domenica 7 ottobre 2018

C'è un tesoro in un'isola dell'Appennino. Si chiama 'rosa romana'.

La mela rosa romana qui è d'eccezione. Cresce solo in questo habitat ed è il risultato di una felice interazione fra ambiente e genetica. Il potenziale è enorme. Merita il marchio di Rosa Romana Appennino”.
Ne è entusiasticamente sicuro il professor Silviero Sansavini dell'Università di Bologna che dice di aver individuato un 'tesoretto' se non un vero e proprio tesoro che giace dimenticato nell'alta valle del Reno e che staziona con preferenza nel comune di Grizzana Morandi e comuni limitrofi. Reduce dell'ennesima indagine e catalogazione delle diverse specie del frutto che hanno superato il flagello dell'abbandono dell'agricoltura del dopoguerra, il professore riferisce delle piacevoli sorprese che ad ogni appuntamento rileva. Scende poi nello specifico quando gli viene chiesta la ragione per cui i produttori dell'Appennino dovrebbero riprendere la coltivazione della Rosa Romana quando è noto che la produzione appenninica e quantitativamente molto minore rispetto a quella di pianura e le mele, come il resto della produzione agricola, si vendono a peso. “Come già detto, il perimetro che stiamo indagando assicura una produzione di altissima qualità e quindi di forte interesse per il mercato. E' vero che è stata valutata una produzione di soli 150 quintali/ha, contro i 300 della pianura. E' altrettanto vero che i costi di produzione in montagna sono più alti di quelli di pianura. Ma una produzione biologica con interventi di lotta integrata contro i parassiti assicura una tale qualità da giustificare una spesa maggiore alla pesatura. E' una mela diversa dalle altre, è aromatica, cromatica e ha un profumo antico. Le potenzialità commerciali sono concrete. Molti altri esempi dimostrano che il consumatore attento è disposto a una spesa maggiore, se compensata da una qualità superiore del prodotto che acquista”.


Sansavini mostra il 'tesoretto'
Con Sansavini sono all'opera i professori Luca Dondini e Claudio Buscaroli del Dipartimento di scienze e tecnologia agroalimentare: “Stiamo valutando alcune varietà di Rosa Romana di cui si era persa la memoria,” precisano. “Si è scoperto che la coltivazione è presente in questa zona da 2000 anni. E' coeva a Giulio Cesare ed è quindi una produzione antica in Italia, seconda solo a quella della mela Annurca descritta da Plinio.
Qui è una presenza generalizzata, residuo di antiche coltivazioni anche intensive e stiamo studiando le sue qualità dal punto di vista nutrizionale. La si mangia anche cotta ed è ricchissima di antiossidanti.
Il suo rilancio è legato anche al turismo che in 

Appennino sta incrementando. Della 'partita' fa parte anche Cesare Calisti ( a destra nella foto)  del Cosea e alla domanda di cosa c'entri Cosea con la mela Rosa Romana chiarisce che l'ente ha anche il distretto agro alimentare che ha fra le finalità quella di fare sistema nella ricerca dello sviluppo del territorio . Collegare il mondo agricolo con quello industriale al fine di individuare sistemi utili alla produzione e alla lavorazione e tali da migliorare anche la qualità ambientale. Entrando nello specifico ha detto: “Il 30% dei rifiuti viene dall'organico e dal vegetale che oggi sono smaltiti con un costo di 12-13 euro al quintale. Cosea punta all'autosmaltimento con le compostiere la cui produzione di fertilizzanti è poi da collocare in agricoltura ' a km 0'. La valorizzazione della produzione agricola locale assicura questo utilizzo a Km 0 appunto, a costi vantaggiosissimi. Sostenere la produzione locale è quindi anche un sostenere l'ambiente. E' poi entrato ancora di più sulla tematica dei 'prodotti tipici' ricordando che Cosea partecipa al recupero di due fondi agricoli al Campiaro di Giorgio Morandi. I fondi dispongono di 25 ettari che saranno utilizzati con le tecniche di un tempo e con la ripiantumazione dei 'filari' che delimitavano gli appezzamenti coltivati con filari di uva sorretti dal gelso e dall'acero campestre , chiamato 'Opi'.

Brindisi alla 'rosa romana'

3 commenti:

Anonimo ha detto...

..ma lo sapete che il Cosea presieduto dal signor Calisti sta fallendo ed è in cerca di un "compratore" ...che la causa non sia anche nelle spese allegre (in questo caso vicino a casa)assai lontane dalla missione di raccolta e smaltimento rifiuti...

Anonimo ha detto...

Adesso si comincia a conoscere il motivo del continuo aumento delle tariffe TARI, Non è colpa dei comuni, ma della gestione estemporanea di Cosea ambiente, società con attività singolari che nulla hanno a che fare con la raccolta dei rifiuti e del mancato controllo della proprietaria Cosea Consorzio.
Se fallise è una fortuna per noi cittadini, i danni del fallimento saranno certamente inferiori a quelli che si producono con queste attività senza alcun senso economico. Se la situazione fosse stata esaminata da Cottarelli, questa società sarebbe stata sciolta immediatamente, con forse anche qualche grana penale per qualcuno.

Anonimo ha detto...

I miei sinceri complimenti ai due anonimi che hanno avuto il "coraggio" di scrivere i due commenti sopra.