venerdì 6 aprile 2012

Considerazioni in merito al problema dell'eolico industriale in attesa del decreto per il nuovo sistema incentivante.


Alberto Cuppini portavoce per l’Emilia Romagna della Rete della Resistenza sui Crinali scrive:

In occasione dei lavori preparatori in sede ministeriale del decreto per i nuovi incentivi alla produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile (escluso il fotovoltaico), ci domandiamo, avvalendoci degli stessi argomenti fortemente critici in materia di energia contenuti nell'ultimo rapporto OCSE dal titolo "OECD Economic Surveys: Italy 2011",

http://www.viadalvento.org/analisi-energetica/locse-bacchetta-litalia-sullenergia/

come sia concepibile, con la bolletta elettrica più alta d’Europa, che ogni anno i cittadini e le imprese italiane finanzino i paesi produttori dei giganteschi aerogeneratori e, spesso, i gruppi finanziari esteri, a loro volta calati in Italia richiamati dagli spropositati incentivi, configurando così, ai nostri danni, una sorta di umiliante neocolonialismo tecnologico, incongruo ed obsoleto: tali incentivi non andrebbero mai concessi ad una tecnologia da tempo matura di cui ormai si conoscono perfettamente gli insuperabili limiti.

In Italia, come denunciamo da anni, il vento o manca o è insidiosamente variabile.

Oggi i dati ufficiali confermano una diminuzione della produttività su una media attorno alle 1500 ore annue di vento utile: tale valore è molto inferiore a quello necessario per ottenere il pareggio dei costi aziendali (a tacere dei ben superiori costi collettivi) per costruire un impianto industriale eolico in remote aree di montagna.

Dovremo dunque pagare questi incentivi per sempre, oppure abbandonare gli aerogeneratori quando parti importanti di tali macchine, soggette ad usura, dovranno essere sostituite.

Il tutto per favorire una tecnologia straniera, a bassissima intensità di lavoro per gli italiani degradati così al ruolo di semplici "montatori", che si inserisce brutalmente in un territorio appenninico di dimensioni relativamente ridotte ma ovunque denso di abitazioni, monumenti e bellezze naturali, accumulando così danni su danni, (al paesaggio, alla salute, per via degli infrasuoni prodotti dalle enormi pale rotanti ad altissima velocità, alla biodiversità, mettendo in particolare a rischio di estinzione l'avifauna più rara, alla stabilità geologica dei crinali etc.), a fronte di erogazioni sostitutive dei combustibili fossili risibili, e secondo alcuni con un bilancio della CO2 perfino peggiorativo.

Per sintetizzare usando le parole del rapporto OCSE: "I costi legati al sistema di incentivi per le rinnovabili sono molto maggiori delle esternalità evitate con la mancata produzione da fonte fossile".

Dubbi di natura energetica, finanziaria ed economica, assieme alle crescenti rivolte (volgarmente liquidate come manifestazioni della "sindrome NIMBY") delle comunità rurali di tutta Europa che vedono trasformare all'improvviso e senza valide giustificazioni proprio le zone più sensibili e meglio preservate dei loro paesi in colossali aree industriali, hanno portato altri Stati europei alla rivisitazione degli iniziali obiettivi fissati per l'eolico onshore, in ossequio al programma 20-20-20 per il 2020 ispirato al protocollo di Kyoto.

Uno dei primi provvedimenti del nuovo Governo spagnolo è stato proprio quello di sospendere gli incentivi ai nuovi impianti a fonte rinnovabile perchè "mantenere l'attuale sistema di incentivazione non è compatibile con la situazione di crisi economica". Poche settimane fa il Primo Ministro britannico ha affermato davanti alla Camera dei Comuni: "Taglieremo il sussidio all'eolico onshore perchè penso che sia eccessivamente incentivato ed uno spreco di denaro pubblico".

Forti dissensi cominciano a comparire anche in Germania. Viene riportato da “Der Spiegel “che l’aumento dei prezzi dell’elettricità, legato alle rinnovabili elettriche, mette in crisi l’industria tedesca.

E pensare che i tedeschi sono i principali sostenitori di queste tecnologie, essendo essi stessi i produttori di aerogeneratori e pannelli fotovoltaici, seguendo anche in questo settore la loro aggressiva politica economica export led che sta producendo i disequilibri commerciali che affliggono l'Unione Europea.

A fronte di tutto ciò sarebbe paradossale che l’eolico italiano, del tutto estraneo alle vocazioni ed alle produzioni del nostro Paese, impostoci con truffaldini miraggi, distruttore di bellezza e di speranze turistiche proprio nelle aree marginali ormai prossime allo spopolamento, continuasse nella sua marcia disastrosa, senza un rigoroso fermo di questo sperpero non più sostenibile.

Ora leggiamo con attonito stupore dalla prima stima per il 2011 del Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) sugli impianti a fonte rinnovabile che, assieme alla desolante conferma di un aumento annuo, ormai consolidato nell'ultimo quadriennio, di circa 1000 MW della potenza lorda installata per nuovi impianti eolici (cioè 600 o 700 nuovi aerogeneratori alti in media oltre 135 metri in più ogni anno sui più bei crinali italiani), lo scorso anno sono stati installati anche quasi 10.000 MW di nuovi impianti fotovoltaici, quando la massima potenza richiesta finora in Italia è stata 57.000 MW.

http://www.gse.it/it/Dati%20e%20Bilanci/GSE_Documenti/osservatorio%20statistico/Dati%20Statistici%20a%20fonti%20rinnovabili%20in%20Italia%206-03-2012.pdf

Paradossalmente questo incredibile e costosissimo sforzo nazionale sostenuto lo scorso anno per aumentare il potenziale eolico e fotovoltaico si è rivelato subito, alla prova dei fatti, un bluff del tutto inutile per affrontare la prima seria emergenza: nel momento del bisogno, non più tardi dello scorso mese di febbraio, di fronte al rischio di una riduzione dell'afflusso di gas dalla Russia che già faceva preannunciare interruzioni dell'erogazione di energia elettrica alle industrie, gli impianti eolici e FV non erano assolutamente in grado di compensare la differenza in quanto improduttivi a causa del maltempo, dimostrando così nei fatti che l'Italia ha sì enormi problemi da risolvere in termini di prezzi da pagare e di dipendenza energetica dall'estero, ma non ha nessun bisogno di queste tecnologie e di energia elettrica inefficiente e non programmabile che non può svolgere un ruolo sostitutivo delle fonti tradizionali.

Il risultato degli incentivi, nelle parole del Ministro dello Sviluppo economico, "è stato una vera e propria esplosione degli impianti e un costo molto elevato per il paese: abbiamo già maturato 9 miliardi di euro all'anno di incentivi da pagare in bolletta per famiglie ed impresa. Poichè gli incentivi durano per 15-20 anni, questo debito vale tra i 150 e i 200 miliardi".

E' facile prevedere che nel 2020, a regime, sia pure in presenza di forti riduzioni dei sussidi pubblici come già previsto, il costo del sistema incentivante di queste energie non programmabili, unitamente alla spesa per le nuove linee elettriche e per il sostegno degli impianti a turbogas che le dovrebbero supportare onde mantenere il sistema in sicurezza, dovrebbe superare, ogni anno, l'uno per cento del PIL.

Ma quello che più ci ha colpito dalla suddetta stima del GSE è che il rapporto tra produzione lorda da impianti FER e consumo interno lordo è balzato nel 2011al 24,50%.

L'obiettivo fissato dal Piano di Azione Nazionale presentato nel settembre 2010 al vaglio dell'Unione Europea prevedeva un valore obiettivo al 2020 per questo rapporto al 26,39%.

Questo significa che, anche se fossero sospese da subito ulteriori installazioni di impianti a energia rinnovabile, tale valore obiettivo vincolante sarebbe raggiunto già quest'anno per inerzia, considerando la produzione a pieno regime degli impianti costruiti nell'ultimo anno, anche mantenendo costante la scarsissima produzione da idroelettrico causata dalla siccità dello scorso anno ed evitando di aggiungere al totale l'energia importata da impianti FER all'estero (ipotesi ammessa, percorribile e perfettamente logica, sia da un punto di vista finanziario che ambientale) che pure dovrebbe essere considerata nel totale.

L'imprevista (in queste dimensioni) espansione del fotovoltaico ha dunque permesso di raggiungere l'obiettivo del 26,39% con otto anni d'anticipo: poichè il PAN ribadisce ripetutamente che "non sono fissati obiettivi/obblighi annui per tecnologia", si può procedere alla soppressione o, almeno, ad una fortissima riduzione degli incentivi all'eolico, accompagnando il provvedimento da una ben più rigorosa regolamentazione degli impianti eolico-industriali rispetto a quanto previsto dalle insoddisfacenti linee guida del 2010 e dai successivi provvedimenti delle Regioni, in analogia al recente provvedimento ministeriale per l'esclusione dei pannelli fotovoltaici dai suoli agricoli.

A maggior ragione, ora che è stato raggiunto l'obiettivo della produzione elettrica da FER, concordiamo con l'opinione del Presidente dell'Autorità per l'energia elettrica che, piuttosto che concentrare gli incentivi sulle energie rinnovabili più costose, ovvero le elettriche, sia "opportuno diversificare il mix offrendo maggiore sostegno alle rinnovabili termiche e all'efficienza energetica", anche per restituire dignità ai settori dove si concentrano le eccellenze dell'industria italiana.

Per tutti questi motivi ci lascia perplessi la bozza del decreto del Ministero dello Sviluppo previsto dal D.L. 3/3/2011 n. 28 per attuare la riforma degli incentivi.

La vera emergenza è la fissazione del limite massimo a 5,5 miliardi annui (art. 3 comma 2) per le rinnovabili extra FV. E' una cifra spropositata, indipendentemente dal fatto che il risultato promesso dal Governo italiano alla UE con il PAN sarà raggiunto già quest'anno. Posto che il decreto (art. 1 della bozza) "ha la finalità di sostenere la produzione dell'energia elettrica da fonti rinnovabili in misura adeguata al perseguimento dei relativi obiettivi, stabiliti nei Piani di azione per le energie rinnovabili di cui all'art. 3, comma 3, del D.L. 28 del 2011, attraverso la definizione di incentivi e modalità di accesso semplici e stabili, che promuovano l'efficacia, l'efficienza e la sostenibilità degli oneri di incentivazione", una volta raggiunti tali obiettivi, le altre considerazioni non competono più a questo testo di legge. Per questo particolarmente insidiosa (ancorchè fuori contesto e perciò da fare sopprimere a tutti i costi) è l'affermazione di preambolo (a pag. 3 dell'ultima bozza di aprile) secondo cui "si ritiene che il nuovo target di energia elettrica da fonte rinnovabile al 2020 possa essere posto a 140 TWh, che coprirebbe una quota di circa il 35" (In realtà sarebbe oltre il 40%) dei consumi attuali. E' un autentico colpo di mano: un cavallo di Troia che verrebbe fatto pesare in seguito per sempre maggiori pretese. Il sacrifici sostenuti dalla collettività nazionale per pagare gli incentivi servono al raggiungimento dell'obiettivo del PAN, non per altro, in un susseguirsi di richieste di denaro senza fine. Questo, unitamente alla disponibilità dei 5,5 miliardi, che potrebbero essere interpretati come un minimo di spesa obbligatorio, e alla possibilità concessa al FV di sfondare il tetto di spesa stabilito solo un anno fa, comporterebbe di fatto "l'innalzamento dell'asticella" (per quello che riguarda la produzione delle rinnovabili elettriche) al target del 30 e non più al 20% (in realtà il 17) della produzione di energia da rinnovabili rispetto al consumo energetico complessivo interno, contrariamente a quanto previsto dal PAN e in omaggio ai desideri più inconfessabili delle lobby. Sempre per questo motivo è stato aggiunto nel preambolo (in aperto contrasto con il PAN che prevedeva esplicitamente apporti di energia da rinnovabile importata per giungere all'obiettivo del 17%), sempre a pag. 3 della bozza: "la maggiore produzione nazionale di rinnovabili rispetto al PAN esclude l'utilità di ricorrere a progetti comuni con paesi terzi a meno che le condizioni non siano davvero più favorevoli" (sic). Anche questa frase non è pertinente e del tutto inaccettabile.

Qualcuno ha evidentemente deciso di inserire di straforo nel testo la propria idea di trasformare l'Italia addirittura in un paese esportatore di elettricità da rinnovabili, incentivata con i principeschi sussidi statali pagati dai consumatori. Non possiamo più tollerare queste crescenti ed irragionevoli pretese.




2 commenti:

Anonimo ha detto...

Chi mi assicura che i contrari alle fonti rinnovabili non siano foraggiati dai petrolieri?
Una soluzione potrebbe essere togliere qualsiasi aiuto alle rinnovabili, ma permettere a chiunque di installare ovunque impianti per energia rinnovabile. Quando uno deve sborsare i denari di propria tasca e senza aiuti, ci pensa due volte a fare impianti che lavorano in perdita.
Tutto ciò che può realmente servire a tagliare gli artigli ai petrolieri mi sta bene, sono esseri indegni, il GPL al 03/01/12 costava € 0,715/litro , al 05/04/12, dopo circa 3 mesi costa € 0,879/litro pari ad un aumento di + 22,93%.

Anonimo ha detto...

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