La vicepresidente Priolo: “Abbiamo affrontato qualcosa di difficilmente immaginabile, uno spartiacque tra passato e futuro di cui però adesso vogliamo essere i migliori interpreti. Insieme alla comunità scientifica per interventi innovativi nei territori colpiti, in un contesto su cui i cambiamenti climatici possono impattare pesantemente”. Gli esiti del lavoro della Commissione incaricata dalla Regione, coordinata dal professor Armando Brath e composta da Nicola Casagli (Università di Firenze), Marco Marani (Università di Padova), Paola Mercogliano (Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici), Renzo Motta (Università di Torino). Quanto successo a maggio ha avuto tempi di ritorno “in alcuni casi nell’ordine di qualche migliaio di anni”
“Uno spartiacque tra passato
e futuro nel settore della difesa idraulica e idrogeologica del
territorio”. A maggio l’Emilia-Romagna è stata colpita da un evento che
per portata, intensità e vastità del territorio interessato, non
ha precedenti nel passato (da quando nel 1921 si sono iniziati a
raccogliere i dati idrologici), con una “maggiore severità anche rispetto
all’alluvione del 1939”.
A metterlo nero su bianco, con un’ampia e articolata
comparazione dei dati disponibili, sono i professori Armando Brath (Università
di Bologna, coordinatore), Nicola Casagli (Università di
Firenze), Marco Marani (Università di Padova), Paola Mercogliano (Cmcc,
Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici), Renzo Motta (Università
di Torino).
La Commissione tecnico-scientifica è stata
incaricata dalla Regione - prima della nomina a commissario per la
ricostruzione del generale Figliuolo - di stilare un Rapporto sugli
eventi meteorologici estremi del mese di maggio 2023.
Delle quasi 150 pagine del documento, 98
sono dedicate all’analisi puntuale di quanto accaduto: dai 23 fiumi
esondati contemporaneamente, per un volume di esondazione stimato in circa
350 milioni di metri cubi, circa 11 dighe di Ridracoli, che ha provocato
allagamenti in pianura su circa 540 chilometri quadrati quadrati di territorio
(distribuiti pressoché nell’intera area romagnola, con interessamento anche
della regione in destra del Reno e, per il primo dei due eventi, anche dei
bacini del Panaro e del Secchia); alle 65.598 frane - scivolamenti
rapidi in terra o detrito, colate di fango, scivolamenti in roccia - censite su
un’area di 72,21 chilometri quadrati; alle 1.950 infrastrutture stradali
coinvolte da dissesto (il 3,6% dell’intero tracciato stradale delle sei
province colpite, di cui il 36,2% delle comunali e il 35,7% di quelle vicinali
a uso pubblico, e il 18,5% delle private).
“Un evento senza precedenti nella storia osservata”
scrivono gli esperti, con tempi di ritorno - grandezza statistica che
esprime la probabilità che un evento accada - “in alcuni casi molto superiori
ai 500 anni dove le esondazioni sono state più significative”. Parliamo
soprattutto dei bacini di Senio, Lamone e Montone, con un ruolo decisivo della rete
artificiale di scolo presente in pianura (reticolo di bonifica e Canale
Emiliano-Romagnolo) che ha inciso sulla dinamica di propagazione delle
inondazioni. Ancora più alta, quasi inestimabile e nell’ordine di qualche
migliaio di anni, la probabilità di accadimento dei due eventi come quello del
2-3 maggio e quello del 16-17 maggio. E proprio il susseguirsi dei due eventi
ha portato le conseguenze note dal momento che i terreni erano già saturi e
avevano impermeabilizzato i suoli che non riuscivano più a ricevere.
Elementi e considerazioni che per la ricostruzione
consigliano, anziché una semplice riproposizione di modelli di intervento
tipici del passato, di sviluppare percorsi di approfondimento
tecnico-scientifico per implementare nuove modalità di intervento e
agire su più fronti, con interventi non strutturali e strutturali.
“Abbiamo affrontato qualcosa di difficilmente
immaginabile. Ce lo dice anche la Commissione esterna, di elevato profilo
tecnico-scientifico, che abbiamo incaricato per effettuare valutazioni
specifiche e qualificate sull’evento di maggio, per aggiornare il quadro
conoscitivo e fornire indicazioni per una futura corretta gestione del rischio
idraulico e idrogeologico nella regione- sottolinea la vicepresidente con
delega alla Protezione civile, Irene Priolo-. Quello che ci restituisce,
inoltre, è un’elevata complessità che non potrà essere affrontata con un’unica
soluzione: approfondiremo le indicazioni contenute in questo Rapporto per la
pianificazione degli interventi futuri e utilizzeremo queste preziose
indicazioni tecniche per impostare la ricostruzione. L’apporto della comunità
scientifica è fondamentale, tenendo conto anche dell’orizzonte in cui ci
muoviamo, e su cui impattano pesantemente i cambiamenti climatici. Comprendere
bene gli eventi e cosa hanno significato era necessario per aiutarci ad
individuare le scelte corrette di fronte ad un evento così complesso. Bisogna
cambiare paradigma rispetto all’approccio tradizionale alla luce di statistiche
completamente stravolte”.
Caratterizzazione dei movimenti gravitanti di
versante
Dopo un’accurata analisi della caratterizzazione
idrologico-idraulica dell’evento con la valutazione dei volumi di pioggia
caduti sui bacini, anche in sede storica, il Rapporto prosegue con una sezione
dedicata alle frane. Base dell’analisi, l’accurata mappatura effettuata
dalla Regione Emilia-Romagna che evidenzia come oltre 65mila frane abbiano
completamente sconvolto il territorio. Di queste solo 576 hanno un’estensione
superiore all’ettaro ma le restanti, seppur piccole, sono caratterizzate
dall’essere veloci (si parla in tanti casi di spostamenti di metri al
secondo) e per questo molto distruttive.
Le curve della distribuzione delle frane censite, di
cui il 78,5% di neoformazione, evidenzia ancora di più l’eccezionalità di
entrambi gli eventi meteorologici, e ancor più della loro concomitanza, sia dal
punto di vista della vastissima estensione del territorio coinvolto, sia dal
punto di vista delle quantità di pioggia caduta. In particolare, l’evento
del 15-17 maggio è stato caratterizzato non solo da una maggiore
intensità ed estensione, ma anche, a differenza del primo, da condizioni
iniziali di totale saturazione dei suoli. La maggiore densità delle frane
rilevate e mappate è localizzata effettivamente nelle aree dove sono cadute le
quantità massime di pioggia nelle province di Bologna, Ravenna e Forlì-Cesena.
I principali cambiamenti dell’uso del suolo
Il Rapporto dedica poi ampio spazio all’analisi di
cambiamenti dell’uso del suolo in Emilia-Romagna nel corso degli anni e agli
elementi che possono incidere sul rischio idraulico. A partire dal ruolo
esercitato dalla copertura forestale nel prevenire o mitigare il
dissesto: “Un’azione regimante importantissima e fondamentale ma quando si
verificano eventi meteorici eccezionali la capacità di ritenzione viene
saturata”. La foresta (indipendentemente da densità composizione, struttura e
modalità di gestione) non può impedire le ondate di piena quando si verificano
eventi di intensità e durata tali da saturare l’effetto “spugna”. Gli
esperti sottolineano che la copertura forestale in Emilia-Romagna, tra il 1954
e il 2017, si è estesa su 287.543 ettari di nuova superficie (neoformazione), a
fronte di una contrazione di 58.717 ettari (deforestazione), con un
bilancio perciò nettamente a favore dell’espansione della foresta.
E poi la vegetazione sugli argini dei fiumi e
corsi d’acqua che svolge, da un punto di vista idraulico, “un ruolo di
fondamentale importanza durante gli eventi di piena: aumenta la scabrezza, cioè
la resistenza che l’acqua incontra scorrendo e quindi protegge le sponde
dall’erosione, rallenta la velocità del flusso ed intrappola sedimenti e materiali
trasportati dalla corrente”. Ragion per cui è consigliato dagli esperti un
taglio di tipo selettivo e colturale, mantenendo una copertura di alberi e
arbusti non inferiore al 20%.
Infine, la relazione tra rischio idraulico e consumo
di suolo. L’Emilia-Romagna è la regione con la maggiore superficie compresa
nelle aree a pericolosità media P2 (oltre il 45% del territorio
regionale). Un dato sovrastimato, dicono gli esperti, dal momento che
l’Emilia-Romagna, a differenza delle altre Regioni, “ha deciso di considerare
nella mappatura anche le aree che risultano allagabili da parte del reticolo
artificiale di pianura (ovvero dalla rete di bonifica), anziché soltanto quelle
interessate dall’esondazione dal reticolo idrografico naturale”, decisione che
di fatto fa ricadere in area P2 tutta l’area di pianura.
Elementi che portano gli esperti a concludere che,
oltre a proseguire nel controllo severo sul consumo di suolo, le prime e
indispensabili misure preventive di mitigazione del rischio sono la redazione e
l’applicazione di Piani forestali di indirizzo territoriale.
I cambiamenti attesi di precipitazioni negli scenari
climatici futuri
Il Rapporto, prima di passare alle conclusioni,
prende in considerazione sette bacini (Idice, Sillaro, Santerno, Senio, Lamone,
Montone e Ronco) e, tra le altre cose, estrae proiezioni climatiche dei massimi
annuali delle piogge previste per il periodo 2041-2070 sulla base di due
diversi scenari emissivi, ma evidenzia, allo stesso tempo, come questi dati
possono essere solo una prima valutazione perché analisi di questo tipo devono
necessariamente essere basate sull’uso di proiezioni fornite non da un unico
modello climatico ma da più modelli in modo da poter caratterizzare
adeguatamente l’incertezza delle previsioni.
Gli esiti dello studio
Alla luce della portata degli eventi, la
Commissione, nella parte conclusiva del Rapporto, ritiene quindi che
un’opportuna proposta operativa di gestione territoriale debba essere basata
sulla combinazione di interventi non strutturali e strutturali di
mitigazione del rischio.
Tra i non strutturali, emerge la necessità di
aumentare le attuali capacità di previsione degli aspetti meteorologici,
idraulici e idrogeologici, attraverso dati ad alta risoluzione, la costruzione
di gemello digitale idrogeologico regionale (digital twin) e l’utilizzo
dell’intelligenza artificiale e dei big data; una nuova redazione dei
principali strumenti in ambito di pianificazione; l’esecuzione di accurate
modellazioni specifiche di scenario per valutare gli effetti della rete
artificiale di scolo su inondazioni future; migliorare la pianificazione di
Protezione civile, portando a piena conoscenza di tutti cittadini sia il
sistema di allertamento che i piani, mediante esercitazioni e il pieno utilizzo
dei moderni sistemi di comunicazione; ancora, la necessità di procedere ad
attente verifiche sulla pianificazione del territorio, che vadano ad agire
sulla riduzione del consumo di suolo e il ripristino delle aree di pertinenza
fluviale.
Tra gli interventi strutturali, è sottolineata
la necessità di opere di ingegneria opportunamente progettate e realizzate,
anche attraverso l’utilizzo delle più recenti innovazioni nel settore; per
quanto riguarda le frane, occorre realizzare opere di stabilizzazione di
singoli versanti e di regimazione delle acque superficiali; per i fenomeni
alluvionali, è necessario costruire nuove opere di laminazione delle piene,
realizzare interventi strutturali indirizzati a restituire maggiore spazio ai
fiumi e predisporre nuovi piani di gestione del verde.
Il Rapporto e la presentazione dei contenuti sono
disponibili sul sito Alluvione: https://www.regione.emilia-romagna.it/alluvione
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