Il prossimo 17 ottobre, come annunciato, incontro del ‘tavolo di crisi Kemet’ in Regione.
All’ordine del giorno, la riorganizzazione del gruppo industriale bolognese (produce condensatori per l’industria elettronica e macchine automatiche utili a questa produzione) e la denuncia dell’azienda di 212 esuberi con la chiusura dello stabilimento di Monghidoro e il trasferimento di alcune lavorazioni nella ex Jugoslavia.
Ieri sera, in un consiglio comunale straordinario a Monghidoro, cui hanno partecipato rappresentanze sindacali e i sindaci dei comuni di Sasso Marconi, Vergato e ovviamente Monghidoro, si è cercato di fare il punto sulla situazione e concordare una strategia condivisa.
Un no ‘secco’ ai licenziamenti è venuto dal sindaco di Sasso Marconi Stefano Mazzetti (nella foto) che ha anche chiesto un piano industriale credibile. Ha ricordato che su questo piano rimane un punto fermo l’accordo del 2008 nel quale l’azienda aveva sottoscritto un impegno a mantenere 695 posti di lavoro contro gli oltre mille precedenti. Ha messo in risalto come la multinazionale si è finalmente impegnata concretamente nella realizzazione del nuovo stabilimento a Pontecchio Marconi. “Il fatto che investano ci rassicura sull'intenzione dell’azienda di voler restare qua, almeno fino a quando avranno ammortizzato l’investimento”, ha sottolineato il sindaco.
Altra notizia positiva uscita dall’incontro, l’azienda ha annunciato la prossima assunzione di 30 giovani ingegnari da impegnare nel settore della ricerca. Ciò dimostra che punta sulla ‘nota’ capacità innovativa, soprattutto del settore delle macchine automatiche, del gruppo sassese. Il centro tecnologico continuerà a restare a Sasso Marconi.
Più preoccupati i sindacalisti poiché è noto che quando una multinazionale decide è difficile opporsi.
Bruno Papignani (nella foto), segretario provinciale Fiom, ha ricordato che dovrà essere salvaguardata l’occupazione a Monghidoro, anche se secondo Kemet dovrebbe essere chiuso, lo stabilimento dovrà conservare una funzione produttiva. Da qui parte la trattativa.
Per Marino Mazzini, segretario generale della Fim Cisl bolognese, dovrà essere salvaguardato innanzitutto il lavoro e non può essere persa la Kemet. “Sarà difficile trovare un punto di equilibrio. Con il supporto delle istituzioni pubbliche, dobbiamo esplorare ogni strada per individuare il punto in incontro che porti ad un accordo che non possa più essere messo in discussione come è successo per quello del 2008. Non possiamo comunque abbandonare la trattativa”, ha sottolineato.
Francesco Cecere della Cgil ha messo in risalto il momento difficile dovuto anche a rapporti industriali inconsistenti poiché ci si trova a confrontarsi con chi si trova a migliaia di chilometri di distanza e che ragiona con la freddezza dei numeri che si trova sul tavolo. “Vogliamo un accordo che sposi quello del 2008,” ha comunque ribadito.
Dal pubblico presente è venuto il più netto rifiuto alla chiusura dello stabilimento di Monghidoro anche perché unica presenza industriale nel Comune. Questo soprattutto per i monghidoresi. Per i Vergatesi, il cui stabilimento è già stabilito venga chiuso con il trasferimento delle lavorazioni a Pontecchio Marconi e i sassesi la priorità rimane la salvaguardia dei posti di lavoro e la permanenza del gruppo produttivo a Bologna.
In definitiva è parso di capire che la ‘linea del Piave’ della trattativa sarà quella dei 695 posti di lavoro prendendo in considerazione migliorie organizzative che la direzione aziendale si proponesse di attuare.
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