mercoledì 8 novembre 2023

La difesa del territorio, prima opera pubblica


L’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI) comunica:

 

"Superata un’emergenza idrogeologica che, stante la nuova fase climatica planetaria, si ripete con cadenze sempre più brevi sulla Penisola ed esprimendo grande dolore per le ennesime vittime, chiediamo al Paese, ad ogni livello, una riflessione: può esserci sviluppo sociale ed economico senza sicurezza da frane ed alluvioni?” 

La rottura dell'argine del torrente Idice del maggio 2023



A porre una questione divenuta drammaticamente prioritaria è Francesco Vincenzi, presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI), che prosegue: “è centrale chiederselo, perché la domanda chiama la politica a scelte fondamentali, come assumere la salvaguardia del territorio quale prima opera pubblica, di cui l’Italia ha bisogno e porre concretamente le infrastrutture idrauliche fra gli asset strategici per il Paese. Non è vero che non si fa nulla, ma manca una visione programmatoria di ampio respiro, accompagnata da adeguati finanziamenti, così come è necessario accelerare gli iter procedurali nel pieno rispetto delle normative di legge, perché coi ritmi attuali si inaugurano opere già superate dagli eventi.”  

“Dall’emergenza meteo, che ha colpito l’Italia dopo avere flagellato la Francia - aggiunge Massimo Gargano, direttore generale ANBI  - emerge nitida l’importanza dei bacini di raccolta delle acque, che hanno intercettato, in Veneto ed Emilia Romagna, le ondate di piena, preservando i territori e le loro economie da disastrosi allagamenti. Drammaticamente nuova, invece, è la situazione registrata nelle zone alluvionate della Toscana, dove le aree di espansione delle piene sono state rapidamente colmate da una massa d’acqua superiore a quella dell’alluvione del 1966. Ne consegue la necessità di aumentare la capacità idrica del territorio con nuove infrastrutture idrauliche, ad iniziare da bacini multifunzionali, efficientando al contempo l’esistente.” 

Attualmente il maggior numero di bacini è nel Sud Italia con Basilicata, Sicilia, Puglia e Sardegna, leader nazionali. Ma quanti ne servirebbero per garantire maggiore sicurezza idraulica al Paese, assicurando al contempo riserva idrica per agricoltura ed energie rinnovabili? Lo si evince, analizzando i Piani redatti da ANBI nel corso degli anni recenti. 

Il Piano Nazionale Invasi, presentato nel 2017, prevede 2000 piccoli e medi bacini lungo la Penisola per un investimento complessivo di 20 miliardi di euro; il maggior numero (73) è allocato in Veneto, ma sono i 7 importanti bacini individuati per la Calabria a necessitare dei maggiori investimenti (527 milioni di euro). E’ del 2019, invece, il Piano Nazionale di Efficientamento della Rete Idraulica, che indica la realizzazione di 23 nuovi bacini (13 nel Nord Italia), grazie ad un investimento di circa 1 miliardo e 230 milioni di euro; oltre a ciò si prevede il completamento di altri 16 invasi (6 al Centro ed altrettanti nel Sud Italia) per un spesa di poco superiore ai 451 milioni.  

Ad accompagnare queste opere serve il ripristino della piena efficienza per ulteriori 90 serbatoi già esistenti, ma limitati nella capacità dalla presenza di una notevole quantità di sedime sul fondo: servirebbero quasi 291 milioni di euro per “regalare” un 10% in più di capienza idrica. Infine, più recente è il Piano Laghetti, redatto da ANBI con Coldiretti: puntando a realizzarne 10.000 nei prossimi anni, ci sono già circa 300 progetti cantierabili per un investimento complessivo di oltre 4 milioni di euro. 

“E’ questa la cronologia del nostro impegno costante e programmatorio a tutela di un territorio quanto mai fragile di fronte alla crisi climatica – ricorda il presidente Francesco Vincenzi - Ancora una volta mettiamo questo parco progetti a servizio del Paese soprattutto ora che, di fronte all’emergenza meteo del ciclone Ciaran, è evidente a tutti la fondamentale funzione dei bacini di espansione e raccolta delle acque. Non solo: ricordiamo che intervenire in prevenzione costa 5 volte meno che riparare dopo catastrofici eventi e che, dati alla mano, Stato ed enti pubblici riescono a rifondere solo il 10% dei danni, senza considerare lo stop allo sviluppo locale, che un’alluvione comporta. Al di sopra di tutto, comunque, c’è la perdita di vite umane”.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Togliere i troppi enti inutili. Messi lì x burocrazia. Il semplice cittadino non può fare nulla. Perché arrivano multe a valanga.branco di incompetenti, solo messi li dai partiti. Date possibili di fare qualcosa