Ennesima porta in faccia, invece, all’appello dell’azienda a far partire i quattro camion carichi di macchine da caffè pronte per la vendita. I sindacati precisano di non voler concedere, in questa fase, «nessuna apertura per quanto riguarda la consegna di prodotti finiti, vista la rigidità incomprensibile dimostrata da Philips» che ha ribadito ancora una volta di voler licenziare 243 persone. Resta da sciogliere il nodo cassa integrazione: l’accordo scade tra nove giorni e, in mancanza di un rinnovo, è dietro l’angolo il rischio che vengano aperte subito le procedure di mobilità. E contro il colosso olandese si scatenano le reazioni politiche, mentre il leader regionale della Fiom, Bruno Papignani, chiede al governo di bloccare le commesse pubbliche della multinazionale: «Atteggiamento irrispettoso verso un Paese — scrive Papignani —, visto che Philips non vende solo macchine da caffè ma fornisce ospedali e Asl con un quantitativo impressionante di commesse pubbliche, con prodotti costruiti altrove, si pone un problema relazionale».
Il segretario del Pd bolognese, Francesco Critelli, attacca: «È bene che Philips metta da parte questa arroganza ». E il governo deve mettere in chiaro alla multinazionale che così «non può tenersi lo storico marchio della fabbrica sull’Appennino ». È la strategia suggerita dall’ex segretario nazionale della Cgil e presidente della commissione Attività produttive della Camera, Guglielmo Epifani. I Cinque Stelle avanzano un’altra proposta: per il deputato bolognese Matteo Dall’Osso, al ministero «sono state fornite ampie assicurazioni circa il fatto che altre aziende italiane possano acquisire il controllo della Saeco». Per Sel «se passa il modello Philips, qualsiasi multinazionale — dice il capogruppo in Regione, Igor Taruffi — potrebbe fare lo stesso».
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