martedì 31 ottobre 2023

Abbandonare i rifiuti costa caro. È reato per tutti


Anche l’abbandono di rifiuti da parte di comuni cittadini costituisce, al pari di quello posto in essere da titolari di enti e imprese, un reato. Le nuove norme hanno infatti riformulato le punizioni previste, sostituendo alla mera sanzione amministrativa pecuniaria una ammenda dal più robusto contenuto economico. Ma scattano anche garanzie processuali e sanzioni ridotte


Da Italia Oggi

 

 

Da ottobre 2023 anche l'abbandono di rifiuti effettuato da parte di comuni cittadini costituisce, al pari di quello posto in essere da titolari di enti ed imprese, un reato. La legge 9 ottobre 2023 n. 137 (di conversione del dl 105/2023) ha infatti riformulato le punizioni previste dall'articolo 255 del dlgs 152/2006 a carico di “chiunque” si disfi in tal modo di rifiuti, sostituendo alla mera sanzione amministrativa pecuniaria una ammenda dal più robusto contenuto economico. Ma la trasformazione da illecito amministrativo ad illecito penale (nello specifico, contravvenzionale) della fattispecie non appare essere garanzia di maggior potere preventivo e repressivo dello Stato nei confronti di condotte offensive per l'ecosistema. Con il passaggio dal regime amministrativo a quello penale, scattano infatti anche per la nuova categoria di presunti responsabili dell'abbandono sia le garanzie processuali sull'onere della prova sia la possibilità di avvalersi del meccanismo agevolato di estinzione dell'illecito previsto dallo stesso Codice ambientale.

La nuova configurazione dell'illecito. Come ricordato da ultimo dalla Corte di Cassazione, con sentenza 33423/2023, la disciplina in materia di abbandono o deposito irregolare di rifiuti risulta dalla combinazione tra l'articolo 255, comma 1 e l'articolo 256, comma 2 del dlgs 152/2006. Il primo articolo, infatti, prevede sanzioni a carico di qualunque soggetto che, non agendo sotto il titolo di una specifica attività, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette in acque superficiali o sotterranee in violazione delle disposizioni di riferimento dello stesso dlgs 152/2006; il secondo prevede invece sanzioni più grevi quando la stessa condotta è posta in essere da “titolari di imprese ed ai responsabili di enti”. Prima della neo legge 137/2023 (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 9 ottobre 2023, n. 236) la distinzione fondamentale tra le due fattispecie era la diversa natura delle disposizioni sanzionatorie: sanzione pecuniaria amministrativa da 300 a 3 mila euro (aumentata fino al doppio per i rifiuti pericolosi) ex art. 255; arresto fino a 2 anni più ammenda fino a 26 mila euro in caso di rifiuti pericolosi ex art. 256.

Con la riforma operata dalla legge 137/2023 la disposizione sanzionatoria ex art. 255 viene trasformata da amministrativa a penale, con la previsione per l'autore dell'illecito di una ammenda da 1000 a 10 mila euro in caso di rifiuti non pericolosi, aumentata fino al doppio in caso di pericolosi. Tecnicamente, al reato “proprio” di titolari di enti ed imprese se ne affianca, dunque, uno “comune” punito meno severamente. A precisare il confine applicativo tra le due figure è intervenuta proprio la scorsa estate, con una pronuncia che appare ancor oggi applicabile, la giurisprudenza di legittimità. In particolare, con sentenza 31 luglio 2023 n. 33423 la Corte di Cassazione ha prospettato la possibilità di punire come illecito "comune" ex articolo 255 del dlgs 152/2006 (ieri amministrativo, oggi penale) anche l'abbandono di rifiuti commesso, sì, da titolari di imprese o enti ma avente ad oggetto residui estranei a qualunque attività che, anche episodicamente, potrebbero svolgere tali organizzazioni.

Le conseguenze dal punto di vista probatorio. L'ingresso dell'abbandono “comune” di rifiuti tra i reati comporta rilevanti conseguenze, in primis, dal punto di vista dell'accertamento della responsabilità dell'autore da parte delle Autorità competenti. L'onere probatorio, infatti, si configura nel processo penale in modo diverso dall'ambito procedurale amministrativo e civile. In primo luogo, nel procedimento amministrativo sanzionatorio, l'atto dell'Autorità pubblica che irroga la sanzione può infatti appoggiarsi (ex articolo 3 della legge 689/1981, come letta dalla corrente giurisprudenza, tra cui la sentenza del Consiglio di Stato 22 luglio 2022, n. 6473) su una presunzione di colpa posta a carico del presunto trasgressore, cui spetta l'onere di superarla per non soccombervi. In secondo luogo, in sede giurisdizionale, sia a livello amministrativo che civile è sostanzialmente ritenuto sufficiente raggiungere una “ragionevole probabilità” della responsabilità del presunto colpevole sulla base di elementi probatori che lo inducano a ritenere tale in modo “più ragionevole che non” (sul tema si vedano, tra le altre, l'ordinanza della Corte di Cassazione 27720/2018 e la sentenza del Consiglio di Stato 3570/2022). E questo a differenza del processo penale ove, in ultima istanza, occorre comunque (in ossequio all'articolo 533 del Codice di procedura penale) che “il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio”.

I riflessi sull'applicazione delle sanzioni. La mutazione dell'abbandono di rifiuti posto in essere da “chiunque” in illecito penale apre nuovi panorami anche dal punto di vista del procedimento applicativo delle relative sanzioni. In quanto reato, il neo illecito ex riformulato articolo 255 del dlgs 152/2006 è infatti ora candidabile alla procedura di estinzione (agevolata) delle contravvenzioni ex articolo 318-bis e seguenti, Parte Sesta-bis, dello stesso Codice ambientale (e questo laddove, prima della suddetta mutazione, lo stesso illecito era invece ammesso alla procedura di pagamento in misura ridotta ex articolo 16, legge 689/1981). Il meccanismo ex Codice ambientale (che può comportare la riduzione del 75% dell'importo da pagare) è applicabile esclusivamente alle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dallo stesso dlgs 152/2006 “che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette”. La procedura è attivabile su iniziativa della polizia giudiziaria o dell'organo vigilanza che ne esercita le funzioni, ma a loro discrezione. Da ultimo, con sentenza 28 luglio 2023 n. 32962 la Corte di Cassazione ha infatti ribadito che “la procedura (…) non è obbligatoria, e che l'omessa indicazione all'indagato, da parte dell'organo di vigilanza o della polizia giudiziaria (…) delle prescrizioni la cui ottemperanza è necessaria per l'estinzione delle contravvenzioni, non è causa di improcedibilità dell'azione penale”.

L'iter delineato dal Codice ambientale prevede che tali Autorità impartiscano al presunto contravventore l'ordine di ricondurre entro un determinato termine la situazione di fatto a quella di diritto, eventualmente imponendo anche specifiche misure per far cessare attività o condotte pericolose. Se si conforma alla prescrizione adempiendovi, l'indagato (che gode nelle more di una sospensione del procedimento penale) è ammesso a pagare, in sede amministrativa, una somma pari ad un quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione con conseguente estinzione del reato. Se, invece, adempie alla prescrizione in modo difforme (per tempistica o modi), lo stesso può comunque essere dal Giudice ammesso all'oblazione ex Codice penale, con un aumento della somma da versare alla metà del massimo dell'ammenda comminata. Se, infine, non adempie alla prescrizione, il procedimento penale a suo carico riprende il proprio corso. Tale procedimento penale, riavviato all'esito dell'infelice conclusione di quello alternativo ex Codice ambientale oppure mai sospeso per non essere stato l'indagato ammesso al meccanismo ex articolo 318-bis e seguenti, vede la sua normale evoluzione secondo il rito del decreto penale di condanna. Tale rito comporta l'emissione da parte del giudice per le indagini preliminari (su richiesta della pubblica accusa) di un provvedimento che, senza contraddittorio, applica la pena pecuniaria. A tale decreto di condanna l'imputato può adeguarsi pagando l'importo, che viene ridotto di un quinto se saldato entro 15 giorni dalla notifica, oppure opporsi, chiedendo la prosecuzione del processo penale secondo altri riti pur semplificati, ma con le suddette garanzie codicistiche.

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