La
ragazza che sorrideva dalla finestra, insieme alle sue sorelle Ida e
Gabriella, non c’è più. La casa dove ha vissuto per parte degli
anni della seconda guerra mondiale, oggi è un sito di interesse
storico nel cuore del parco di Monte Sole, e il suo sguardo in
qualche modo è rimasto sempre lì. Anche ora che Salvina Astrali,
come si dice tra i vecchi, è andata avanti. Lei, sopravvissuta ad
una delle albe più buie della storia d’Italia, da lì però non se
ne è mai andata davvero. Il suo volto, assieme a quello delle sue
sorelle, che morirono durante l’eccidio, fu scelto a fine anni ’90
per essere ricordato, in uno dei vari pannelli informativi
posizionati all’interno del Parco, a testimonianza di un tempo che
fu. L’immagine che la ritrae fu scattata nel 1939 a Caprara di
Sopra, un piccolo caseggiato dove la sua famiglia aveva vissuto ed
era tornata a stare poco prima di quel maledetto 29 settembre 1944.
Quando fascisti e nazisti salirono in questo piccolo fazzoletto di
Appennino per massacrare, in un attacco premeditato, l’intera
popolazione civile. Donne, vecchi e bambini compresi.
La
storia
Salvina
con il marito Augusto Iubini e la figlia Lucia
Salvina
Astrali è nata nel 1928 a San Martino, nel giorno in cui morì sua
nonna, in una famiglia di contadini. Da lì poi si spostarono per
arrivare qualche anno dopo a Caprara di Sopra, in una casa di
proprietà del padrone terriero della zona, che allora era tutta
mezzadria. Fu proprio qui che sua madre, le sorelle Ida e Gabriella,
poco più che ventenni, e la piccola Anna Rosa di undici anni furono
trucidate. Salvina quella mattina si salvò perché la sera del 28
settembre era scesa a recuperare il bestiame a Villa d’Ignano,
qualche chilometro più a nord, da dove il giorno prima della strage
la sua famiglia era sfollata, temendo altri rastrellamenti. Oltre a
lei, sotto i corpi dei morti si salvarono altre due sorelle, Paola e
Maria, che, come spiegò Salvina, «rimasero talmente scioccate da
non poter più tornare a vivere come normali cristiane».
L’impegno per non dimenticare
Tutta
la sua storia Salvina Astrali non ha mai smesso di raccontarla,
decidendo anche di testimoniare nel 2006 al processo di La Spezia, il
primo dopo 62 anni dal fatto, durante il quale furono condannati
all’ergastolo dieci dei 17 imputati, tutti non presenti al
processo, per la strage di Monte Sole. «Paola e Maria - spiegava -
rimasero con la mamma e le altre sorelle sotto i cadaveri per tutta
la giornata. Raccontarono che si erano salvate perché si era
ribaltata una vetrina ed erano rimaste dietro. Mi hanno raccontato
che sentivano urlare, i tedeschi avevano chiuso la gente nelle
cascine e poi tirato dentro le bombe a mano. Avevano messo una
mitragliatrice sulla finestra per massacrare chi fosse rimasto in
vita, e sparavano a raffica. Spararono finché i bambini non piansero
più. Le mie sorelle restarono mute, sotto quella montagna di
cadaveri. Loro hanno sentito che fuori c’era della gente che
parlava anche in italiano. Quelli che sparavano non erano tutti
tedeschi, c’erano anche degli italiani, i repubblichini. Ero
rimasta solo io a dover accudire le mie sorelle e mio padre, che
erano tutti feriti. Avevo 14 anni. Nessuno di noi tornò più a
Caprara, sapevamo che erano tutti morti».
La testimonianza
Una
testimonianza che Salvina, sia durante il processo che in tanti
video, come quello realizzato dalla Fondazione Scuola di Pace «Quello
che abbiamo passato», e in diversi incontri con i ragazzi, non ha
mai smesso di raccontare. Fino ad una delle sue ultime apparizioni
pubbliche in occasione del 25 aprile a Monte Sole, nel 2014, come
ricorda la Fondazione Scuola di Pace: «Salvina ha da sempre
sostenuto il lavoro che portiamo avanti: ci ha raccontato, ci ha
spronato, ci ha aiutato a capire. Veniva spesso a trovarci, e
l’ultima volta è stata in occasione del 25 Aprile Monte Sole -
Marzabotto Percorsi Antifascisti 2014 quando, accettando l’invito
di Enrica e Gianluca di Archivio Zeta, ha vestito i panni di Tiresia
(un indovino della mitologia greca, ndr), esortando tutti noi a non
fare della memoria un semplice esercizio di stile, ma a renderla
forza generatrice di cambiamento. Cara Salvina, ci mancherai
tantissimo».
Da
Dubbio, l'articolo è di Francesca Candioli
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