In
controtendenza al crollo fatto registrare dai mercati finanziari, la
corsa a beni essenziali sta facendo aumentare le quotazioni delle
materie prime agricole, con i contratti future per consegna a maggio
del grano che sono aumentate di circa il 6%, mentre la soia è
salita di circa il 2% e il mais ha incrementato il valore dello 0,7%
durante l’ultima settimana.
Gli
effetti della pandemia si trasferiscono dunque dai mercati
finanziari a quelli dei metalli preziosi come l’oro fino alle
produzioni agricole la cui disponibilità è diventata strategica
con le difficoltà nei trasporti e la chiusura delle frontiere ma
anche per la corsa dei cittadini in tutto il mondo ad accaparrare
beni alimentari di base dagli scaffali di discount e supermercati.
Una
preoccupazione che ha spinto la Russia a trattenere per uso interno
parte della produzione di grano dopo essere diventata il maggior
esportatore di grano del mondo mentre il Kazakistan, uno dei
maggiori venditori di grano, ha addirittura vietato le esportazioni
del prodotto. Si tratta di scelte che dimostrano come i governi
si stiano concentrando sull'alimentazione delle proprie popolazioni
mentre il virus interrompe le catene di approvvigionamento in tutto
il mondo con timori di una crisi alimentare globale.
L’aumento
del grano che è il prodotto più rappresentativo dell’alimentazione
nei Paesi occidentali e infatti solo la punta dell’iceberg con le
tensioni che si registrano anche per il riso con il Vietnam che ha
temporaneamente sospeso i nuovi contratti di esportazione mentre le
quotazioni in Thailandia sono salite ai massimi dall’agosto 2013.
In aumento anche la soia, il prodotto agricolo trai più coltivati
nel mondo, con gli Stati Uniti che si contendono con il Brasile il
primato globale nei raccolti e la Cina che è la più grande
consumatrice mondiale perché costretta ad importarla per
utilizzarla nell’alimentazione del bestiame in forte espansione
con i consumi di carne.
Una
tendenza all’accaparramento che è confermata anche in Italia dove
nell’ultimo mese di emergenza sanitaria sono praticamente
raddoppiati gli acquisti di farina (+99,5%) ma sono saliti del 47,3%
quelli di riso bianco e del 41,9% quelle di pasta di semola, secondo
una analisi della Coldiretti su dati IRI nelle ultime 5 settimane al
22 marzo 2020.
“L’aumento
delle quotazioni alla borsa di Chicago conferma che l’allarme
globale provocato dal Coronavirus ha fatto emergere una maggior
consapevolezza sul valore strategico rappresentato dal cibo e dalle
necessarie garanzie di qualità e sicurezza” afferma il Presidente
della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che in uno
scenario di questo tipo “l’Italia, che è il Paese con più
controlli e maggiore sostenibilità, ne potrà trarre certamente
beneficio ma occorre invertire la tendenza del passato a
sottovalutare il potenziale agricolo nazionale”. Ci sono le
condizioni per rispondere alle domanda dei consumatori ed investire
sull’agricoltura nazionale che è in grado di offrire produzione
di qualità realizzando rapporti di filiera virtuosi con accordi che
– precisa Prandini – valorizzino i primati del Made in Italy e
garantiscano la sostenibilità della produzione in Italia con
impegni pluriennali e il riconoscimento di un prezzo di acquisto
“equo”, basato sugli effettivi costi sostenuti.
Oggi
in Italia gli agricoltori devono vendere ben 5 chili di grano tenero
per potersi pagare un caffè e per questo nell’ultimo decennio è
scomparso un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo
milione di ettari coltivati ed effetti dirompenti sull’economia,
sull’occupazione e sull’ambiente.
Il grano resta tuttavia la coltivazione più diffusa in Italia con circa trecentomila agricoltori impegnati secondo una stima ella Coldiretti che sottolinea come la produzione potrebbe notevolmente aumentare per puntare anche all’autosufficienza con una adeguata remunerazione della produzione nelle aree interne dove sarebbe importante per combattere lo spopolamento ed il degrado ambientale.
Il grano resta tuttavia la coltivazione più diffusa in Italia con circa trecentomila agricoltori impegnati secondo una stima ella Coldiretti che sottolinea come la produzione potrebbe notevolmente aumentare per puntare anche all’autosufficienza con una adeguata remunerazione della produzione nelle aree interne dove sarebbe importante per combattere lo spopolamento ed il degrado ambientale.
L’Italia
è prima in Europa e seconda nel mondo nella produzione di grano
duro destinato alla pasta con una stima di 1,2 milioni di ettari
seminati nel 2020 in aumento dello 0,5% con una produzione
attorno ai 4,1 miliardi di chili ma forte è l’importazione
dall’estero (pari a circa 30% del fabbisogno) con ben 793 milioni
di chili in aumento del 260% arrivati dopo l’accordo Ceta dal
Canada dove non si rispettano le stesse regole di sicurezza
alimentare e ambientale vigenti nel nostro Paese a partire
dall’utilizzo dell’erbicida glifosato in preraccolta, secondo
modalità vietate sul territorio nazionale dove la maturazione
avviene grazie al sole. Il raccolto di grano duro è più che
sufficiente per garantire la pasta agli italiani, ma viene integrato
con le importazioni, visto che la metà della pasta prodotta è
destinata all’export, ora in difficoltà per l’emergenza
Coronavirus. Le previsioni di semina del grano tenero per 2020 sono
invece di 536.000 ettari circa rispetto ai 530.000 del 2019 con una
produzione 2,73 miliardi di chili con le importazioni che arrivano
in questo caso al 70% del fabbisogno totale.
La
tendenza all’aumento delle quotazioni si è registrata questa
settimana anche in Italia per soia, grano tenero e duro per il quale
nella prossima conferenza stato regioni del 31 marzo verrà portato
il decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e
forestali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle
finanze, recante criteri e modalità di ripartizione del Fondo per
il grano duro per incentivare i contratti di filiera. Il decreto
prevede che i contratti dovranno essere pluriannuali e con utilizzo
di semente certificata con un importo massimo del contribuito
fissato a 100 euro l’ettaro per una superficie coltivata a grano
duro nel limite di 50 ettari a beneficiario.
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