Pubblichiamo il risultato di una indagine molto interessante di Claudio Evangelisti sui fatti accaduti a Ca’ Del Bue durante l’occupazione tedesca. Il racconto risulta particolarmente importante poiché tratta di tutte le parti coinvolte in modo, ci pare, libero da ogni condizionamento e dimostra, come sapientemente descritto nel film di Giorgio Diritti ‘L’uomo che verrà’, che il conto più salato della guerra lo pagarono gli innocenti civili, colpevoli unicamente di essersi trovati nel luogo sbagliato, nel momento sbagliato . La testimonianza è tratta da una ricerca svolta sui ricordi degli anziani sopravissuti alla 2° guerra mondiale, in particolare dell'unico testimone ancora vivo che racconta l'eccidio avvenuto nel 1944 tra Monte San Pietro e Marzabotto dove vengono svelati alcuni nuovi particolari e l'identità del responsabile dell'attacco alla pattuglia tedesca che scatenò la rappresaglia a Cà del Bue.
1944 La verità sulla rappresaglia di Cà del Bue
“Erano circa le 9 di mattina del 5 agosto del 1944 quando sentimmo delle raffiche di mitra provenire dalla cima di Tramonti dove si era insediata la base partigiana della 63° brigata Garibaldi Bolero. Poco prima erano transitati vicino al nostro podere 4 soldati tedeschi a cavallo che si erano diretti in quella zona”. Così inizia il racconto di Ruggero Neri classe 1936, unico testimone ancora vivente dell’eccidio di Cà del Bue. Ma cosa era successo quella mattina? I soldati tedeschi a cavallo, provenienti dal comando di Montasico si erano incautamente inoltrati nei boschi al confine tra Monte San Pietro e Marzabotto, dove i partigiani erano stati colti di sorpresa, essendo ancora intorpiditi dal sonno o indaffarati nelle quotidiane attività mattiniere. Probabilmente si sarebbero potuti prendere prigionieri i 4 tedeschi, anche perché c’era l’ordine di non sparare ai tedeschi se non costretti, proprio al fine di evitare rappresaglie sulla popolazione e pochi giorni prima a San Chierlo il comandante Marino aveva ottenuto una tregua con i tedeschi. Ma con i se e con i ma non si fa la storia e quindi, il partigiano di guardia non ci pensò più di tanto: sparò “al tòdasch” più vicino che cadde fulminato con il suo povero cavallo ferito alla coscia mentre gli altri tre tedeschi riuscirono a fuggire, dando l’allarme al comando. Nel frattempo Attilio Neri, che aveva udito le raffiche di mitra, capì subito che era successo quello che non avrebbe dovuto succedere e ordinò a suo figlio Ruggero di quasi 9 anni, protagonista di questo racconto, d’andare a mettersi di guardia sul prato sopra casa per vedere se dall’altra parte della collina i Buganè stendevano alla finestra il lenzuolo bianco. Quello era il segnale convenuto tra le due famiglie per avvisare dell’imminente arrivo di soldati tedeschi. Alle 11 e 30 Ruggero vide il lenzuolo appeso alla finestra dei Buganè e corse ad avvisare la sua famiglia che si apprestava a pranzare: “Il nonno Dionigio si rifiutò di uscire di casa- racconta Ruggero- non aveva mica paura dei tedeschi lui, mentre mio padre mi prese sotto braccio e di corsa andammo a Cà Corticelli dal nostro vicino Francesco Betti per avvisarlo del pericolo”. Mentre i due correvano nel campo dei Betti, videro alla loro sinistra la colonna dei tedeschi provenienti da Montasico a mezz’ora di cammino da loro e il Betti che era nell’orto: “ Francesco!- urlò il papà di Ruggero - arrivano i tedeschi!”. Francesco Betti era un soldato del dissolto Regio esercito proveniente dalla campagna militare di Croazia e aveva ottenuto il congedo perchè era rimasto l’unico della sua famiglia a poter coltivare il podere. A casa Betti c’era la moglie che aveva appena partorito una bella bimba di 12 giorni e altri due figli piccoli. I tedeschi non se la sarebbero presa con donne e bambini, sarebbe bastato che lui si nascondesse ma non se la sentiva di lasciar sua moglie e i suoi figli in balia dei soldati. Ci pensò Attilio Neri a convincere Betti: “Te Ruggero – disse mio papà- và da tua madre e dille di venir qui a badare la moglie di Betti”. Mentre Ruggero si precipitava giù a casa per riferire il messaggio alla mamma, il Betti perse tempo prezioso nel voler andare a prendere la giacca in casa “perché non si può mica sapere per quanto tempo si sta alla macchia”. Quella decisione costò molto cara al Betti: mentre Attilio Neri lo aspettava ai margini del podere, vide che la casa veniva accerchiata da una squadra di tedeschi provenienti da Vedegheto e prontamente si nascose riuscendo a scivolare dentro il bosco. Francesco Betti fu prelevato insieme a moglie e figli, così come furono presi tutti quelli della famiglia di Ruggero Neri ad eccezione del papà Attilio che era riuscito a nascondersi: “Il nonno Dionigio fu portato via mentre stava dando la prima forchettata alla sua tagliatella, - racconta Ruggero- così come furono prelevate la mamma e la nonna. La zona era piena di tedeschi e i partigiani se ne erano andati”. Tutti i rastrellati furono portati nel vicino podere di Cà del Bue e gli uomini furono separati dalle donne. “Il comandante Tedesco ci portò a vedere il cadavere del tedesco al quale avevano appuntato sulla divisa la foto della moglie e dei figli mentre il cavallo ferito si dimenava agonizzante tra nitriti spaventosi; Francesco Betti prese la sua bimba di 12 giorni in braccio per vedere se i tedeschi lo risparmiavano, ma la bimba gli venne strappata dalle mani e riconsegnata a sua moglie. Il Betti doveva aver già vissuto questi rastrellamenti come soldato là in Croazia perché aveva già capito come sarebbe andata a finire”. Infatti quando il comandante di Montasico che voleva assolutamente vendicare il suo camerata prelevò i sei uomini destinati alla fucilazione, Betti si mise come capofila, pronto ad approfittare della prima circostanza favorevole. Quando arrivarono al limite del castagneto, l’uomo scappò verso il bosco e una prima raffica lo mancò ma la seconda lo prese alla testa uccidendolo quando si era già addentrato nella macchia. “Gli altri 5 con il nonno Dionigio furono fatti allineare tra il castagneto e il campo arato di Cà del Bue e mentre la mamma mi copriva gli occhi furono uccisi”. Subito dopo Ruggero insieme alla mamma, la nonna con le altre donne e bambini rastrellati in zona, furono portati a Montasico e rinchiusi nella stalla di Cà Comastri insieme ad altri ostaggi che erano stati catturati da una terza squadra tedesca proveniente da Luminasio. Sarebbero dovuti essere disponibili come ostaggi da sacrificare nel caso in cui i successivi rastrellamenti (che andarono avanti per una settimana) avessero avuto delle vittime tedesche. “Per fortuna il comandante tedesco era in buoni rapporti con mio zio che era l’oste di Montasico e dopo che l’ufficiale seppe d’aver fatto fucilare suo padre Dionigio, fece liberare per prima mia nonna e due giorni dopo liberarono anche me insieme a mia madre. Dopo qualche giorno furono liberati anche tutti gli ostaggi provenienti da Luminasio”. Alla fine della guerra Ruggero venne a sapere da suo zio che il giovane tenente tedesco Heinrich Losk, comandante di Vedegheto, che già in precedenza aveva salvato degli ostaggi a Sibano aveva ricevuto l’ordine di eliminare 13 civili: 10 per il tedesco morto e 3 per il cavallo. L’ufficiale riuscì a limitare la condanna e a suo rischio si limitò a verbalizzare che erano stati uccisi 13 ostaggi anziché i 6 di Cà del Bue. Successivamente il biondo tenentino tedesco, che in uno di quegli uomini uccisi gli parve di vedere suo padre, rimase così sconvolto e disgustato da chiedere di tornare al fronte dove trovò la morte a Pianoro. Quello che non è mai stato accertato ufficialmente è chi fu il partigiano che uccise il soldato tedesco, ma dai racconti e dalle testimonianze raccolte, il nome che circola con insistenza è ben noto agli abitanti di quelle zone che ancora oggi ne discutono, sostenendo che quel gesto poteva essere evitato. Don Dario Zanini nel suo celebre “Marzabotto e dintorni” tenne volutamente celato per cristiana riservatezza, con la sigla P.R., il nome dell’uomo che provocò la rappresaglia. Per amore della verità e della storia, senza nessun becero revisionismo di sorta e con tutta la solidarietà alla nostra Resistenza che scrisse pagine gloriose e tragiche comunico che Vox Populi afferma sia stato Preci Ruggero di Monte Pastore a ferire mortalmente il tedesco e a permettere agli altri tre suoi camerati di fuggire, dando così l’allarme al comando germanico di Montasico. Il Preci che fu prima repubblichino e che poi si diede alla macchia con i partigiani della “Bolero” fu sentito più volte vantarsi dell’uccisione del tedesco, salvo poi ricusare tale azione. A Don Zanini disse: <”Eravamo nascosti in mezzo al bosco, sopra Cà di Bue. All’improvviso vidi sbucare un tedesco a cavallo e istintivamente sparai a ripetizione. Io e i miei compagni poi scappammo e ci salvammo. Di tedeschi ce ne dovevano esser altri, ma io vidi solo quello”. Il Preci fu visto anche partecipare qualche volta alla commemorazione dei defunti, ma fu vero pentimento o era lì solo per accompagnare una figlia delle vittime che per ironia della sorte sposò? Un particolare commovente che fotografa la tragedia di quel 5 agosto del ‘44 è quel tavolo con il piatto di tagliatelle del nonno Dionigio ormai ammuffite su cui la nonna di Ruggero Neri pianse al ritorno da Montasico.
Claudio Evangelisti
1 commento:
IL FATTO PIU' IRRITANTE E' SEMPRE IL TENTATIVO DEI COMUNISTI ( MILITANTI E STORICI) DI NEGARE L'EVIDENZA : ERANO RIVOLUZIONARI , VOLEVANO LA LOTTA DI CLASSE ( COME INSEGNA IL COMUNISMO) PER PRENDERE IL POTERE ( CON LA VIOLENZA , CHE PER UN RIVOLUZIONARIO E' " LA LEVATRICE DELLA STORIA) E NON HANNO MAI DISDEGNATO DI SACRIFICARE ANCHE MILIONI DI VITE PER " CREARE L'UOMO NUOVO , LA FINE DELLO SFRUTTAMENTO CAPITALISTICO ,UN ERA DI FELICITA'PER TUTTA L'UMANITA'": SI SONO SBAGLIATI : HANNO SPOSATO UN SOGNO E SI SONO TROVATI A REALIZZARE UN INCUBO CHE SI E' INVERATO IN SISTEMI CHE DEFINIRE CRIMINALI SAREBBE UN EUFEMISMO.SE LO AMMETTESSERO DIMOSTREREBBERO ALMENO
UNA QUALCHE DIGNITA' PUR NEL DRAMMA DEL LORO ERRORE .
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