Da Coldiretti:
In una stagione complessa dal punto di vista meteo la vendemmia 2023 inizia pagando un pesante dazio agli effetti dei cambiamenti climatici che, fra maltempo e ondate di calore, hanno danneggiato i vigneti con la produzione nazionale stimata in calo di circa il 14% ma con crolli fino al 50% nel Centro Sud facendo segnare, per quelle aree, il peggior risultato del secolo.
E’ quanto emerge dalle prime stime della Coldiretti in occasione dell’avvio della vendemmia in Italia con il distacco del primo grappolo in Sicilia nell’azienda agricola Giuseppe Provenzano, ad Alcamo contrada Crocicchia nella provincia di Trapani con la vendemmia delle prime uve di pinot grigio.
La produzione italiana
dovrebbe scendere intorno ai 43 milioni di ettolitri contro i 50 milioni registrati
la scorsa stagione, facendo entrare il 2023 fra i peggiori anni della storia
del vigneto Italia nell’ultimo secolo insieme al 1948, al 2007 e al 2017. In
Italia si attende comunque una produzione di qualità, ma per quanto riguarda i
volumi molto dipende dall’evoluzione delle temperature e delle precipitazioni
nelle prossime settimane e dall’impatto dei cambiamenti climatici, con i
viticoltori che devono stare sempre più attenti alla scelta del giusto momento
per la raccolta e la lavorazione in cantina (leggi il vademecum per le cantine
presentato dal Masaf).
In base alle prime
proiezioni, in assenza di ulteriori eventi avversi, per la conquista del primo
posto come produttore mondiale di vino si prospetta un testa a testa fra
l’Italia e la Francia, che sta facendo i conti con malattie della vite e
maltempo, mentre la Spagna, dove il meteo ha anticipato la raccolta di almeno
due settimane, dovrebbe restare terza con 36,5 milioni di ettolitri e un calo
dell’11% rispetto allo scorso anno.
In Italia, nonostante
gli investimenti fatti dagli agricoltori a tutela della salute dei vigneti,
con un incremento dei costi di
produzione che pesa sui bilanci delle aziende, ci sono regioni importanti come Sicilia e Puglia, che rappresentano oltre
1/5 di tutto il vino del Belpaese, con perdite tra i filari fino al 40% mentre
in alcune zone fra Molise e Abruzzo si registra un crollo anche del 60% dei
grappoli da raccogliere. La situazione è difficile anche in Toscana, ma
migliora spostandosi verso Nord, dove le rese sono stabili o crescono leggermente
rispetto lo scorso anno.
E se in Romagna
l’alluvione ha dato un duro colpo ai vigneti, in Emilia, nonostante le
grandinate, la produzione resiste seguendo l’intera dorsale che da Modena,
Piacenza e Parma si spinge fino all’Oltrepo Pavese e all’Astigiano. Dal
Piemonte al Veneto, passando per la Lombardia le rese sono stabili nonostante
nubifragi e grandinate che hanno colpito a macchia di leopardo nelle ultime
settimane, in un Nord che quest’anno dovrebbe produrre il 65% di tutto il vino
nazionale.
Uno scenario che vede la
vendemmia in Italia partire tradizionalmente con le uve da spumanti Pinot e
Chardonnay in un percorso che prosegue a settembre ed ottobre con la Glera per
il Prosecco e con le grandi uve rosse autoctone Sangiovese, Montepulciano, Nebbiolo
e si conclude addirittura a novembre con le uve di Aglianico e Nerello su
658mila ettari coltivati a livello nazionale.
La produzione tricolore
può contare su 635 varietà iscritte al registro viti, il doppio rispetto ai
francesi, con le bottiglie Made in Italy destinate per circa il 70% a Docg, Doc
e Igt con 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 76 vini a
denominazione di origine controllata e garantita (Docg), e 118 vini a
indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30%
per i vini da tavola a dimostrazione del ricco patrimonio di biodiversità su
cui può contare l’Italia che vanta lungo tutta la Penisola la possibilità di
offrire vini locali di altissima qualità grazie ad una tradizione millenaria.
“Con la vendemmia in
Italia si attiva un sistema che offre opportunità di lavoro a 1,3 milioni di
persone impegnate direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione
commerciale, sia per quelle impiegate in attività connesse e di servizio”
spiega il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.
Un patrimonio di
cultura, storia, economia e lavoro messo a rischio dall’entrata in vigore della
legge sulle etichette allarmistiche del vino dopo che la Commissione europea ha
dato il via libera per silenzio-assenso alla proposta irlandese Si tratta
infatti di una norma distorsiva del commercio che è il risultato di un
approccio ideologico nei confronti di un alimento come il vino che fa parte a
pieno titolo della dieta mediterranea e conta diecimila anni di storia e le cui
tracce nel mondo sono state individuate nel Caucaso mentre in Italia si hanno
riscontri in Sicilia già 4100 anni prima di Cristo.
“E’ del tutto improprio assimilare l’eccessivo consumo di superalcolici tipico dei Paesi nordici al consumo moderato e consapevole di prodotti di qualità ed a più bassa gradazione come la birra e il vino che in Italia è diventato l’emblema di uno stile di vita lento, attento all’equilibrio psico-fisico che aiuta a stare bene con se stessi, da contrapporre all’assunzione sregolata di alcol,” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “il giusto impegno dell’Unione per tutelare la salute dei cittadini secondo la Coldiretti non può tradursi in decisioni semplicistiche che rischiano di criminalizzare ingiustamente singoli prodotti indipendentemente dalle quantità consumate”.
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