mercoledì 2 settembre 2009

Chasselas


La fedeltà paga. Il presente di Lino Franceschi di Amola a Monte San Pietro lo testimonia. Lino, a differenza della stramaggioranza dei produttori vinicoli bolognesi, non ha abbandonato il vigneto di ‘saslà’ impiantato dal nonno Luigi nel 1916.

Questo vitigno, il cui termine corretto è chasselas, produce una uva da tavola particolarmente gustosa dalla buccia molto sottile con acini sferici dorati, quasi trasparenti. Si diffuse nei primi anni del XX secolo nel territorio dei colli bolognesi. E’ originario del sud del Libano e i Fenici lo diffusero in Spagna, Francia e Italia.

Attualmente nel bolognese si stima che ne rimanga meno del 5 per cento di tutta la produzione, corrispondente a circa 1000 quintali. Lino ha continuato a coltivarlo con la tecnica di un tempo (la vicinanza dei filari non consente l’utilizzo di mezzi meccanici) e oggi la sua uva è diventata un articolo ricercato, non solo perché raro, ma anche perché ha un gusto dolcissimo. Il saslà era infatti un tempo una delle ‘uve da tavola’ più commercializzate .

“Produco oltre 40 quintali di uva e li vendo tutti quanti,” ha precisato Lino. “ Ho delle richieste da tutta la provincia che spesso soddisfo portando le piccole cassette direttamente a casa dell’acquirente”. Aggiunge poi che i piccoli grappoli d’uva rimasti perché poco adatti da tavola, li destina alla produzione di un vino che, a dispetto della dolcezza dell’uva, è invece secco e anche questo molto piacevole al palato.

Insomma il saslà è un tesoro dimenticato che i nostri nonni ben custodivano e portavano dalle colline, come il nonno di Lino, con i carri trainati da buoi fino a Casalecchio e da qui a Piacenza dove un commerciante curava l’esportazione.

Dopo l’attivazione della ferrovia Casalecchio-Vignola (1938), il punto di raccolta divenne Bazzano. Da qui partivano una dozzina di vagoni al giorno per una ventina di giorni. Circa 15.000 quintali, con destinazione Svizzera, Germania e Inghilterra.

Per confezionare il prodotto nei ‘plateau’, diverse centinaia di donne ‘sforbiciavano’ gli acini marci o immaturi con piccole forbici dette ‘giurein’, da qui il nome dialettale sgiurinatriz.

Domenica prossima(6 settembre) a Casello di Serravalle si svolge la ‘passeggiata del saslà’ per conoscere e degustare questa deliziosa uva.

Lino Franceschi ha conservato gelosamente anche un altro vitigno storico e dimenticato, quello del ‘nigartein’ per la produzione di un vino nero particolarmente gustoso e noto per il suo colore così intenso da tingere le labbra di nero.

1 commento:

C.Zecca ha detto...

Un esempio importante di civiltà contadina residuale.
L'ho segnalato a tutti i soci di gaS Pioppe.

Grazie

C.Zecca