Grazie ad uno studio coordinato dalla Cardiologia di Ferrara con l’importante contributo delle Cardiologie delle Aziende sanitarie emiliano-romagnole
L'AUSL di Bologna informa:
Alla ricerca, presentata al più importante congresso di cardiologia
mondiale e pubblicata sulla prestigiosa rivista “New England Journal of
Medicine”, hanno partecipato 1445 pazienti con almeno 75 anni di età, molti
seguiti dalla Cardiologia dell'Ospedale Maggiore di Bologna. Cinque anni di
studio clinico, 30 i centri coinvolti tra Italia, Spagna e Polonia
Si chiama FIRE-
FunctIonal assessment in Elderly MI patients (ovvero "Rivascolarizzazione
guidata dalla fisiologia coronarica in pazienti anziani con infarto") ed è
lo studio promosso dall’Unità Operativa di Cardiologia dell’Ospedale di Cona
(Fe), diretta dal prof. Gabriele Guardigli, che rivoluzionerà l’approccio
terapeutico nei confronti dell’infarto miocardico nelle persone anziane.
E’ giusto trattare
l’infarto miocardico su persone anziane allo stesso modo in cui si tratta su
quelle più giovani? Se lo sono chiesti i professionisti dell’Unità Operativa di
Cardiologia dell’Ospedale di Cona, che hanno ideato e condotto uno studio
clinico che ha coinvolto 1.445 pazienti con almeno 75 anni di età, ricoverati
per infarto miocardico acuto e malattia coronarica multivasale. Studio durato
complessivamente 5 anni, che ha interessato 30 centri tra Italia, Spagna e
Polonia, ma dove il maggior contributo è venuto dalla sanità pubblica
dell’Emilia-Romagna perchè sono stati coinvolti l’ospedale Maggiore di Bologna
e quelli di Reggio Emilia, Modena (Baggiovara), Rimini e Ravenna.
I dati usciti dalla
ricerca sono stati tutti a favore di una strategia di rivascolarizzazione
completa preventiva.
I risultati di FIRE sono
stati presentati dal dott. Simone Biscaglia della Cardiologia dell’Ospedale
S.Anna di Ferrara, il 26 agosto al congresso ESC 2023 di Amsterdam, che
riunisce ogni anno in una città europea i cardiologi di tutto il mondo, e sono
stati contemporaneamente pubblicati sulla prestigiosa rivista di medicina “New
England Journal of Medicine”.
Sebbene si osservi un
costante e graduale invecchiamento della popolazione e sempre più persone
anziane sono ricoverate in ospedale con patologie potenzialmente fatali - come
l’infarto miocardico acuto - gli studi focalizzati sui pazienti anziani e sul
loro trattamento ottimale sono pochi. Pertanto, nella pratica clinica
quotidiana i medici spesso si trovavano a curare pazienti anziani e fragili con
informazioni ricavate da studi che avevano arruolato pazienti con 20 anni di
meno. Non fa eccezione il trattamento ottimale dei pazienti con infarto
miocardico acuto. Mentre è dimostrato che trattare con angioplastica coronarica
tutte le lesioni presenti nelle coronarie (i 3 piccoli vasi che portano il
sangue e quindi ossigeno e nutrimento al cuore) del paziente più giovane (età
media 60-65 anni) con infarto miocardico è associato a una prognosi migliore,
non era noto se lo stesso approccio fosse utile in pazienti più anziani. I pazienti
anziani sono più soggetti a complicanze sia durante l’intervento di
angioplastica, sia durante la terapia farmacologica che è necessaria dopo
l’impianto di stent. Quindi non si avevano dati certi che un trattamento
estensivo, e non limitato solo alla lesione responsabile dell’infarto, fosse
vantaggioso e protettivo come per i pazienti più giovani.
La Cardiologia
dell’ospedale di Cona ha ideato e condotto uno studio clinico randomizzato per
colmare questo “buco di informazione clinica”. Sperimentatore principale è
stato il dott. Simone Biscaglia della Cardiologia dell’Ospedale S. Anna di
Ferrara che ha coordinato un gruppo di professionisti italiani, spagnoli e
polacchi, arrivando ad arruolare 1.445 pazienti con almeno 75 anni di età,
ricoverati per infarto miocardico acuto e malattia coronarica
multivasale.
La metodologia
Lo studio è stato reso
possibile grazie alla stretta collaborazione tra entità del territorio
ferrarese, ovvero il Consorzio Futuro in Ricerca, l'Università degli studi di
Ferrara e l’Azienda Ospedaliero - Universitaria di Ferrara. I primi pazienti
sono stati arruolati nel luglio 2019 e, nonostante i difficili anni della
pandemia, nell’ottobre 201 è stato raggiunto il numero di pazienti previsto.
Dopo che l’ultimo paziente ha completato il follow-up minimo di un anno, si è
iniziato a lavorare all’interpretazione dei dati. Uno staff di data manager,
coordinato dalle dott.sse Veronica Lodolini, Martina Viola, Elisa Mosele
dell’Ospedale di Cona, ha gestito la mole di dati provenienti da centri
italiani, spagnoli e polacchi, garantendo la qualità dei dati e la loro
omogeneità, in modo tale che un team di statistici indipendenti potesse poi
eseguire le analisi statistiche.
Lo studio
La ricerca è stata
focalizzata su pazienti con almeno 75 anni ricoverati in ospedale per infarto
miocardico acuto. Questi pazienti dovevano avere - alla coronarografia che si
esegue di routine a tutti i pazienti con infarto - una malattia coronarica
multivasale, ovvero una lesione che era responsabile dell’evento acuto e altre
lesioni già presenti ma che ancora non avevano dato segno di sé. Lo studio
confrontava due strategie. La prima era trattare con l’angioplastica solo la
lesione responsabile dell’infarto, mentre la seconda prevedeva di trattare la
lesione responsabile dell’infarto e preventivamente anche tutte le altre
lesioni in grado di generare ischemia, ovvero sofferenza, nel cuore.
I dati usciti dalla ricerca sono stati tutti a favore di una strategia di rivascolarizzazione completa preventiva. L’obiettivo primario dello studio (morte, reinfarto, stroke e necessità di ulteriore angioplastica) è stato ridotto del 27%. Questo significa che trattando 19 pazienti si riesce ad evitare uno di questi eventi. Inoltre, la strategia di rivascolarizzazione completa ha ridotto del 36% il rischio di morte per causa cardiovascolare e reinfarto. Tutto questo vantaggio era ottenuto senza aumentare il rischio di infarto durante le procedure, insufficienza renale da mezzo di contrasto o altre complicanze quali l’ictus.
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