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Stop della Cassazione alle clausole vessatorie imposte dalle compagnie a chi stipula un’assicurazione sulla vita.
La Suprema corte, con la sentenza 17024 depositata ieri, compila un lungo elenco delle richieste che gli assicuratori non possono fare ai beneficiari, dopo la morte del “portatore di rischio”: dall’obbligo di formulare la domanda di indennizzo su un prestampato a quello di fornire le cartelle cliniche di chi aveva sottoscritto la polizza.
Nel mirino dei giudici finisce il contratto concluso da un cliente, morto di ictus solo due settimane dopo averlo firmato.
Ben sette condizioni generali, alle quali era subordinato il pagamento dell’indennizzo, che la Cassazione non esita a definire un «cocktail giugulatorio ed opprimente per il beneficiario», chiarendo per ciascuna le ragioni della vessazione.
1) A iniziare dalla previsione per cui il beneficiario deve chiedere l’indennizzo usando un modulo predisposto dall’assicuratore: un’azione in netto contrasto con il principio di libertà delle forme che contraddistingue l’intera materia delle obbligazioni;
2) no anche alla domanda da inoltrare presso l’agenzia di competenza, perché viola la libertà personale e di movimento, imponendo una servitù priva di vantaggi per l’assicuratore;
3) nella lista dei comportamenti vietati entra la richiesta di produrre una relazione medica sulla morte del portatore di rischio, che comporta per il beneficiario un esborso di denaro non irrilevante, ponendo a suo carico anche l’onere, che per legge non ha, di documentare le cause del sinistro. Nell’assicurazione sulla vita, infatti, il beneficiario può limitarsi a dimostrare la morte del contraente, mentre provare che questa è avvenuta per cause che escludono l’indennizzo spetta all’assicuratore;
4) semaforo rosso anche per la previsione in base alla quale, su richiesta, vanno fornite le cartelle cliniche dei ricoveri della persona deceduta. Una facoltà di «sconfinata latitudine» sottolinea la Cassazione che, in teoria, consente all’assicuratore di chiedere anche le cartelle di ricoveri subiti in gioventù. Compito ancora una volta oneroso, per i costi di estrazione delle copie e di difficile assolvimento perché le strutture potrebbero opporre un rifiuto giustificato dalla tutela della riservatezza;
5-6) in fondo alla lista delle richieste “vietate” ci sono la produzione dell’atto di successione e dell’originale della polizza. In entrambi i casi si tratta di vincoli inutili. Il beneficio del quale si reclama il diritto non è ereditario ed è dunque irrilevante per la compagnia sapere se la persona morta aveva fatto o meno testamento.
7) inutilmente gravosa anche la richiesta della polizza originale: l’assicuratore la possiede già e per evitare pagamenti alla persona sbagliata basta verificare l’identità del richiedente.
La Suprema corte smonta la tesi della compagnia, secondo la quale il beneficiario era arrivato in ritardo nel proporre l’eccezione di nullità, per assenza di trattativa tra le parti, della clausola incriminata. In base al Codice del consumo (articolo 34, comma 5 del Dlgs 206/05) spetta, infatti al professionista provare che il contratto sottoscritto su modulo predisposto è il frutto di un accordo.
Le previsioni messe off-limits dalla Suprema corte, tutte contenute nell’atto esaminato, sono in contrasto con le norma a tutela dei consumatori e, sottolineano i giudici, prive di qualunque reale vantaggio per l’assicuratore. Se non quello di ostacolare il pagamento dell’indennizzo.
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