così col triangolo col parallelismo degli angoli retti, disegnando con un maestro che gli indica quello che deve fare, lui empiricamente accede a quello che la sua anima già possiede: il natismo.
L’anima già possiede la conoscenza, empirismo. E la conoscenza va stimolata.
L’esempio con cui chiudo è quello della bellezza. La bellezza è già dentro di noi ma se io vivo in un mondo in cui guardo solo le cose brutte faccio esperienza solo del brutto (che per Platone non esiste, sarebbe il non bello), non arrivo a risvegliare la bellezza.
Se io ogni giorno apro le finestre e vedo guerra, violenza, corpi martoriati, fiori appassiti, come faccio a risvegliare il bello che è in me? Non posso, perché ogni giorno gli occhi vedranno degrado e violenza.
Platone è antirelativista , lui vi sta dicendo che se un ragazzo nasce e vive in un ambiente corrotto e brutto (non bello), difficilmente avrà l’educazione a recuperare il bello che è dentro di sé e sarà tendenzialmente portato a comportarsi in maniera brutta, violenta, cattiva, malvagia perché non non è stimolato ad andare a recuperare il bello che ha in sé.
Il bello è contagioso, se attorno vede un fiore, una forma colorata, armoniosa, questo porta verso una sensazione di ricerca di bellezza: se ho visto un fiore bello, ho visto un corpo bello, ho visto una bella persona che si comporta bene, domani vorrò non solo un fiore bello ma due fiori belli perché il bello risveglia il bello, il buono risveglia il buono, il bene risveglia il bene. Questi valori sono in noi innati ma se non c’è il mondo esterno che empiricamente ci stimola, se non facciamo l’esperienza del bello, del giusto, del buono, non potremo mai vivere una vita alla ricerca di questi valori perché questi valori non li sappiamo distinguere, non sappiamo dove andarli a cercare e di conseguenza non ce ne possiamo impossessare.
Dunque l'inno di Platone è a fare della nostra vita una cosa bella.
La nostra vita ha delle alternative fra essere bella, giusta e di verità o essere ingannevole di falsità di mediocrità. La scelta sta comunque in noi e il maestro, in questo caso il filosofo, il genitore sono decisivi per poterci avvicinare alla bellezza, al giusto, al vero; però non basta l’incontro servirà anche la nostra volontà.



Desidero farvi conoscere Matteo Saudino il fantastico, come più volte l'ho definito, prof. Di filosofia.
E’ certamente lui il responsabile del mio amore per la filosofia.
La lettura dei grandi pensatori dell’antichità credetemi non è una perdita di tempo, ma un importante arricchimento della nostra persona.
La filosofia ci stimola al ragionamento, alla riflessione e fa scattare in noi il desiderio di conoscenza. Ci apre la mente.
Inoltre una lettura attenta ci fa comprendere come il loro pensiero sia di una attualità incredibile ed è ancora in grado di aiutarci a decodificare la complessità del mondo in cui viviamo.

Matteo Saudino

1 commento:

mariella ha detto...

Marco sono d'accordo con te sul fatto che la filosofia aiuta l'essere umano a ragionare sui problemi esistenziali che attanagliano la nostra vita se, come dici tu, li sappiamo decodificare. Ti ringrazio di avere stimolato queste letture e di aver portato alla mia conoscenza un ulteriore pensatore come questo filosofo che non conoscevo. Grazie