Da
Il Fatto Quotidiano.
La
bassa "qualità istituzionale", spiega l'Eurotower nel suo
bollettino economico, ha un effetto diretto - negativo -
sull'economia. E l'Italia è penultima nella classifica che la
misura, subito prima della Grecia e lontana non solo dai Paesi più
virtuosi ma anche dalla media dell'Eurozona. In un contesto del
genere diventa inutile metter mano ai contratti di lavoro, cercare di
aumentare la concorrenza e cambiare la Costituzione.
La
qualità delle istituzioni conta
più delle tanto invocate riforme.
Parola degli analisti della Banca
centrale europea.
Che in uno studio pubblicato nel Bollettino economico che sarà
diffuso giovedì mettono in fila i dati disponibili e arrivano a
una conclusione chiara: le economie dei Paesi in cui sono
più scarsi l’efficacia
dell’azione di governo, la capacità di varare e mettere in
pratica leggi
per promuovere lo sviluppo economico, il rispetto del principio di
legalità e
il controllo sulla corruzione
– tutti indicatori del livello di qualità istituzionale, in base
alla metodologia messa a punto dalla Banca
mondiale -
tendono a ristagnare. E metter mano alle riforme non basta
per rilanciare la crescita.
Un’ulteriore prova, dunque, di quello
che molte ricerche hanno già messo in evidenza: la corruzione è tra
le cause della bassa crescita. Ma l’Eurotower aggiunge un
tassello in più, chiarendo che in un contesto del genere Jobs
Act,
riforma
costituzionale e
interventi di liberalizzazione sono poco più che pannicelli caldi. E
l’Italia si
trova proprio in questa situazione: nella classifica che tiene conto
di tutte le quattro dimensioni è penultima
nell’Eurozona,
subito prima della Grecia.
Un risultato che, stando alle conclusioni del bollettino Bce, spiega
perché nella Penisola la produttività
del lavoro resti bassissima e il
pil
continui a progredire a ritmi da “zero
virgola“.
Cinghie
di trasmissione bloccate
-
Lo studio esordisce sottolineando che “istituzioni e strutture
economiche solide
sono essenziali per la resilienza
(la capacità di affrontare e superare le crisi, ndr)
e la prosperità
di lungo termine dell’area euro”. Appunto. Peccato che la qualità
istituzionale italiana, come emerge dal grafico riportato nel
bollettino, sia lontana anni luce non solo da quella dei virtuosi
Paesi del Nord Europa e dai “migliori della classe” tra i 35
membri dell‘Ocse,
ma anche dalla media dell’area euro. Un gap che, come è
facile capire, blocca
le cinghie di trasmissione
che collegano le regole su mercato del lavoro e dei prodotti
all’effettivo funzionamento dell’economia reale.
Senza
istituzioni forti vincono le lobby
– Dove la qualità delle istituzioni è bassa, infatti, le riforme
normalmente prescritte da
Commissione Ue
e Fmi
– da quelle che incrementano l’efficienza del mercato del
lavoro a quelle mirate ad aumentare la concorrenza
– sono poco più che pannicelli
caldi. “I Paesi con qualità istituzionale sotto la media tendono
anche ad avere mercati del lavoro e dei prodotti meno efficienti
della media”, si legge in uno dei paragrafi dello studio. “Questa
elevata correlazione può riflettere il fatto che in presenza di
istituzioni solide le società e i regolatori hanno maggiori
probabilità di imporsi sugli interessi
particolari
e di portare avanti riforme che portano benefici
alla maggior parte dei cittadini“.
Relazione positiva tra crescita del pil e qualità istituzionale - Il cuore dello studio è un grafico che mostra la correlazione tra qualità delle istituzioni e crescita del pil pro capite tra 1999 e 2014. L’Italia e la Grecia registrano le performance peggiori su entrambi i fronti, in un periodo ben più ampio rispetto a quello segnato dalla crisi finanziaria, il che rafforza la validità della conclusione. “Per i Paesi dell’Eurozona emerge una chiara relazione positiva”, commentano gli analisti, spiegando che “i risultati sembrano particolarmente rilevanti per i Paesi dove il debito pubblico iniziale è sopra una certa soglia”. Vedi, ancora una volta, l’Italia. Inoltre, i risultati “sono coerenti con la visione che la qualità delle istituzioni può essere più importante per la crescita di lungo termine nei Paesi in cui lo strumento del tasso di cambio non è più disponibile”. In tutta l’area euro, insomma: tutti ricordano gli anni delle svalutazioni competitive della lira per spingere l’export italiano. Un’arma su cui i governi non possono più contare dopo l’avvento dell’euro.
Relazione positiva tra crescita del pil e qualità istituzionale - Il cuore dello studio è un grafico che mostra la correlazione tra qualità delle istituzioni e crescita del pil pro capite tra 1999 e 2014. L’Italia e la Grecia registrano le performance peggiori su entrambi i fronti, in un periodo ben più ampio rispetto a quello segnato dalla crisi finanziaria, il che rafforza la validità della conclusione. “Per i Paesi dell’Eurozona emerge una chiara relazione positiva”, commentano gli analisti, spiegando che “i risultati sembrano particolarmente rilevanti per i Paesi dove il debito pubblico iniziale è sopra una certa soglia”. Vedi, ancora una volta, l’Italia. Inoltre, i risultati “sono coerenti con la visione che la qualità delle istituzioni può essere più importante per la crescita di lungo termine nei Paesi in cui lo strumento del tasso di cambio non è più disponibile”. In tutta l’area euro, insomma: tutti ricordano gli anni delle svalutazioni competitive della lira per spingere l’export italiano. Un’arma su cui i governi non possono più contare dopo l’avvento dell’euro.
Perché
la riforma costituzionale non basta per trainare la crescita -
La lezione che emerge dal paper è chiara: prima di metter mano
alle regole sui contratti di lavoro, pensare di liberalizzare i
mercati e le professioni o modificare
la Costituzione
occorre rafforzare l’ossatura del sistema. Partendo dalla base:
rispetto delle leggi e repressione dei reati, a partire dalla
corruzione. In caso contrario è del tutto velleitario
sostenere, come ha fatto la ministra
Maria Elena Boschi,
che la riforma costituzionale farà “aumentare il pil dello 0,6%
nei prossimi dieci anni”.
Certo, punire
i colletti bianchi, i politici e gli imprenditori che danno e
prendono mazzette è complicato e richiede ben più di un
decreto o un ddl. Non a caso in passato c’è stato chi ha
preferito contestare
la validità
degli indicatori, sostenendo che il problema non è la corruzione
italiana ma gli strumenti che la misurano.
Che non “valorizzano” i progressi della Penisola.
1 commento:
iN BASE ALLA CRONISTORIA DEL PREGRESSO PREVEDO, STANDO PRUDENTE, CHE L'OPERA SARA' FRUIBILE NON PRIMA DEL 2032 (DICONSI DUEMILATRENTADUE).
MI SPIACE CHE FORSE NON LA VEDRO'.
Posta un commento