Da
La Voce di Venezia. Segnalato.
Potete
immaginarvi milioni di operai e di impiegati sessantenni e forse
settantenni che lavorano ancora in attesa della pensione? Pensate
all'operaio di una catena di montaggio che deve stare attento a che
la dentiera non cada negli ingranaggi dei macchinari sopra i quali
lavora. Oppure immaginate l'impiegato di età avanzata che fa lo
straordinario di sera in ufficio e che deve andare spesso in bagno?
E’
verosimile ritenere che, nel lungo periodo, la mia pensione dipenda
realmente e principalmente dagli anni di contribuzione e
dall’ammontare dei contributi versati?
Molti
oggi si preoccupano a causa della relazione tra contributi versati e
pensione futura e tentano di fare calcoli, simulazioni e «congetture»
sull’ammontare del trattamento previdenziale che riceveranno,
consultando spesso i più svariati siti internet in materia. Altri
guardano con crescente timore all’inevitabile aumento dell’età
pensionabile che potrebbe salire anche sopra la soglia dei
settant’anni. I giuristi «si perdono» con i loro sterili discorsi
sui diritti acquisiti e sull’intangibilità degli stessi. Quante
sono le illusioni che la mente umana riesce a generare, mentre il
problema reale passa quasi inosservato!
Tutti
ragionano con schemi passati che presto svaniranno. Nessuno, infatti,
considera la variabile più importante nel calcolo della pensione
futura. Essa non è di certo costituita dall’ammontare dei
contributi versati né dall’età né dai diritti acquisiti, ma
dalla necessità di garantire la «pace sociale». La Storia insegna
che il diritto acquisito (anche se «di origine divina») è «aria
fritta» davanti alla potenza ignea delle masse affamate che, come il
magma, possono travolgere e riplasmare ogni cosa. Le teste sacre dei
Re di Francia sono cadute. Lo santa persona dello Zar è finita nella
polvere. Figuriamoci la fine che può fare un diritto acquisito di
tipo previdenziale di un semplice cittadino calcolato sulla base di
una serie di versamenti!
Basta
ragionare con gli schemi passati! Pensiamo al domani!
Vent’anni
da oggi. Mondo del futuro. Potete immaginarvi milioni di operai e di
impiegati sessantenni e forse settantenni che lavorano ancora in
attesa della pensione? Pensate all’operaio di una catena di
montaggio che deve stare attento a che la dentiera non cada negli
ingranaggi dei macchinari sopra i quali lavora. Oppure immaginate
l’impiegato di età avanzata che fa lo straordinario di sera in
ufficio e che deve andare spesso in bagno per problemi alla prostata.
Inoltre, ricordate le discriminazioni sulla base dell’età. Provate
oggi a cercare un’occupazione a quarant’anni e vedrete quanto
efficiente e inclusivo è il mercato del lavoro! Immaginatevi a
sessanta o settant’anni! Pensate alla facilità con cui è
possibile licenziare dopo le recenti riforme. Che impresa vorrà
avere personale di cinquanta e sessanta anni quando esiste già oggi
una marea di giovani da cui attingere la forza-lavoro? E i precari e
le Partite IVA? Fino a che età lavoreranno e che pensioni avranno?
Soprattutto ci si deve porre due domande: chi sosterrà i consumi
quando «si esauriranno» i pensionati e i lavoratori «vecchio
stampo» (con salari alti, lavori stabili e relative pensioni
elevate)? Che effetti dirompenti avrà il crollo dei consumi
sull’occupazione?
Tutto
il nostro sistema pensionistico ormai è nulla di più di un sofismo
basato su schemi di altri tempi e destinato a infrangersi contro il
cambio di tipo di economia come acqua sugli scogli.
In
un sistema chiaramente insostenibile nel lungo periodo (povertà
crescente, disoccupazione e sottoccupazione strutturali con
situazioni sociali incontenibili), lo Stato dovrà (a pena di una
rivoluzione o comunque di una situazione socio-economica
intollerabile) garantire dei redditi di sussistenza alla gran parte
degli anziani del futuro, siccome le vecchie logiche (prima
retributive e oggi contributive) non saranno in grado di fornire
pensioni dignitose a un numero sufficiente di cittadini. Ne
conseguirà una tendenza al livellamento dei trattamenti
pensionistici. Pertanto, chi avrà versato 40 anni di contributi si
troverà a percepire una pensione non molto più alta da chi ne avrà
versato 20 a parità delle altre condizioni (con le probabili
eccezioni della classe politica e della casta ad essa collegata degli
alti funzionari dello Stato che si riserveranno comunque dei
trattamenti previdenziali di tipo superiore).
In
parole semplici ed elementari e con un esempio: «togliere» 100 Euro
al mese dalla pensione di 1100 Euro (con una serie di indecifrabili
Leggi con articoli di 100 commi ciascuno in materia
fiscale/previdenziale) per finanziare un sistema di reddito
universale servirà a ridurre i casi di
precari/sottoccupati/pensionati «affamati» che potrebbero
«sbandarsi» e diventare socialmente pericolosi. Ovviamente i 100
Euro dell’esempio verranno «tolti» pian piano, anno dopo anno,
attraverso le «pieghe normative» di un sistema
tributario/previdenziale oscuro ai più. In questo consisterà la
tendenza al livellamento generale dei trattamenti previdenziali
futuri (attuato sotto forma di pensioni o di interventi di sostegno
al reddito comunque denominati), non in raffinati modelli
matematico-previdenziali!
Ci
sono dei rimedi per evitare il tracollo economico e questo
livellamento (sicuramente ingiusto per chi ha versato molti più
contributi)?
Sì,
eccone alcuni:
1) acqua, gas, elettricità e servizi pubblici essenziali erogati a prezzi di poco superiori al relativo costo come ai tempi delle municipalizzate comunali;
2) case popolari dignitose e soprattutto economiche (non solo in termini di canone di locazione, ma anche con riferimento alle bollette e ai costi condominiali);
3) tutela della produzione nazionale;
4) drastica riduzione del sistema delle cooperative, del lavoro interinale e di altre forme di esternalizzazione dei costi aziendali che vanno a scapito della retribuzione del fattore lavoro;
5) lotta alla speculazione finanziaria;
6) lotta all’evasione fiscale dei grandi contribuenti (che non serve di certo a sostenere i consumi, ma a spostare immensi capitali in paradisi fiscali).
1) acqua, gas, elettricità e servizi pubblici essenziali erogati a prezzi di poco superiori al relativo costo come ai tempi delle municipalizzate comunali;
2) case popolari dignitose e soprattutto economiche (non solo in termini di canone di locazione, ma anche con riferimento alle bollette e ai costi condominiali);
3) tutela della produzione nazionale;
4) drastica riduzione del sistema delle cooperative, del lavoro interinale e di altre forme di esternalizzazione dei costi aziendali che vanno a scapito della retribuzione del fattore lavoro;
5) lotta alla speculazione finanziaria;
6) lotta all’evasione fiscale dei grandi contribuenti (che non serve di certo a sostenere i consumi, ma a spostare immensi capitali in paradisi fiscali).
Queste
cinque politiche da sole potrebbero alleviare le sofferenze di intere
sezioni della popolazione italiana e rilanciare l’economia.
Altrimenti, nel lungo periodo sarà inevitabile che «chi non ha vada
a prendere da chi ha». Questo «spossessamento» potrà attuarsi in
tre forme: direttamente per strada -furto/rapina ovverosia stato di
natura-, rivoluzioni sociali -radicale cambiamento
dell’establishment-, o attraverso la mediazione dello Stato
-estensione di una forma di reddito universale in situazioni
insostenibili (e le situazioni insostenibili non saranno più
l’eccezione, ma rischieranno di diventare la regola in un mondo in
cui il lavoro è strutturalmente scarso e poco retribuito-).
In
questo contesto, non saranno di certo le sentenze sui diritti
acquisiti della Corte Costituzionale o i modelli pensionistici
sviluppati attraverso i software dell’INPS a fermare tale movimento
epocale. Giurisprudenza costituzionale e modelli INPS sono «aria
fritta» rispetto alla necessità di garantire la «pace sociale».
Statene certi! Sarà Il costo della «pace sociale» a incidere sul
sistema previdenziale più di ogni altro fattore!
Ma,
a ben vedere, è sempre stato così! Per quale motivo sono stati
assunti milioni di dipendenti pubblici, riconosciuti salari alti,
lavori stabili e pensioni elevate per decenni (creando un «abisso»
nelle casse dello Stato) se non per garantire la «pace sociale» (e
all’epoca anche il benessere sociale) in tempi in cui i ceti
dominanti temevano una rivoluzione di tipo socialista (quanto meno
dagli Anni Quaranta in poi)?
Il
costo della «pace sociale» è la «tangente» che i ceti dominanti
(attraverso lo Stato che controllano) sono pronti a riconoscere al
popolo per poter rimanere nella propria posizione apicale. Un tempo
tale costo era elevato siccome il popolo era politicamente
organizzato, vivo, pulsante e abituato a un tenore di vita crescente.
Oggi l’economia è satura; lo Stato indebitato; il popolo morente,
stanco, depresso. Di conseguenza, il costo della «pace sociale»
sarà in futuro pari al costo di mera sussistenza della gran parte
della popolazione. E questo aspetto non potrà non coinvolgere anche
il sistema previdenziale che sarà improntato a livelli di mera
sussistenza universale (non più di benessere generale) al fine di
garantire la «pace sociale».
Avv.
Gianluca Teat
4 commenti:
Ottima analisi, avv. Teat; si ritornerà ben presto alla mentalità degli anni '50,quando, i ciechi seguaci del "socialismo reale", guardando le auto e le belle case dei cosidetti "padroni", dicevano: "Quando andremo al governo noi, quella macchina lì sarà mia, quella casa lì sarà della mia famiglia ecc. ecc." E' una mentalità che, in modo strisciante, sta già ritornando, e l'ho verificato io stesso, con le mie orecchie!
La realtà della pensione che fa tanto discutere ma che non ci sarebbe proprio niente da dire è che i governi non vogliono più dare niente a nessuno tantomeno una pensione futura, il loro progetto è quello di far morire di stenti e di lavoro le genarazioni future e quelle presenti. La vita sociale non è migliorata la salute e l' assistenza sanitaria è peggiorata già il ceto medio non si cura più la prevenzione viene fatta dai ricchi. Questo significa che chi ci governa spera che i lavoratori CREPINO prima della pensione. Altro che speranza di vita......la speranza è di far morire la gente tra i 60 o i 70 anni. Altrimenti i politici con cosa mantengono il loro tenore di vita, dei loro figli dei loro zii, cugini,compresi stipendi, pensioni d' oro e vitalizi ????
Quindi andare a votare vuol dire andare a ......
più o meno......
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